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Dimensioni politiche del fenomeno a livello internazionale

Violenza: l’ombra della sfera privata

3.5 Dimensioni politiche del fenomeno a livello internazionale

Abbiamo già accennato al fatto che l’Italia mostra un ritardo significativo sia per quanto riguarda il riconoscimento del femmicidio/femminicidio come fenomeno in continua diffusione, sia per quanto riguarda la violenza di genere in senso più ampio. Unire la violenza al genere vuol dire guardare questo fenomeno in un’ottica allargata che pone attenzione non solo alla violenza maschile esercitata sulle donne ma che include numerose altre figure, persone che per scelte sessuali o per particolari fragilità si ritrovano nel corso della loro vita ad essere bersaglio di atti crudeli, manifestati da chi non conosce altro modo per affermare il proprio potere e la propria forza, e che trovano legittimazione nell'odio e nell'incapacità di mettersi in relazione con l'altro. Solo in tempi recenti, la violenza contro le donne è uscita allo scoperto dopo secoli d’invisibilità diventando:

«un problema sociale diffuso e rilevante, che riguarda i diritti fondamentali, l’uguaglianza tra le persone […] e la sicurezza dentro e fuori le mura di casa» (Bartholini 2013, p. 21).

Si dovettero aspettare gli anni Settanta per iniziare a parlare di violenza contro le donne nel nostro Paese, intesa ovunque come l’ostacolo più grande per la realizzazione dell’uguaglianza ma gli atti che nell’ultimo cinquantennio hanno rilevato gli sforzi di tutte le istituzioni internazionali per combattere la violenza contro le donne sono stati tanti. Infatti, la prima Conferenza mondiale delle donne è stata indetta dall’ONU nel 1975 e ha avuto come obiettivo quello di avviare delle strategie per il raggiungimento dell’uguaglianza fra i sessi. Ricordiamo anche la Convenzione per l’eliminazione di

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tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne, adottata nel 1979 ed entrata in vigore nel 1981 e dall’Italia ratificata con la legge n.132 del 14 marzo 1985.

La Dichiarazione universale dei diritti umani (1948) era già stata sancita ma questa non era bastata a garantire alle donne l’esercizio dei loro diritti, dando loro pari dignità rispetto agli uomini. D’altronde, il primo reale organismo che affronta la materia della violenza, collocandola nell’alveo delle “discriminazioni di genere” è il Comitato CEDAW (Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women) il quale, nominato dall’ONU, ha imposto, successivamente, agli Stati membri di condannare qualsiasi forma di discriminazione della donna e di rimuovere le misure che creino condizioni di svantaggio. All’interno di quest’accordo, si sottolinea che le discriminazioni contro le donne devono essere inscritte nel quadro di riconoscimento dei diritti umani e del valore della persona perché essere umano.

Negli anni a venire è operata un’attenzione più specifica; infatti, dieci anni dopo dall’adozione della Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione, lo stesso Comitato aveva redatto due Raccomandazioni Generali (la n.12 e la n.19). Nella prima del 1989, gli Stati membri sono stati chiamati a fornire nei loro rapporti periodici informazioni sulle leggi e sulle iniziative promosse dalla nazione di riferimento:

«per tutelare le donne da ogni forma di violenza nella vita quotidiana (ivi compresa la violenza sessuale, i maltrattamenti in famiglia, le molestie sessuali sul posto di lavoro ecc.), nonché a rendicontare circa l’esistenza di servizi a sostegno delle donne vittime di aggressioni o maltrattamenti e a fornire dati statistici sull’incidenza di tale fenomeno» (Cimagalli 2014, p. 10).

