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La risposta della Toscana: il Codice Rosa

NUMERO TOTALE FEMICID

4.2 La normativa nella Regione Toscana

Parlare di politiche contro la violenza è un compito non agevole. A fianco di leggi, sempre più efficaci, nel perseguire chi commette reati di violenza sessuale e molestie, non si può esimere dall’elaborare una risposta politica che metta in campo una strategia complessa di difesa dei diritti delle donne attraverso i vari piani: politico, sociale, sanitario, formativo e educativo (Reale 2011, p. 16). Le istituzioni sul piano politico si devono assumere la responsabilità della lotta alla violenza promuovendo tutte le azioni di contrasto. Sul piano sociale e culturale la risposta alla violenza deve essere mirata a correggere stereotipi, pregiudizi o banalizzazioni, mettendo a frutto le competenze di coloro che in questo campo hanno già lavorato e acquisito saperi, come risorse esperte. È su questo piano che si dovrebbe investire molto per ottenere dei risultati effettivi:

«modificando i modelli culturali, agendo sui processi di socializzazione, sulle immagini pubblicitarie […] sugli schemi narrativi che costituiscono le trappole

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logiche e semantiche in cui siamo impigliati anche quando si vuole fare informazione» (Biancheri 2016, p. 22).

Sul piano sanitario, occorre sapere che la violenza e i suoi effetti si pongono come problema complesso di salute pubblica, e che è quindi fondamentale adottare programmi formativi che migliorino le capacità d’ascolto e la competenza diagnostica (che coadiuverà quella legale) dell’affermazione dei diritti negati e lesi. Sul piano dell’informazione il tema deve diventare centrale nel dibattito pubblico attraverso programmi informativi e di sensibilizzazione che si discostino dalle narrazioni morbose cui assistiamo spesso. Sul piano della prevenzione bisogna investire nell’educazione delle giovani generazioni, per combattere la formazione di stereotipi e promuovere, invece, la formazione di una cultura basata sui rapporti paritari, maschio-femmina, nel rispetto della diversità di genere. Infine, sul piano dell’assistenza si dovrebbe puntare maggiore attenzione dai centri di ascolto alle case di accoglienza (Reale 2011, p. 17). Emerge un quadro abbastanza chiaro per il quale il peso della violenza non può e non deve essere portato sulle spalle delle sole donne che la subiscono; si tratta, dunque, di un fenomeno che coinvolge tutti e per questa ragione ciascuno nel proprio settore, con reti di collaborazione, potrà contribuire per l’avanzamento dei diritti e del benessere delle donne.

La Regione Toscana, così come altre Regioni del nostro Paese, ha emanato una legge ad hoc sulla violenza contro le donne: la legge regionale 16 novembre 2007 n. 59, dal titolo Norme contro la violenza di genere. Si tratta di una legge “quadro” regionale in materia di violenza di genere, poiché racchiude al suo interno i principi, le finalità e le attività che si intendono perseguire per cercare di far fronte al fenomeno. Attraverso questa legge si attribuisce una precisa fattispecie giuridica alla violenza contro le donne (nell'ambito della quale vanno ricomprese la violenza fisica, sessuale, psicologica, economica) sia come violazione dei diritti umani (concetto che è stato ribadito più volte, fino a diventare parte della Convenzione di Istanbul), sia come “un'autentica minaccia per la salute” e quindi un ostacolo al godimento “del diritto a una cittadinanza libera e sicura”74. Gli “addetti ai lavori” hanno utilizzato il termine violenza di genere piuttosto che quello di violenza sessuale proprio perché sia in ambito giuridico nazionale e internazionale è stata introdotta, recentemente, questa nuova categoria giuridica che,

74 Per maggiori informazioni si rimanda al seguente blog:

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oltre ad riunire i diversi volti della violenza, imprime quella vergognosa violazione dei diritti fondamentali dell’essere umano, limitandone drasticamente la libertà. L’art 1 della legge regionale 59/2007, definisce la violenza “ogni tipo di violenza di genere, psicologica, fisica, sessuale ed economica, ivi compresa la minaccia di tali atti, la persecuzione, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata”75.

