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Integrazione socio-sanitaria: teorie di riferimento e iter normativo

PRESTAZIONI COMPETENZA ONERI INTENSITÀ E DURATA INTERVENTO

2.4 L’iter legislativo dell’integrazione socio-sanitaria della Regione Toscana

2.4.2 Legge regionale 60/

La legge regionale 10 Novembre del 2008 n.60 Modifiche alla legge regionale 24 febbraio 2005 n. 40 (Disciplina del servizio sanitario regionale) dà valore al processo d’integrazione e di governance nella costruzione di reti, costituendo le Società della Salute, e in un certo qual modo chiude il cerchio della sperimentazione volta a consolidare il modello di welfare toscano. Le Società della Salute:

«hanno compiti di programmazione e di gestione per quanto riguarda gli interventi di natura sociale e sociosanitaria, valorizzando l’apporto delle comunità locali, delle parti sociali e del terzo settore nell’individuazione dei bisogni di salute e nella

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programmazione e gestione delle risposte, garantendo la qualità delle prestazioni e il controllo dei costi» (Campedelli, Carrozza, Rossi 2009, p. 9).

Le Società della salute, in Toscana, oltre ad avere funzione di programmazione strategica, operativa, di monitoraggio e verifica, hanno anche funzione di gestione. Tutto questo deve realizzarsi (art. 71 bis della legge reg. 40/2005) attraverso il coinvolgimento della comunità locale, delle parti sociali e del Terzo settore, fondamentale per l’attuazione della programmazione partecipata, ove questi soggetti saranno in grado di rappresentare gli interessi dei destinatari dei servizi. Ciò diventa un elemento essenziale e determinante nel processo di programmazione, perché se è vero che programmare significa scegliere come si fa a scegliere? Possono esserci metodi e modi diversi: uno di questi è garantito dal valore riconosciuto alla partecipazione avente natura attiva. Partecipazione attiva significa che non si provvede a scegliere a tavolino, non si sceglie sulla base di riflessioni effettuate da esperti; fermo restando che la titolarità della decisione è una titolarità ascrivile all’Ente pubblico, nel momento in cui deve scegliere, si possono attivare dei meccanismi, dei processi di partecipazione che non sono solo di carattere consultivo ma sono tesi a raccogliere quegli elementi di conoscenza del sistema dei bisogni che sono poi utilizzati per fare le scelte. Il profilo di salute è uno strumento che la Regione Toscana utilizza per rappresentare l’area del fabbisogno di un determinato ambito territoriale ma può essere anche definito immagine di salute perché fotografa ciò che è presente, e cioè ciò che il sistema dei servizi è in grado di garantire. Il sistema dovrà, in primis, impegnarsi a garantire universalità, equità nell’accesso e qualità - appropriatezza delle prestazioni per la presa in carico integrata accostato a un controllo dei costi, nei limiti delle risorse individuate a livello regionale e comunale. Un lavoro di appropriatezza dovrebbe essere in grado di indicare quali sono le scelte operative più appropriate con un rapporto costo-benefici equilibrato per perseguire gli obiettivi di salute di un determinato territorio44. Inoltre, la legge regionale 60/2008 ha previsto l’attivazione del Piano sanitario e sociale integrato regionale quale strumento di programmazione unico comprendente l’assistenza sociale, sanitaria e sociosanitaria integrata. Anche a livello locale, gli strumenti di programmazione zonale sono sintetizzati in un unico strumento ossia il Piano integrato

44 Legge reg. 40/2005 art.71 bis comma 8. Si rimanda al seguente link: http://www.estav-

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di salute quale strumento di programmazione integrata delle politiche sanitarie e sociali a livello di zona distretto. Da questo piano deve essere predisposto successivamente il Piano attuativo locale.