Nella seconda, invece, il Comitato ha deciso di approfondire, in maniera più complessa, il tema della violenza contro le donne concependola come strumento di perpetuazione della subordinazione a discapito della donna e mostrando le connessioni fra forme di violenza e forme di discriminazione agite sulla base dell’appartenenza di genere. La raccomandazione n.19 esorta “i Paesi firmatari a prendere misure appropriate ed efficaci per superare ogni forma di violenza di genere, sia che si tratti di un atto pubblico che di uno privato […]. Sono delineati gli ambiti nei quali le politiche e interventi contro la violenza di genere trovano espressione, e cioè: i mezzi di tutela e contrasto sanzionatorio e risarcitorio, esercitabili sia in ambito penale sia civile; le misure preventive, imperniate su programmi di comunicazione e sensibilizzazione”

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(Cimagalli 2014, p. 10). Nella Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne del 1993, la Comunità degli Stati ha concordato per la prima volta la definizione di violenza nei confronti delle donne, con cui s’intende:

«ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenne nella vita pubblica o privata» (art.1). In seguito a queste disposizioni, la Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani ha nominato un relatore speciale sulla violenza contro le donne, con il compito di riferire annualmente su questo problema. Nel 1995, a Pechino, è stata indetta la quarta Conferenza mondiale sulle donne, che si è conclusa con l’adozione di una Piattaforma d’azione. È affermata la necessità di dirigere l’azione delle politiche sociali su tre assi d’intervento ovvero la repressione, la prevenzione e lo sviluppo d’iniziative di supporto. Sono state individuate dodici aree critiche, al fine di raggiungere i seguenti obiettivi: misure integrate per prevenire la violenza contro le donne, studio delle cause e delle conseguenze della violenza contro le donne, analisi circa l’efficacia delle misure preventive e l’assistenza alle vittime di violenza (Bartholini 2013, p. 21).

Continuando l’excursus sull’azione politica, nel 1997, sempre nell’ambito dell’Unione Europea, fu varata l’iniziativa Daphne, che mirava a promuovere azioni di contrasto dando l’opportunità ai singoli Paesi comunitari, di strutturare piani specifici contro la violenza. La stessa iniziativa fu riproposta nei due anni successivi, trasformandosi in un piano comunitario quadriennale (2000-2003, 2004-2008). L’anno 1999, in seguito, ha proclamato il 25 Novembre come Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, e sono state in questi anni tante le iniziative messe in campo per ricordare che il fenomeno della violenza è sempre più attuale e strutturale, tanto da investire in interventi di contrasto.

Dal 2000 in poi sono state tante le Raccomandazioni emanate dal Consiglio d’Europa, tutte perlopiù incentrate a ribadire la gravità del fenomeno della violenza domestica e della violenza di genere, riflettendo anche sulle misure da adottare nel settore legislativo, implementando piani di azione nazionale e azioni di sensibilizzazione con l’aiuto delle associazioni femminili (Cimagalli 2014, p. 12). Il primo studio completo a livello mondiale che analizza sistematicamente i dati sulla violenza esercitata contro le donne risale al 2002, a cura dell'Organizzazione Mondiale

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della Sanità. L'OMS ha pubblicato il rapporto58 dal titolo Valutazione globale e regionale della violenza contro le donne: diffusione e conseguenze sulla salute degli abusi sessuali da parte di un partner intimo o da sconosciuti. É stato uno studio approfondito, finalizzato sia alla raccolta di dati affidabili, prima inesistenti, sia alla conoscenza della gravità del fenomeno e delle gravi conseguenze che ne derivano, con effetti che si ripercuotono non solo sulla vittima ma sull'intero sistema salute, economico e sociale. L'OMS ha definito la violenza sulle donne “un problema di salute di proporzioni globali enormi, l'abuso fisico e sessuale un problema sanitario che colpisce un terzo delle donne nel mondo”.

I dati pubblicati sono sconcertanti: il trauma della violenza è esperito da oltre il 35% delle donne in tutto il mondo; la forma più comune di abuso è inflitta dal proprio compagno e colpisce oltre il 30% delle donne, mentre il 7,2% denuncia abusi sessuali da parte di sconosciuti. Dal rapporto si evince che il 38% di femminicidi a livello planetario è compiuto da un partner intimo e il 42% delle vittime ha sofferto di lesioni provocate dallo stesso. Essere oggetto della violenza esercitata dal compagno, marito o fidanzato, sottopone le donne abusate a un rischio doppio, rispetto alle altre, di sviluppare malattie mentali come depressione e ansia, o dipendenza da alcool e farmaci59. A seguito di questo studio, l'OMS ha ribadito con forza il dovere che hanno tutti i Paesi del mondo di lavorare congiuntamente per eliminare ogni forma di tolleranza verso la violenza e di attivare campagne di informazione e sensibilizzazione a tutti i livelli. Considerato il legame diretto che intercorre tra violenza e salute, l'OMS raccomanda ai servizi sanitari un maggiore coinvolgimento e una partecipazione attiva nella presa in carico delle vittime di violenza. Generalmente, chi ha subito violenza fisica chiede aiuto a un medico per curare le lesioni riportate, ma difficilmente trova il coraggio di accusare l'autore di quei mali e il personale sanitario non sempre riesce a riconoscere e a gestire simili eventi. Determinante in questi casi è il riconoscimento della violenza taciuta; a questo fine, la formazione di tutto il personale sanitario è