In realtà, la regione Toscana aveva già introdotto le “Politiche per il contrasto della violenza contro le donne, i minori e in ambito familiare” nella legge regionale del 24 febbraio 2005 n. 41 sul Sistema integrato d’interventi e servizi per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale. Però se, con la legge 41/2005, la Regione ha adottato linee di indirizzo e strumenti di programmazione disegnati ad hoc per sconfiggere il fenomeno della violenza contro le donne, con la legge 59/2007 il legislatore toscano ha voluto invece dare spazio alla costruzione di una rete formale di soggetti che si occupano e che intervengono per lavorare in un sistema integrato. Infatti, l’approvazione di questa legge regionale ha fatto fiorire un’ampia partecipazione sia di soggetti istituzionali e sociali e soprattutto del Terzo Settore, i quali operando sul territorio conoscono in maniera più diretta i veri e quotidiani disagi fisici e psicologici delle persone. Si va consolidando la costruzione di quella che è la “rete”, promuovendo interventi programmati e mirati che tutelino i diritti fondamentali e che sviluppino politiche di welfare e di cittadinanza. L’art. 3 della legge reg. 59/2007 individua i soggetti aderenti alla rete quali:

«Comuni, Province, le Aziende ospedaliero – universitarie, le Aziende Unità Sanitarie Locali, le Società della Salute, l’Ufficio scolastico regionale e gli Uffici scolastici provinciali, le Forze dell’ordine, gli Uffici territoriali del governo, la Magistratura, i Centri Antiviolenza».

Tutti questi soggetti devono essere pensati secondo una posizione circolare, gli uni in stretta collaborazione con gli altri, ciascuno con specifici compiti. Cimagalli evidenzia che la legge regionale ha previsto che “la vittima possa rivolgersi anche a un solo soggetto della rete, per attivare l’assistenza e la protezione da parte di tutti i soggetti che ne fanno parte” garantendo un percorso di uscita dalla violenza compreso il reinserimento sociale, lavorativo, abitativo (Cimagalli 2014, p. 74). La rete, infatti, si

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Per il testo completo si rimanda al seguente link:

http://federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=8841&dpath=document&dfile=27112007042028.pdf& content=TOSCANA,+L.R.+n.+59/2007,Norme+contro+la+violenza+di+genere+-++-++-+ visualizzato il 12-08-2017.

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attiva solo se la vittima di violenza decide di denunciare (secondo il principio di autodeterminazione). Qualora esista questa volontà, allora tutti i soggetti della rete dovranno garantire un sostegno adeguato, immediato e personalizzato per la vittima e per i familiari eventualmente coinvolti. La Regione, all’art.3, adotta un Piano di azione che si snoda su diverse linee d’intervento “procedure omogenee, linee guida e d’indirizzo contro la violenza mediante gli strumenti di programmazione di cui alla l.r. 41/2005, protocolli d’intesa e progetti integrati”. In ogni articolo della norma è chiara la volontà del legislatore di contrastare ogni forma di violenza, attraverso la costituzione di questa rete che garantisce sostegno alle vittime. Pertanto, l’art.5 della suddetta legge reg. assicura:

«il soccorso in ogni fase, presso le strutture ospedaliere e presso le Aziende USL, l’intervento dei servizi sociali, l’accoglienza, il sostegno e la protezione presso centri antiviolenza presenti sul territorio o presso case rifugio».

Inoltre, il legislatore punta molto sulla formazione congiunta di tutti gli operatori interessati nella rete per fornire strumenti idonei. La Regione Toscana, con la legge 72/1997, al fine di attuare in maniera efficace le linee di attività progettuali indicate nella medesima, ha istituito con sede a Firenze, l’Osservatorio sociale regionale. Ma è con la successiva legge regionale 41/2005 e ss.mm. all'art. 40 che si istituisce presso l'Osservatorio sociale un'apposita sezione denominata Osservatorio regionale sulla violenza di genere con il compito di svolgere diverse azioni di monitoraggio ma anche azioni di raccolta, elaborazione e analisi dei dati forniti dai diversi servizi coinvolti in questo ambito. Infatti, l’Osservatorio sociale regionale è chiamato a pubblicare annualmente il Rapporto sulla violenza di genere in Toscana76; la Regione Toscana riguardo a questo strumento è una delle regioni più all’avanguardia poiché non è una realtà diffusa a livello nazionale. È dal 2009 che la Toscana, raccogliendo i dati provenienti dai soggetti che costituiscono la rete, li elabora per poi stilare linee guida.

