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DA UNA MINACCIA DI “SERRATA” A CHORUS

UN'ECCEZIONALITA' INSOSTENIBILE

4.4 DA UNA MINACCIA DI “SERRATA” A CHORUS

All'inizio degli anni novanta, quando la popolazione del centro storico veneziano contava ormai solo circa 78.000 abitanti,42 venne promulgata la legge che tolse ai Comuni l'obbligo di

finanziare la cura e la tutela degli edifici di culto, pur – di fatto – non vietandola (legge 8 giugno 1990, n. 142, art. 64).43 Da allora in poi ogni intervento di finanziamento da parte dei Comuni

sarebbe potuto avvenire solo su base facoltativa e le funzioni relative all' edilizia di culto sarebbero rimaste prerogativa esclusiva dello Stato fino al decreto legislativo del 31 marzo 1998, n. 112 (art. 94, comma 2 punto d),44 che conferì dette funzioni alle Regioni.

Nel febbraio 1992, uniformandosi alla nuova normativa, anche il Comune di Venezia decise di tagliare i fondi per la custodia e la manutenzione delle chiese cittadine, quasi tutte pre- ottocentesche e di grande valore storico-artistico. L'allora preside del Collegio dei parroci veneziani, nonché direttore dell'Ufficio Chiese della diocesi, don Aldo Marangoni,45 “minacciò” di

ridurre gli orari di apertura degli edifici ai soli tempi del culto.46 La notizia della probabile serrata

delle chiese veneziane fece il giro del mondo,47 e si cominciò a paventare una possibile ricaduta

negativa sull'intero sistema turistico cittadino. A maggio dello stesso anno arrivò un'offerta d'aiuto da parte della Fininvest,48 decisa a far adottare le chiese di Venezia a ottanta fra le loro

aziende collaboratrici più significative. Il progetto prevedeva che ciascuna azienda Fininvest si sarebbe fatta carico di versare 30 milioni di lire all'anno (ca. 15.500 euro) ad una delle chiese a rischio chiusura,49 riuscendo così a coprirne i costi di custodia e di manutenzione e ricavandone

in cambio un ritorno d'immagine. La proposta suscitò non poco scalpore e molte perplessità fra i parroci e le comunità di fedeli. Il progetto, comunque, decadde.50

Nel 1993 vennero pubblicati gli atti della Giornata di Studio Spazi sacri a Venezia - Che fare? (12 giugno 1992), tra cui spicca l'intervento di mons. Gino Bortolan, al tempo direttore del Museo Diocesano di Venezia, il quale, prendendo atto del cambiamento sociale in corso e del rischio imminente della distruzione e della dispersione di un enorme patrimonio culturale,

religioso e artistico, così esprime lo stato di disagio in cui versava (e versa tuttora, n.d.a.) la

42 Servizio Statistica e Ricerca del Comune di Venezia, Serie storica della popolazione residente...,

http://www.comune.venezia.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/4055

43 v. paragrafo 1.2.4

44 Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I

della legge 15 marzo 1997, n. 59.

45 “Dal 1987 al 2005 Don Aldo Marangoni è stato Direttore dell’Ufficio Chiese della Diocesi di Venezia, ufficio che lui

stesso ha creato su mandato dell’allora Patriarca di Venezia Cardinal Marco Cè. In questo ruolo non è stato sostituito da nessuno. E’ stato per dieci anni Preside del Collegio Urbano dei Parroci.” Tratto dalla biografia di don Aldo Marangoni, gentilmente fornita da Chorus – vedi all . 3

46 Gente Veneta, 22.02.1992, n. 8 - Niente contributi c’è la “serrata” 47 Ibidem

48 Fininvest S.p.A è la holding di uno dei maggiori gruppi di comunicazione a livello internazionale, che opera in

posizioni di leadership nei settori della televisione commerciale e del cinema con Mediaset e la sua controllata Medusa, dell'editoria con Mondadori oltre che dello sport con il Milan. Il Gruppo ha poi un'importante partecipazione, pariteticamente con il Gruppo Doris, nel Gruppo Mediolanum, una delle principali realtà imprenditoriali italiane specializzata nei servizi bancari e nei prodotti assicurativi e previdenziali. v. www.fininvest.it