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Il Rapporto è stato pubblicato dall'OMS in collaborazione con la London School of Hygiene & Tropical Medicine e la South African Medical Research Council.

59 Si rende manifesto che le donne che subiscono forme di maltrattamento e di violenza hanno un maggior

numero di problemi di salute tanto da richiedere interventi sanitari quali ricoveri, visite, analisi e uso di farmaci. Dalla ricerca Quanto costa il silenzio? (2013) realizzata da We World Intervita emergono i molteplici aspetti relativi ai costi sanitari per la vittima di violenza: costi per esami medici, per prestazioni di pronto soccorso, per ricoveri in ospedale, per visite mediche, per visite specialistiche e per consumo di farmaci.

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fondamentale per offrire un'assistenza adeguata e appropriata, che comprenda non solo la cura fisica ma implichi anche una gestione globale di tutta la situazione portata alla loro attenzione dalla vittima. Infatti, dallo studio dell'OMS è emerso che il movente, delle prime dieci cause di morte e d’invalidità che colpiscono le donne adulte, si deve attribuire all'aggressività maschile e per questo motivo i suoi esiti devono essere una priorità della salute pubblica. Inoltre, l’OMS ha sintetizzato le caratteristiche individuali e sociali che portano a compiere abusi fisici e psicologici:

Tab. 3 – Caratteristiche individuali e sociali che portano a compiere abusi fisici e psicologici.

Fattori individuali Fattori relazionali Fattori relativi alla comunità

Fattori relativi alla società

Giovane età Conflitto coniugale Sanzioni comunitarie deboli contro la violenza domestica Norme tradizionali legate al genere Eccessivo ricorso al bere

Instabilità coniugale Povertà Norme sociali che giustificano la

violenza Depressione Dominio maschile in

famiglia

Basso capitale sociale

Disturbi della personalità

Stress economico

Basso reddito Aver assistito a una

violenza o avere subita da bambino

Fonte: OMS, 2002.

Nel 2006, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha raccomandato a tutti gli Stati membri d’intensificare gli interventi per eliminare tutte le forme di violenza e li ha invitati a intraprendere una serie di azioni, quali: coordinare meglio le attività, reprimere i reati, prevenire gli abusi e investire unicamente per le misure di protezione delle donne (Reale 2011, pp.37- 38). Seguirono nel 2008, la Dichiarazione di Vienna “Stop alla violenza domestica” e nello stesso anno l’istituzione della CAHVIO (Comitato ad hoc

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sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica.). Rimanendo ancorati all’Europa, è utile ricordare che nel maggio 2011, è stata stilata, a Istanbul, la Convenzione europea contro la violenza domestica60, firmata da diversi paesi e divenuta in Italia, legge nel giugno 201361, con l’obiettivo di contrastare la violenza di genere e puntando sulla tutela delle donne. Ormai, la consapevolezza che il problema della violenza di genere sia ampio e multidimensionale appare sostanzialmente affermata. Inoltre, tutti i paesi europei hanno incentrato il loro dibattito su come trasformare la parità legale, mentre l’Italia continuava a fare passi indietro. Biancheri (2016, p. 29) sostiene che:

«tuttora i numeri testimoniano le molteplici difficoltà nel mettere in pratica azioni preventive efficaci, mancando quelle sinergie necessarie per attivare risposte sistemiche e pervasive, per rompere quei gangli generativi dei sentimenti di comando e di possesso derivanti dall’abuso di potere che continuano ad esercitare gli uomini sulle donne».