La Regione mira a rafforzare le varie attività svolte dagli operatori socio-sanitari e dai Centri Antiviolenza e ne promuove la nascita di altri, avvalendosi delle competenze degli attori del Terzo Settore che perseguono lo scopo della lotta e della prevenzione

76 Il Rapporto è il frutto dell’elaborazione di informazioni provenienti da banche diverse, e costituisce

pertanto esso stesso un tentativo di integrazione tra i servizi, contribuendo a una maggiore conoscenza del fenomeno e all’elaborazione di un linguaggio comune e di percorsi condivisi (tratto dall’ Ottavo Rapporto sulla violenza di genere in Toscana 2017 p. 7). Per il testo completo si rimanda al seguente link:

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della violenza. Sono proprio i Centri Antiviolenza della Toscana77, coordinati nella rete “Tosca”78

(che ne raggruppa ben 13), a fornire i dati certi e reali che vanno a rispecchiare la realtà complessa. I centri appartenenti a questa rete hanno in comune alcuni principi ritenuti “imprescindibili” tra i quali si ricordano: l'utilizzo di un approccio di genere (dove la violenza contro le donne trova le sue radici strutturali nei rapporti asimmetrici tra uomo e donna), l'utilizzo della metodologia dell'accoglienza per la donna vittima di violenza e l'importanza del lavoro di rete per cercare di sconfiggere il fenomeno. L’Art. 6 della legge reg. 59/2007 sottolinea che i Centri Antiviolenza sono chiamati a fornire servizi di ascolto e di sostegno alle vittime di violenza. Nello specifico si tratta di “colloqui preliminari di valutazione e rilevazione del pericolo, colloqui informativi di carattere legale, affiancamento, su richiesta delle vittime, nella fruizione dei servizi pubblici e privati, nel rispetto dell’identità culturale e della libertà di scelta di ognuna di esse, sostegno al cambiamento e al rafforzamento dell’autostima anche attraverso gruppi autocentrati, percorsi personalizzati di uscita dal disagio e dalla violenza, tendenti a favorire nuovi progetti di vita e di autonomia”.

Come detto più volte, il sistema integrato socio-sanitario, fa in modo che si attivi da subito un intervento multidisciplinare utile a sostenere immediatamente il soccorso alla vittima

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A questa legge regionale sono, infatti, connesse le Linee Guida del 2010, che sono servite e tuttora servono per dare attuazione alla legge del 2007, con lo scopo di dettagliare le competenze degli enti coinvolti. I Centri Antiviolenza79, come precedentemente affermato, non sono gli unici soggetti volti al sostegno delle donne vittime di violenza. Infatti, la costituzione della rete dispone l’integrazione fra i diversi attori presenti nella Regione; il Legislatore a fronte della consapevolezza che per debellare questa piaga sociale è necessario la collaborazione e la sinergia di tutti gli

77 La Toscana, grazie ai sistemi informativi regionali, ha messo a disposizione per la raccolta delle

informazioni e dei dati, un applicativo web che ogni Centro antiviolenza può utilizzare per gestire le proprie attività con la finalità di definire un data base per l'analisi del fenomeno.

78 I Centri antiviolenza sono distribuiti sul territorio regionale nelle città di: Firenze, Prato, Arezzo,

Grosseto, Lucca, Montecatini, Pisa, Viareggio, San Miniato, Montepulciano, Valdelsa e Siena. Inoltre, sul territorio toscano sono presenti circa 300 strutture e 8 case rifugio. Il rapporto dell’Osservatorio sociale regionale del 2016 mette in luce che «sono certamente cresciute capacità di riconoscimento del fenomeno, volontà e possibilità di far emergere le situazioni di violenza, grazie anche al forte impegno in prevenzione e sensibilizzazione, ma il fenomeno non è certo in via di esaurimento e anzi fa sentire ancora forte la sua presenza» (OSR 2016, p. 117).

79 L'elenco dei Centri antiviolenza toscani in possesso dei requisiti di cui all'Intesa del 27 novembre 2014,

così come attestato dalle Province al 31 dicembre 2015, è consultabile al seguente link:

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attori, con la recente legge regionale 67/2016 ha istituito il Comitato regionale di coordinamento, un valido strumento a disposizione per affrontare il fenomeno in maniera trasversale e integrata.