49 Le chiese ancora aperte al culto a Venezia risultano essere 114. 50 Gente Veneta, 23.05.1992, n. 20 – Fininvest, balia per le chiese?

comunità religiosa veneziana:

Nel 1815 a Venezia funzionavano per 130.000 abitanti 40 chiese parrocchiali, oggi per 76.000 abitanti il numero è rimasto invariato, ma con un clero ridottissimo di numero e poco efficiente a causa dell'età media molto elevata. Sono spariti quasi tutti i lasciti e le rendite a causa delle varie svalutazioni, mentre i costi di manutenzione e del personale di custodia sono enormemente aumentati. Gli interventi dello Stato, della Regione, del Comune, di vari enti privati, pur preziosissimi, sono però ancora insufficienti e si pone perciò il problema di ridurre il numero delle parrocchie, chiudere le chiese non strettamente necessarie, trasformandole in centri culturali, senza rinnovare però lo scempio napoleonico con la distruzione e la dispersione di un enorme patrimonio culturale, religioso ed artistico. Si affaccia il pericolo che almeno in parte ciò possa nuovamente accadere, se non si provvede in tempo.51

Già nell'aprile 1992, lo Stato, tramite la Soprintendenza di Venezia, aveva annunciato un intervento per finanziare la custodia e la manutenzione delle chiese veneziane, che in quell'occasione furono definite, per la prima volta, “il museo diffuso”52 della città. L'investimento,

di circa 4 miliardi di lire (ca. 2.066.000 euro), prevedeva l'assunzione di custodi, l'installazione di impianti antifurto e una serie di interventi di manutenzione in 12 chiese, in modo da favorirne un'apertura “prolungata”.53 Sull'onda di questo progetto d'intervento a finanziamento statale, nel

1994 venne costituita, con sede presso la Curia patriarcale di Venezia, l'Associazione Sant'Apollonia, un'associazione senza fine di lucro riconosciuta dalla Regione Veneto, il cui

obiettivo era quello di collaborare alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali del Patriarcato di Venezia. Secondo quanto scrisse Gente Veneta il 25 ottobre 1997,54 il progetto

della Soprintendenza non decollò del tutto.55 Il problema della salvaguardia delle chiese storiche

e della loro accessibilità al di fuori degli orari di culto continuò quindi a ricadere sui parroci veneziani i quali, nel frattempo, con molta lucidità e concretezza di visione, avevano cominciato a prendere in considerazione delle soluzioni “innovative” a superamento dell'idea di una mera

custodia e manutenzione delle chiese sulla base di interventi statali. Il loro obiettivo era quello di creare un sistema “virtuoso” in grado di autofinanziarsi.

A Ravenna, qualcosa del genere era già stato realizzato. Già dal 198756 funzionava con

successo, un “circuito museale” a pagamento comprendente alcuni monumenti sacri diocesani, non più officiati.57 I proventi derivati dalla bigliettazione ne garantivano (e ne garantiscono

51 Spazi sacri a Venezia- che fare? - atti della Giornata di Studio - Venezia, Museo diocesano di Sant'Apollonia, 12

giugno 1992, Venezia - CID, Centro di informazione e documentazione del Patriarcato di Venezia, 1993, pp. 16-17

52 Espressione che si trova anche nella lettera circolare della Pontificia Commissione del 1999, punto 3.2 53 Gente Veneta, 11.04.1992, n. 15 – Museo diffuso targato Stato

54 Gente Veneta, 25 ottobre 1997, ripropone l'articolo del 1992. ( Museo diffuso targato Stato). 55 v. paragrafo 4.6

56 Fonte: Don Aldo Marangoni, al tempo parroco della Chiesa di San Giacomo dell'Orio a Venezia e membro del

Collegio Urbano dei parroci.