Il problema dell’Italia, rispetto alla difficoltà di eliminare le disparità esistenti tra uomini e donne e di prevenire i casi di femmicidio/femminicidio, deve essere ricondotto al persistere della visione secolare che ritrae una donna subordinata e che considera la violenza una questione interna alla vita domestica. Il cambiamento deve avvenire quindi principalmente in ambito culturale, ma bisogna anche incentrarsi sull’attuazione d’interventi che mirano a tutelare la donna e prevenire l’inasprirsi di così tante violenze.

Per concludere il cerchio relativo alla normativa relativa alla violenza in ambito internazionale, si rende noto le due priorità strategiche previste dall'Unione europea per

60 La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti

delle donne e la violenza domestica, è stata sottoscritta a Istanbul l’11 maggio 2011. In Italia, la Convenzione è stata firmata il 27 settembre 2012. La Convenzione di Istanbul, che ha valore di Trattato, può essere considerata come il più completo tra gli strumenti vincolanti per prevenire la violenza sulle donne, problema che può essere considerato un vero e proprio flagello in tutti i suoi aspetti. La Convenzione esorta gli Stati firmatari ad attuare tutte le misure necessarie affinché si pervenga a un radicale cambiamento di mentalità per eliminare i pregiudizi fondati sulla «inferiorità» delle donne e sui ruoli stereotipati attribuiti a donne e uomini. Affida ai singoli Stati il compito di prevenire, fermare e sanzionare la violenza sulle donne, in qualunque ambito, anche domestico, affermando il principio che nessun argomento di natura culturale, storica o religiosa può essere addotto come giustificazione. Nel preambolo, inoltre, si riconosce che il raggiungimento dell'uguaglianza tra i sessi de jure e de facto è un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne. Un altro degli obiettivi della Convenzione di Istanbul è di promuovere la cooperazione internazionale garantendo l’adeguato sostegno alle organizzazioni e alle autorità preposte all’applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l'eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica. Nella Convenzione di Istanbul, infine, sono riconosciuti come reato l'aborto e la sterilizzazione forzata, le mutilazioni genitali femminili e lo stalking. (Ministero della salute).

61 La violenza domestica è stata riconosciuta giuridicamente dall'Ordinamento nazionale con il Decreto

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la parità di genere nel triennio 2016-2019. Queste strategie sono rispettivamente l'indipendenza economica e la violenza sulle donne. Sono stati condotti diversi studi sugli effetti che le forme di violenza possono avere sulla situazione economica e sullo stato di salute delle donne. Contemporaneamente, sono stati realizzati altri studi volti ad esaminare la questione dalla prospettiva opposta, interrogandosi se e quanto le condizioni finanziarie delle donne e la loro indipendenza economica influiscano sulla possibilità di trovarsi in situazioni di violenza62. L’ultimo report a cui si fa riferimento risale proprio al corrente anno 2017, Violence against women and economic independence, è stato realizzato su richiesta della Commissione Europea a cura di Francesca Bettio ed Elisa Ticci, la Direzione generale della Giustizia e dei consumatori Unità D2 “Equality between men and women”, in collaborazione con la Fondazione Giacomo Brodolini e l’Istituto per la Ricerca Sociale (IRS); esso cerca di colmare il vuoto esistente nella conoscenza del fenomeno.

Fanno da sfondo alcune questioni storiche – politiche che da sempre espongono le donne a dei rischi: la povertà, la dipendenza economica e l’impossibilità di esigere diritti. Infatti, problema emergente è che, per molto tempo, non si è capito che le politiche contro la violenza di genere debbano ragionare in termini di prevenzione a tutti i livelli, inclusa la materia economica, la possibilità per le donne di avere reddito e lavoro. Già, nel 1995, durante la IV Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite di Pechino, si discusse circa il riconoscimento dell’empowerment e della responsabilità in ambito politico economico e sociale alle donne, nella convinzione che l’emancipazione economica fosse di per sé presupposto essenziale per cercare di contrastare forme di discriminazione e violenza. Ecco che la Commissione europea ha deciso di intervenire con uno studio ad hoc; il report 2017 ha previsto un'ampia indagine empirica usando i recenti dati sull'indagine FRA sulla violenza contro le donne condotta nel 2012 dall'Europa e i cui risultati sono stati pubblicati nel 2014. Come riportato alla fine del secondo capitolo, si tratta di un’indagine che si basa su interviste faccia a faccia a 42.000 donne selezionate in modo casuale in 28 Stati membri. Sono incluse nella ricerca diverse forme di violenza da quella fisica, a quella sessuale e psicologica contro le donne, comprese anche le molestie sessuali: praticamente tutti i tipi di violenza contro le

62 Violenza contro le donne e indipendenza economica. Si rimanda al sito In genere:

http://www.ingenere.it/ricerche/violenza-donne-e-indipendenza-economica-2017 visualizzato il 26-08- 2017.