Tra i Centri Antiviolenza presenti sul territorio regionale emerge, con notevole importanza, quello dell’Associazione Artemisia80

, che presenta al suo interno una struttura particolare, suddivisa per settori. La struttura è stata descritta da Cimagalli, nel suo libro del 2014 (p.76) e prevede “il settore donne che si occupa dell’accoglienza e dell’ospitalità a donne che subiscono violenza; il settore minori che si occupa di bambini e bambine vittime di abuso sessuale, maltrattamenti e violenza assistita, e di adulti che hanno subito violenza in età minore” (Cimagalli 2014, p. 76). L’Associazione Artemisia, nel tempo, ha dato avvio a diversi progetti; uno di questi in via sperimentale e che rappresenta un modello per il resto del Paese, promosso in collaborazione con l’ASL 10 di Firenze e finanziato dal Cesvot Innovazione, è il CAM ossia il Centro di Ascolto uomini Maltrattanti (operante dal 2009). Il CAM rappresenta un luogo di riferimento per tutti quegli uomini che vogliono avviare un percorso di cambiamento e un percorso di assunzione delle responsabilità circa il loro comportamento di maltrattamento fisico e/o psicologico, economico, sessuale, e di stalking. L’uomo maltrattante è preso in carico da un’équipe multiprofessionale che offre colloqui di orientamento e dà la possibilità di partecipare a dei gruppi. Cimagalli (2014, p. 77), delinea il percorso di cambiamento:

«nei primi colloqui con il maltrattante, svolti da operatori uomini, si chiede l’autorizzazione all’attivazione della rete e al contatto partner, con lo scopo di delineare fin da subito il quadro motivazionale. Tra gli obiettivi prioritari figura il miglioramento della sicurezza delle vittime, per cui la partner è informata del trattamento previsto per il compagno e dell’esistenza del Centro antiviolenza del territorio cui lei può rivolgersi per ricevere supporto e sostegno. Inoltre, le è chiesta una valutazione dei comportamenti violenti subiti e della loro gravità e le è comunicato che sarà informata nel caso il partner decidesse di interrompere il trattamento. Dopo il primo ciclo di colloqui individuali è previsto l’eventuale inserimento del maltrattante in gruppi psico-educativi condotti da un uomo e una donna. Una volta entrati nel gruppo, gli uomini devono impegnarsi a non agire comportamenti violenti durante il trattamento, o di riferirlo nel caso li mettessero in atto, pena l’esclusione dal gruppo».

Oltre al CAM, operativo a Firenze, in tutta la Toscana ci sono altri 3 servizi operativi rivolti agli uomini autori di violenze. A Lucca, è stato istituito il SAM ossia lo Sportello

80 Maggiori informazioni sulle attività dell’Associazione Artemisia sono consultabili al sito

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di Ascolto Uomini Maltrattanti, a Pisa vi è l’Associazione Nuovo Maschile. Uomini liberi dalla violenza e a Livorno, l’Associazione LUI. Dall’ultimo documento che la Regione Toscana ha stilato ossia l’Ottavo Rapporto sulla violenza di genere in Toscana (p.106) si sottolinea l’importanza di questi servizi rivolti al recupero dei carnefici che:

«hanno iniziato a lavorare rispetto alla strutturazione di percorsi di recupero per uomini autori di violenze e, al contempo, all’organizzazione di attività di sensibilizzazione sul tema della violenza maschile e, più in generale, del ruolo dell’uomo all’interno della società, con l’obiettivo di andare a incidere su quei modelli culturali, particolarmente radicati, basati sul patriarcato e sul predominio dell’uomo sulla donna».

Diventa, quindi indispensabile la cooperazione, il lavoro di rete tra enti e associazioni che si occupano del fenomeno per garantire sostegno non solo alla donna che subisce violenza bensì agli uomini autori di violenza e a tutti quei testimoni diretti che possono essere rappresentati dai figli minori, i quali sono vittime di violenza assistita. Nell’ambito della prevenzione, infine, bisognerebbe considerare la violenza come un rischio e “progettare dal basso e in prospettiva reticolare81 modalità soft di risoluzione dei conflitti fra l’uomo e la donna, fra modelli e culture divergenti in grado di creare sicurezza attraverso politiche sociali” (Bartholini 2014, p. 156).