L’iter legislativo della Regione Toscana, descritto nelle pagine precedenti, per la promozione dell’integrazione socio sanitaria, è stato sostanziato da diverse tappe che all’interno del dibattito nazionale portano alla costituzione di un vero e proprio modello di welfare toscano. Possiamo definirlo, per molti aspetti, un modello innovativo che parte dalla centralità della persona per poi sostanziarsi in un percorso di accompagnamento della stessa nel cercare risposte al bisogno complesso e rispondente al rispetto dei diritti della persona. Negli anni più recenti, la Regione Toscana ha approvato ulteriori leggi di modifica delle precedenti: la legge 44/2014, la legge 28/2015 e la legge 84/2015. La Toscana ha approvato anche il Piano Sanitario e Sociale integrato regionale 2012-2015, in seguito alla presenza di due piani distinti e separati rispettivamente uno per il sanitario e l’altro per il sociale. Poiché entrambi i piani riscontravano parti uguali, si è pensato di approvare un unico piano, fino ad arrivare alla delibera 317/2016 che ha riguardato l’articolazione del territorio regionale in Aree vaste, con la successiva riduzione del numero delle ASL.

Si ritiene, dunque, che promuovere i processi d’integrazione non è una questione ideologica: al contrario è una questione molto concreta, operativa, ove bisogna stabilire sistemi d’integrazione tra le istituzioni, scegliere le modalità di organizzazione coerenti, individuare modalità di lavoro multidisciplinari e coinvolgere il Terzo Settore. Si tratta di ragionare secondo una logica che individui il soggetto che sia in grado di svolgere le funzioni di governance (alle quali si possono aggiungere secondariamente anche quelle di gestione). Perché questo avvenga, è necessario che la Regione attui il decentramento delle funzioni di governo verso i Comuni, attraverso strumenti di programmazione, impegnandosi a integrare i vari settori di lavoro cominciando dai due settori più direttamente collegati alle politiche di tutela della salute, cioè sanitario e sociale. Infatti, se non ci si appresta a mettere in relazione le politiche sanitarie e sociali prima di tutto dal punto di vista della governance (e successivamente dal punto di vista della gestione), diventa difficile pensare a un soggetto che riesca ad agire sui determinanti di salute (ambiente, traffico, casa, formazione). Il tutto comporta di delegare ai Comuni funzioni di governo e, quindi, ragionare secondo criteri di circolarità della

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programmazione: la programmazione non è competenza esclusiva dell’organo superiore (in questo caso specifico della Regione). La circolarità non riguarda solo il rapporto tra Stato e Regioni, ma anche il rapporto tra Regione ed Ente locale e questa modalità di lavoro si costruisce attraverso lo strumento della legge. L’obiettivo è di pensare a un sistema di risposte che a livello dell’ambito territoriale zonale sia in grado di realizzare i diversi livelli e le diverse funzioni dell’integrazione socio-sanitaria, prevedendo delle specifiche norme e degli specifici impegni in carico ai Comuni nell’ambito di quello che è chiamato sistema di governance. Se dovessimo definire e schematizzare in maniera logica quelle che dovrebbero essere le fasi e i criteri di un processo di programmazione corretto facciamo sostanzialmente riferimento a queste:

- Programmazione strategica (obiettivi generali, obiettivi di salute); - Analisi dei bisogni (bisogni di salute);

- Programmazione specifica (obiettivi prioritari); - Programmazione operativa (obiettivi di sistema);

- Definizione dei programmi operativi (limitazione temporale); - Scelta azioni/ interventi;

- Individuazione dei soggetti (diversificazione e individuazione dei livelli di responsabilità);

- Definizione tempistica;

- Individuazione risorse: finanziarie, professionali, organizzative, strumentali.

La prima fase consiste nel definire gli obiettivi generali e gli obiettivi di salute che dovranno essere inseriti all’interno della funzione di programmazione strategica che riguarda gli indirizzi e i principi che dovranno essere posti a capo di un processo di programmazione. Si devono individuare quali sono gli obiettivi di salute che si vogliono realizzare per tutelare le condizioni di salute ad esempio delle donne che hanno subito violenza. Non bisogna definire solo gli obiettivi generali ma bisogna scendere nel dettaglio, misurare e vedere in maniera operativa e concreta a cosa si riferisce quell’obiettivo di salute che era stato definito precedentemente. La seconda operazione da svolgere consiste nel condurre un’attenta analisi all’interno del territorio che mostri quelli che sono i bisogni di salute cui s’intende dare risposta, attraverso il conseguimento degli obiettivi di salute. La programmazione operativa e specifica, infatti, non può essere collocata prima di quella strategica ma deve esserne la conseguenza perché quella operativa e specifica riguarda la definizione di programmi delineando le priorità. Se le priorità d’intervento all’interno dell’ambito delle donne

