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C'è stato un tempo in cui l'arte è stata tutt'uno con la religione, veicolo delle conoscenze più profonde e più sacre (…).1 Quello era anche il tempo in cui il “bello” e il “sacro” formavano un

binomio inscindibile. Ora ci si chiede se sia possibile, e come, salvaguardare la natura del secondo a fronte di un crescente aumento della richiesta di accedere agli edifici sacri storici e al loro patrimonio artistico da parte di pubblici diversi.

Le autorità ecclesiastiche propendono a stigmatizzare la tentazione ad un certo esteticismo,

che tende a svincolare il fascino della bellezza dall'intrinseco riferimento al significato cui rimanda.2 Massimo Cacciari, ispirandosi al Vangelo di Luca (19-40), definisce le chiese pietre

urlanti, anche quando gli uomini tacciono,3 per sottolineare la forza predicativa, oggi sopita,

dimenticata, perduta, della complessa simbologia della loro architettura, della loro arte e della

visione teologica che l'ha ispirata e attribuisce loro un valore intrinseco incomparabile rispetto ad altri edifici storici.

(...) La religione e la cultura moderne escludono che l'arte possa avere ancora una simile, altissima funzione (…) la religione cristiana va già oltre questo nesso e rende l'arte qualcosa di accessorio (…). Parola di Hegel.4 Siamo testimoni di una “morte dell'arte” anche in senso

religioso. I codici cultuali delle confessioni della tradizione cristiana sono diventati sempre più patrimonio di una minoranza numericamente inadeguata a farsi “ecclesia” di ogni singola chiesa ereditata dalla storia. La percezione delle nostre chiese è ormai solo estetizzante (Cacciari).5 Le

1 Hegel, Lezioni di estetica. Corso del 1838, p. 27, it.scribd.com/doc/74975625

2 Dichiarazione di Mons. Angelo Scola. La Nuova Venezia, Un patrimonio immenso, 26 ottobre 2002

3 Dichiarazione di Massimo Cacciari al convegno Una citta per le sue chiese (Venezia, Chiesa di San Vidal, 25

ottobre 2002, riportata dal quotidiano La Nuova Venezia, Se il ticket d'ingresso aiuta a far conoscere arte e sacralità delle chiese, 26 ottobre 2002

4 Hegel, Lezioni di estetica. Corso del 1838, p. 27, it.scribd.com/doc/74975625

5 Dichiarazione di Massimo Cacciari riportata dal quotidiano La Nuova Venezia, Se il ticket d'ingresso aiuta a far

conoscere arte e sacralità delle chiese, 26 ottobre 2002

opere d'arte, anche in senso religioso, ci rappresentano quasi sempre qualcosa di passato.6

Sono state un momento necessario della presentazione del divino,7 ma la religione cristiana

stessa oggi va già oltre questo nesso,8 perché essa stessa è di un grado oltre l'arte9 e le opere

d'arte non sono più in grado di esprimere l'assoluto. Per noi altre forme sono necessarie allo

scopo di renderci oggetto il divino.10 La nostra cultura, post-moderna, ci spinge a muoverci in un

mondo intellettuale, piuttosto che in quello dell'intuizione sensibile. L'arte è limitata perché fatta di materia sensibile che non è in grado di rappresentare esteriormente un'idea più profonda del divino e quindi non ci serve a rendercene più coscienti.11 Secondo Hegel, dopo l'arte, era stata

la religione a rappresentare una conciliazione tra umano e divino, esprimendo questa unità di umano e divino in termini ancora rappresentativi, simbolici. Una conciliazione solo nella credenza, ma non nel sapere. Oggi, sempre secondo Hegel, solo la filosofia può rappresentare una possibile conciliazione tra immanenza e trascendenza, una Befriedigung.12 L'arte può avere

solo un ruolo limitato e le opere sono destinate a restarci estranee.