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donne tranne la violenza che finisce in assassinio (femmicidio/femminicidio), stalking e violenza contro i bambini. Inoltre, il report 2017, nella seconda parte, rappresenta il primo tentativo a livello europeo di affrontare il problema della violenza contro le donne circa la possibile influenza dell'indipendenza economica. L’analisi, inoltre, prevede l’utilizzo di strumenti statistici ed economici; infatti, sono state realizzate una serie di domande che includono diversi aspetti: se la posizione occupazionale della donna, il suo reddito o la condizione economica della famiglia influenzano la perpetrazione degli abusi da parte dei partner (indicata come intemate partner violence); se la condizione socio-economica dell'autore (occupazione e status di forza lavoro, reddito, educazione) può essere associata a comportamenti violenti; quali aspetti della condizione economica della donna influenzano la molestia sessuale al lavoro; se gli shock economici causati dagli improvvisi cambiamenti nella condizione economica dell'autore o della vittima sono favorevoli alla violenza; se la probabilità di IPV è influenzata dall'occupazione e dal grado d'istruzione del partner. Le domande proseguono chiedendo in che misura l'indipendenza economica della donna aumenta la probabilità che la stessa si allontani da una relazione violenta; in che misura la presenza sul territorio di servizi a supporto per le vittime aumenta la probabilità che le stesse abbandonino una relazione di abuso e, infine, se il verificarsi di abusi sia influenzato da condizioni macroeconomiche, e in caso affermativo, quali tipi di abuso.

I risultati, che emergono dall’indagine, rivelano che: l’indipendenza finanziaria influenza la probabilità della violenza intima del partner (fisica, sessuale o psicologica) in dipendenza del suo status di forza lavoro ma si tratta di un’ influenza generalmente limitata e, soprattutto, assume segni diversi secondo il tipo di violenza. Dunque, con l'emancipazione economica la violenza sulle donne cambia modalità e target: “si assiste ad un passaggio relativo allo spazio della violenza da quello privato per mano del partner a quello pubblico delle molestie sessuali. Nell’ambito dello spazio privato muta anche il target; infatti, il rischio di violenza domestica si attenua, per esempio, nei confronti di mogli o compagne che arrivano a guadagnare quanto il partner, ma aumenta per mogli o compagne che rompono gli stereotipi guadagnando più del partner. Un secondo messaggio di fondo è che non si può genericamente parlare di violenza quando se ne studiano i legami con l’indipendenza economica, perché quella fisica si comporta

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diversamente da quella sessuale o da quella psicologica, per non parlare delle molestie sessuali sul lavoro o in altri luoghi pubblici”63.

Inoltre, nell’indagine sono state prese in considerazione diverse situazioni sulle quali sono stati posti diversi interrogativi: ad esempio, una donna che lavora fuori di casa è più o meno esposta al rischio di violenza rispetto ad una casalinga? In realtà, leggendo il report, le situazioni presentate sono molteplici. La risposta alla precedente domanda, è negativa per quanto riguarda la violenza perpetrata dal partner, mentre risulta positiva nel caso di molestie sessuali da parte di altri maschi. Dall’analisi dei risultati, risulta evidente come è il disagio economico della famiglia di riferimento a fare la differenza. Uno dei risultati più solidi che lo studio registra è che vivere in un nucleo familiare economicamente disagiato aumenta notevolmente la probabilità di subire abusi di ogni tipo (violenza fisica sessuale e psicologica dal proprio partner o molestie sessuali da non partner). Dunque, il lavorare costituisce un fattore di protezione per la donna quando il suo reddito permette alla famiglia di mantenersi sopra la soglia di