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vittime di violenza sono la tutela della salute fisica, psicologica, la protezione toucourt della persona, si auspica che tra gli obiettivi di sistema ci sia l’individuazione di un obiettivo che riguarda ad esempio il potenziamento dei servizi tanto sanitari quanto socio assistenziali, la costruzione di strutture residenziali per la protezione della donna insieme con i propri figli, ecc. Se l’obiettivo è di aumentare il numero delle donne che effettuano le denunce, si dovrà pensare ad altre tipologie d’interventi, cioè investire sull’informazione dei numeri ai quali la donna può ricorrere e sulla formazione degli operatori cui le donne possono rivolgersi, senza essere giudicate ma con la tutela di essere sostenute e protette.

Non basta mettere in piedi un servizio di tutela o una struttura perché nel momento in cui si mette in atto un programma operativo è necessario introdurre delle misurazioni. Misurare significa usare diversi strumenti di misurazione, per esempio il tempo. I diversi professionisti coinvolti nel prendere in carico la donna vittima di violenza, devono dare tempo a un progetto d’intervento. Sicuramente la temporalità degli obiettivi di salute è una temporalità ampia tanto che i piani sanitari regionali normalmente sono approvati per 3 anni, ma realmente hanno una durata più lunga, anche di 9 anni. Questo perché gli obiettivi di salute sono obiettivi di carattere strategico e in quanto tale hanno bisogno di tempo per essere perseguiti e realizzati; anche perché spesso la base di riferimento degli obiettivi strategici è la cultura, il modo di concepire le relazioni, le modalità di intervento. Modi di intervento che non riguardano solo gli atteggiamenti e comportamenti degli operatori ma anche quelli dei cittadini che richiedono le prestazioni. Spesso, si dice che, in questo settore, i cittadini richiedono quello che il sistema è in grado di garantire e offrire. Se la donna che ha subito violenza, conosce solo come luogo di cura l’ospedale, quindi non è informata sugli altri servizi presenti sul territorio, sicuramente non chiederà del Centro antiviolenza o del Consultorio ecc. Successivamente si procede con la scelta delle azioni e degli interventi, il programma è delineato sotto forma operativa con dei contenuti in cui si dovranno rendere comprensibile le azioni, gli interventi da fare. Ad esempio, se si vuole istituire un Centro Antiviolenza, ci si deve chiedere quanto personale impiegare, quali sono le strumentazioni che devono essere messe a disposizione, cosa serve. È necessario che qualcuno individui le strutture, le risorse, le sedi, le professionalità, le attrezzature.

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Altra fase, molto importante, consiste nell’individuazione dei livelli di responsabilità; questa è un’operazione che consente di controllare come vanno le cose, se questo intervento o questo programma operativo si sta progressivamente avvicinando all’obiettivo che si era posto di perseguire o si sta allontanando. Le responsabilità in quest’ambito, da qualche parte ci sono sempre e non si deve commettere l’errore di scambiare le responsabilità con l’individuazione del colpevole. Sono due cose diverse. Si tratta di capire il perché una data cosa sia successa e se c’è un colpevole, questo ne dovrà rispondere penalmente. È chiaro che all’interno di un reparto ci debbano essere dei protocolli che devono essere rispettati e che devono prevedere l’errore umano. I protocolli servono a delineare un certo tipo di percorso da un punto di vista operativo, per cui anche nel momento in cui c’è l’errore umano qualcuno se ne deve accorgere. Se invece questo non è previsto, l’errore umano può determinare delle tragedie. D’altronde, nel momento in cui si costruisce il protocollo, la procedura, nel momento in cui si deve obbligatoriamente stabilire cosa si deve fare, chi deve intervenire, queste cose vanno scritte perché quando succede qualcosa che non ha funzionato, si va ad individuare la responsabilità. L’importante è che quando si vanno a costruire tali strumenti di misurazione, che servono per vedere se stiamo lavorando bene o no, è necessario collocare i livelli di responsabilità. Si sta parlando di processi lunghi, all’interno dei quali i livelli di responsabilità sono diversi e se non s’individuano bene prima, si creano delle distorsioni. L’ultima fase è quella dell’individuazione delle risorse: finanziarie, professionali, organizzative e strumentali. L’individuazione delle risorse necessarie per offrire risposte adeguate non è un’operazione completa se non si pensa a quali sono i risultati che si devono perseguire.