La storia ha consegnato all'Occidente europeo una moltitudine di edifici di culto, testimonianza di una dimensione sacrale che nel passato non solo era più ampia e condivisa, ma anche il riferimento identitario per eccellenza, all'origine del vivere comunitario. Oggi, una rappresentatività identitaria così forte e collettivamente condivisa non è più sentita come vitale e indispensabile. Le generazioni contemporanee sono “nomadi” e si incontrano in piazze virtuali per organizzare e poi dare forma concreta ad altri generi di riti collettivi (concerti, “rave”, “flash mob”, “messe alcoliche”). Usano una rete di connessioni leggere e dinamiche che non hanno bisogno di una fede per sussistere. E, nel loro agire, fanno spesso in modo che la loro origine familiare, il loro status sociale o etnico, le loro preferenze politiche o religiose, se presenti, non possano essere facilmente identificabili.13 La definizione di identità è un problema in una società

in cui l'individuo non è più parte di una rete sociale stabile.14

La dimensione del “sacro” si è parcellizzata. L' “universale” ha lasciato il posto al “particolare”. Si assiste alla crescita di culti privati, individuali, “personalizzati”, slegati dalla tradizione religiosa codificata e, contemporaneamente, a una dilatazione dello spazio di azione del singolo, non più legato indissolubilmente ad una specifica comunità di riferimento.15 Anche

6 Hegel, Lezioni di estetica. Corso del 1838, p. 28, it.scribd.com/doc/74975625 7 Hegel, Lezioni di estetica. Corso del 1838, p. 28, it.scribd.com/doc/74975625 8 Hegel, Lezioni di estetica. Corso del 1838, p. 27, it.scribd.com/doc/74975625 9 Hegel, Lezioni di estetica. Corso del 1838, p. 27, it.scribd.com/doc/74975625 10 Hegel, Lezioni di estetica. Corso del 1838, p. 28, it.scribd.com/doc/74975625 11 Hegel, Lezioni di estetica. Corso del 1838, p. 29, it.scribd.com/doc/74975625

12 Hegel, Fenomenologia dello spirito, Hegel, a cura di Vincenzo Cicero, Milano, Bompiani Testi a Fronte, 2000 13 Smith V. L., Introduction. The Quest in Guest in Annals of Tourism Research, Pergamon Press 1992, Vol 19 , p. 14 14 Shackley M., ‘Service Delivery’ At Sacred Sites - Potential Contribution Of Management Science in European

Journal of Science and Theology, December 2005, Vol.1, No.4, p. 35

15 Smith V. L., Introduction. The Quest in Guest in Annals of Tourism Research, Pergamon Press 1992, Vol 19, p. 14

- Another factor that makes differentiation uncertain is the increased privatization of religion in the West. In traditional societies, where few religious options prevail, social sanctions prescribe ritual participation, and most individuals conform rather than risk ridicule, ostracism or worse. Distinctive dress, the shaven head, the beggar bowl, and the saffron robes are still visual emblems of the Buddhist mendicant; and centuries ago, Europeans wore “pilgrim grey.” However, in the multicultural or plural societies of presentday Europe and North America, individuals increasingly place their religious views “backstage” in their lives, just as societies have sometimes removed portions of their culture from tourist view to protect them from ridicule. Individuals now have numerous role op- tions, at home, in the workplace, in recreation, and in personal beliefs. It is possible, often desirable, for a

l'architettura contemporanea riflette il proprio disagio nel dare una forma al “sacro”.16 Il nostro

tempo non ha elaborato un'architettura religiosa riconducibile a schemi tipologici ben determinati. La grande libertà compositiva post-conciliare17 ha concepito edifici sacri che quasi