57 Originariamente: Basilica di San VItale, Basilica di Sant'Apollinare Nuovo, Battistero Neoniano, Spirito Santo;

successivamente vennero inclusi: Mausoleo di Galla Placidia, Museo Arcivescovile.

tutt'oggi, n.d.a.) la custodia e quindi un regolare accesso durante il giorno, nonché la presenza di materiale documentario.58 Una situazione sicuramente diversa, quella di Ravenna, rispetto

alle problematiche che stavano affrontando i parroci veneziani all'inizio degli anni Novanta, costretti a dover gestire in totale solitudine decine di chiese di grande e grandissimo interesse storico-artistico, per di più regolarmente officiate, ma con una tale scarsità di fedeli (e quindi di elemosine), di volontari e di entrate finanziarie (specialmente dopo il taglio dei contributi comunali), da non riuscire più a garantirne un'apertura che andasse oltre i tempi delle funzioni liturgiche, peraltro poco frequentate.

Tuttavia, malgrado le diversità, a don Aldo Marangoni, l'allora preside del Collegio Urbano dei Parroci veneziani, le similitudini fra le due realtà storico-urbane di Ravenna e Venezia risultarono subito evidenti: in entrambi i casi si trattava di un'insieme di edifici sacri a rischio di degrado, situati all'interno di un'area relativamente ridotta, diffusi, ma allo stesso tempo facilmente inseribili in un “circuito”. Seriamente preoccupato per il destino delle chiese cittadine e del patrimonio delle loro comunità, don Aldo convinse i parroci in difficoltà a prendere in considerazione l'idea – Patriarca permettendo59 – di adottare una differenziazione temporale

della funzione d'uso degli edifici di culto da loro gestiti, ai fini di estenderne i tempi di accessibilità e di facilitarne la fruizione turistico-culturale, offrendo una apertura prolungata a pagamento. Questo sistema avrebbe evitato il rischio di chiusura (anche al culto) e, quindi, il degrado dell'immobile e delle opere in esso contenute. I parroci, in piena emergenza, ma guidati dalla ferrea determinazione del loro portavoce, decisero di comune accordo di portare avanti il progetto che, a bene vedere, oggi si potrebbe definire di “miglioramento della gestione”60 di quel patrimonio di cui – secondo il Diritto canonico – erano diretti responsabili.61 Il

progetto fu realizzato nel giro di circa due anni. Chiese dal grande appeal turistico e chiese meno note, ma in entrambi i casi di grande interesse storico-artistico, furono “collegate assieme”. I rispettivi parroci divennero soci fondatori di un'associazione non-profit che chiamarono Chorus, uno strumento associativo definibile di “mutuo-aiuto fra le chiese”, sia in quanto beni immobili, sia in quanto sedi di comunità di fedeli. I contributi derivati dagli ingressi pagati dai visitatori per accedere all'interno di chiese famose e ricche di opere d'arte, avrebbero consentito e garantito nel tempo la cura e l'apertura anche di quelle altrettanto ricche di opere, ma poco conosciute dal grande pubblico e scarsamente visitate.

La mission di Chorus fu, da subito, molto chiara e sintetizzabile nello slogan, da loro stessi coniato, fruire per conservare. Pur supportata a grandi titoli dalla stampa cattolica locale e salutata con estrema soddisfazione dalle autorità civili, la decisione dei parroci di creare un modello economico gestionale virtuoso sui generis, mise in moto un ampio e acceso dibattito che avrebbe coinvolto autorità ecclesiastiche e società civile, credenti e non credenti, veneziani

58 Gente Veneta, 16.01.1993, n. 2 – Venezia: c'è già il ticket “ombra” 59 Secondo il can. 1210 del Codice di Diritto Canonico

60 Nota della Pontificia Commissione del 1999, punto 3.3 61 Can. 532, e inoltre cann. 1279-1288

e non veneziani per molti anni a venire.62

4.5

IL PROGETTO BIBLIA PAUPERUM