sempre assomigliano ad architetture profane, nelle quali prevale quella che si può definire un'estetica della fragilità e non della durata. Allo stesso tempo, però, sopravvivono le forme fisiche date al sacro nei secoli passati, quando esso era vissuto come patrimonio identitario collettivo. Nella percezione comune di noi occidentali, lo spazio sacro rimane associato a forme architettoniche e artistiche “del passato”. La visione di una chiesa storica ci trasmette immediatamente il senso del suo essere spazio sacro. Le chiese antiche furono i centri propulsori del tessuto urbano e sono ancora oggi simboli di una nostra identità culturale. Continuano a testimoniare la loro originaria, e spesso ancora attiva, funzione liturgica grazie alla loro riconoscibilità tipologica, anche nel caso in cui siano state sconsacrate. Sono ancora simboli riconoscibili e come tali continuano ad essere “stabili riferimenti visivi” anche per i non credenti,18 importanti e solidi poli spaziali all'interno di una rete di spazi urbani occupati da una

comunità sempre più multietnica, multiculturale e tendenzialmente agnostica.

Di fronte ad una chiesa storica, ben conservata, il visitatore subisce innanzitutto il fascino di un'architettura e di un'arte autentiche, “originali”, e tutelate in quanto tali. E' uno spazio dalla forte connotazione identitaria, percepito come “immutabile” e “stabile” in un mondo che continua a cambiare a grande velocità.19 L'apprezzamento per tutto ciò che è ancora “originale” è un

sentimento radicato nella cultura contemporanea e non solo in quella occidentale. Secondo Schiller, si tratterebbe di un sentimento non tanto estetico quanto (...) morale, essendo mediato

attraverso un'idea, e non generato immediatamente dall'osservazione (…) [il quale] non si rivolge alla bellezza delle forme (Schiller)20. E' l' hic et nunc, cioé il senso della sua esistenza e

apparizione unica e irripetibile nel luogo in cui si trova,21 che fa trasmettere all'opera d'arte un

senso di autorità e di autenticità. Da un punto di vista antropologico, l'efficacia di una apparizione deriva anche dalla percezione della sua difficoltà tecnica di esecuzione, dalla sua “aura tecnica”, ovvero dalla sua capacità di suscitare meraviglia nei confronti del tipo di tecnologia impiegata nella trasformazione del materiale e del miracoloso processo tecnico che è riuscito ad ottenere “la transubstanziazione delle materie prime in forme” e cose.22 E' un' “aura

in sé”. Nel caso degli edifici ecclesiastici di interesse storico-artistico, quest'aura sopravvive, nella percezione individuale agnostica, anche all'eventuale decadimento dell' “aura sacra” e

1990s Westerner to refrain from identification of family background, ethnicity, social status, political preference, or religious persuasion.

16 Bartolomei L., Tesi di dottorato “Luoghi e spazi del sacro”, Università di Bologna, 2008

17 Nota pastorale della Commissione Episcopale per la Liturgia, L'adeguamento delle chiese secondo la riforma

liturgica, 31 maggio 1996

18 Nota pastorale della Commissione Episcopale per la Liturgia, L'adeguamento delle chiese secondo la riforma

liturgica, 31 maggio 1996, punto 12

19 Shackley M., ‘Service Delivery’ At Sacred Sites - Potential Contribution Of Management Science in European

Journal of Science and Theology, December 2005, Vol.1, No.4, p. 35

20 Schiller, Sulla poesia ingenua e sentimentale, 1796.

21 Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi 1966, ed. 1974, p. 22 22 Gell A., The Technology of Enchantment and the Enchantment of Technology, p. 45

permane nel tempo in tutta la sua efficacia.

Si visita il sacro, guardando, ma spesso non riconoscendo i segni della fede. Si incontrano il sacro e la fede in veste di spettatori di quello che rimane solo un ricordo di masse evangelizzate e da evangelizzare. E' questa, ormai, l'identità prevalente della maggior parte dei frequentatori dei luoghi sacri storici, quella dei “visitatori-consumatori-spettatori”. Pochi fra noi sono ancora in grado di leggere simboli o segni, di ricostruire i codici cultuali che un tempo erano le fondamenta solide e condivise di un patrimonio universale comune. Non sviluppiamo neppure un sentimento di nostalgia nei confronti di quei contenuti di fede che un tempo coinvolgevano l'uomo fino a plasmarne ogni azione della giornata, poiché ne abbiamo perso il codice. Per questo motivo, molto difficilmente le antiche opere d'arte riusciranno ad essere ancora uno strumento di evangelizzazione, anche in presenza di una eventuale attività di mediazione culturale. E' evidente l'impossibilità di ritrovare un ordine che permetta di ricostruire il castello della conoscenza religiosa così com'era in passato, un condiviso e solido patrimonio universale comune. Qualsiasi mediazione diventa solo story telling, un racconto. Un racconto che può emozionare, sorprendere, far capire, far apprezzare, ma non evangelizzare. Che può trasmettere il senso delle cose, ma non suscitare una fede.

Il rapporto odierno del visitatore-consumatore con gli spazi sacri è piuttosto di tipo museale, conservativo. Questa diversa modalità di fruizione dello spazio sacro depista la lettura della tipologia e delle forme artistiche in esso contenute, decontestualizzandole dalla liturgia cristiana che ne aveva promosso l’origine. Il punto di vista moderno sull'arte è quello del conoscitore, è

quello del museo (Hegel)23 e viene naturale applicare questo punto di vista anche alle forme

artistiche presenti in un contesto di integrità, di quasi completa site specificity, come può essere quello di una chiesa storica. E' una prospettiva in cui le opere si trovano ad essere in qualche modo sottratte ai nessi con la realtà... (…) e fatte oggetto di una estimazione che non ha nulla a

che vedere con la sostanzialità nella vita (Hegel).24

Ma in un rapporto di tipo “museale” non mancano di certo il rispetto o la reverenza, tutt'altro. Nella società occidentale l'atteggiamento del pubblico in genere, e degli appassionati d'arte in particolare, nei confronti di qualsiasi tipo di manufatto artistico può essere definito di reverenzialità quasi religiosa, seppur di carattere estetico e non estatico. Il clima culturale è cambiato. E' stata sacralizzata l'arte “in sé”, in quanto tale. In questo senso, un appassionato d'arte non potrà mai essere irrispettoso nei confronti di un luogo sacro storico e dei suoi apparati decorativi. L'arte è diventata una nuova “religione”, insieme al calcio e alla finanza. Alfred Gell la definisce così: l'arte è la religione in cui teatri, biblioteche e gallerie d'arte sono i

nuovi tabernacoli, di cui i pittori e i poeti sono preti e vescovi, di cui i critici sono i nuovi teologi e il cui dogma è il dogma dell'esteticismo globale.25 Gell ritiene, infatti, che lo studio dell'estetica

stia all'arte come la teologia sta alla religione, poiché anche l'estetica implica degli atti di fede,

23 Hegel, Lezioni di estetica. Corso del 1838, p. 27, it.scribd.com/doc/74975625 24 Hegel, Lezioni di estetica. Corso del 1838, p. 27, it.scribd.com/doc/74975625 25 Gell, A. The Technology of Enchantment and the Enchantment of Technology, pp.41-42

dei credo. E ne cita due: 1) la convinzione che nell'oggetto valutato esteticamente risieda il principio del Vero e del Buono; 2) la convinzione che lo studio di oggetti valutati esteticamente costituisca un cammino verso la trascendenza.

Questa attitudine all'esteticismo è legata alla nostra cultura e la applichiamo, sempre secondo Gell, anche nei confronti di oggetti provenienti da culture diverse. Una disposizione al piacere estetico che, a maggior ragione, si manifesta anche nei confronti degli spazi sacri e delle opere in essi contenute. Il bello artistico ci fa comunque trascendere, e ci trasmette piacere. Secondo Gadamer, le forme (Gebilde) delle opere assumono carattere ludico in quanto tali e si scoprono

forme ludiche anche nelle pratiche umane più serie. A detta di Gadamer, anche nel culto.26

3.2

IL SACRO