• Non ci sono risultati.

La violenza nell’analisi contemporanea: aspetti teoric

Violenza: l’ombra della sfera privata

3.2 La violenza nell’analisi contemporanea: aspetti teoric

Per secoli, l’atteggiamento dominante della nostra società, in tema di violenza contro le donne, è stato contraddistinto dalla negazione dell’esistenza del fenomeno, soprattutto nella percezione collettiva dell’opinione pubblica, tanto da rimanere sommerso per molto tempo. Per Gainotti (2008, p.51) la violenza sulle donne “è rimasta celata, sotto un’importante normalità, poiché sembrava coincidere con i valori dominanti e con le tradizioni culturali”. Anche gli studi scientifici e sociologici hanno, purtroppo, tralasciato di approfondire lo studio del fenomeno in oggetto, puntando la loro attenzione, invece, verso le categorie dell’agire che tendono a coniugarsi al conflitto. Sappiamo quanto sia importante, oggi, sensibilizzare e propagare la consapevolezza che il fenomeno della violenza non sia un fatto privato, bensì un crimine che mina l’equilibrio dell’intera società e di un vero e proprio problema sociale. In generale, con il termine violenza s’intende un’azione volontaria che ha come fine quello di recare un danno a un’altra persona. La violenza, scrive Héritier è, secondo un’accezione classica:

«ogni costrizione di natura fisica, o psichica, che porti con sé il terrore, la fuga, la

disgrazia, la sofferenza o la morte di un essere animato; […]» (Héritier 1997, p.15). L’attitudine più comune, infatti, è quella di associare la violenza all’azione fisica, o più precisamente al danno fisico, ed esiste nei linguaggi una certa confusione, che tende a utilizzare l’espressione “violenza contro le donne” solo come equivalente di stupro, mentre in realtà i tipi di violenza possono essere tanti. Oggi, sebbene essa sia uscita dal

~ 82~

silenzio e dalla marginalità e ufficialmente condannata dai vari atti internazionali, molte violenze continuano a essere consumate ai danni delle donne, in molte culture e con una frequenza preoccupante. La violenza è diventata, secondo Bartholini (2013, p.10) “parte del nostro sistema percettivo, cognitivo e relazionale, e della nostra quotidianità”. L’ipotesi della Corradi (2009, p.9), invece, è di concepirla “sia come uno strumento di potere ma anche come una forza sociale generatrice di potere che con esso si confonde: mezzo e obiettivo coincidono”. Emerge, quindi, una nuova concezione della violenza, quella che la stessa Corradi definisce modernista, da renderla un fenomeno sociale unitario che si manifesta nelle sue forme estreme, che è visibile in forma spettacolare e che è in grado di associare aspetti individuali, sociali, economici e culturali. In termini teorici, i requisiti di tale fenomeno modernista sono:

«il legame tra ragione ed emozione, l’invenzione di un nemico per difendere confini e identità rigide di un gruppo, il corpo della vittima trasformato in materia da modellare, la diffusione spettacolare delle atrocità nei media, la scomparsa dell’aggressore dentro un progetto che la sovrasta e, insieme, il suo protagonismo» (Corradi 2009, p. 104).

Il fenomeno della violenza è un problema che è sempre stato presente nella storia dei secoli, ma al quale, in periodi ed epoche diverse, sono stati dati significati differenti. Nello studio della violenza contemporanea, quindi, sarebbe fruttuoso combinare sia la nozione classica sia quella modernista, in modo tale da avere una visione unitaria che restituisse la possibilità di avere un quadro generale, circa gli elementi costitutivi che vanno a innescare l’agire violento. La violenza sulle donne ha subito, nel corso del tempo, diverse definizioni dettate principalmente dal contesto sociale e istituzionale e conferite, in primo luogo, dalle istituzioni. E’ interessante osservare, come per Corradi (2009. p.19), “la violenza sia una forza che struttura l’identità personale […] che dà forma al corpo della vittima e dove aggressore e vittima non sono semplicemente attori ma soggetti in senso pieno, persone con un corpo situato nello spazio e nel tempo”. Tuttavia, la lettura che fin dal passato è stata data sulla violenza contro le donne è quella fondata sull’asimmetria di potere tra uomini e donne, di cui abbiamo parlato nel precedente paragrafo. Essa implica la lesione di diritti, anche, formalmente acquisiti e può, quindi, essere definita come violenza sessista o forma di discriminazione basata sul sesso. Per dare voce a questi eventi tragici e drammatici, la sociologia, infatti, si è sempre concentrata sull’equazione potere-violenza. Nel corso degli anni si è avviato un

~ 83~

percorso di riconoscimento della violenza di genere49, come problema fondato sulla relazione uomo-donna, relazione alla quale l’uomo si approccia utilizzando la violenza come unico metodo per ottenere potere e sottomissione. Poiché è un fenomeno unitario, la violenza “modernista” mette in luce la sua doppia essenza “sostantiva e fondativa e quella procedurale e ritualizzata” (Bartholini 2013, p.174). In conseguenza di ciò, la violenza diviene autosufficiente, autoimmune ed escludente il conflitto:

«è autosufficiente perché, nella relazione in cui viene ritualizzata, finisce per trasformarsi nell’unica espressione concreta di legame fra partner; è autoimmune, perché respinge ed esclude dal suo interno ogni altra forma di resistenza o opposizione alle pratiche coercitive che vengono poste in essere; è oppressiva e sostitutiva rispetto al conflitto, poiché è l’oppressione che rende nella sua fase attiva impossibile ogni strategia di difesa o di contro- attacco da parte della vittima» (Bartholini 2013, p. 125).

L’ambito in cui spesso la prevaricazione sulla donna prende forma è la famiglia, il luogo che dovrebbe garantire a tutti i membri sicurezza e protezione, ma che può trasformarsi in contesto di paura e sgomento, le cui conseguenze psicologiche diventerebbero pervasive e paralizzanti50. La donna può essere protagonista di episodi violenti durante tutto il suo percorso di vita. A essere maltrattate, percosse e umiliate sono, infatti, tutte le donne d’ogni età, cultura, razza e status sociale, perché la violenza è un fenomeno trasversale; non solo, dunque, donne adulte, ma anche le neonate, le bambine in tenera età, le ragazzine adolescenti, le donne anziane e le nasciture (Le Onde, 2004). In ogni fase della vita, pertanto, la donna può trovarsi di fronte alla minaccia maschile e al rifiuto della sua autonomia femminile. I danni provocati da una quotidianità vissuta in un clima violento e gli effetti devastanti che ne derivano, si ripercuotono non solo su chi la subisce, direttamente, ma anche su chi è spettatore passivo e impotente (violenza assistita), sino ad arrivare alla misoginia, quell'odio profondo per le donne che porta all'atto estremo. Si evidenzia, inoltre, che le ragioni che portano la donna a ritardare la decisione di lasciare definitivamente il proprio uomo sono diverse:

49

Con l’espressione violenza di genere s’intende «l’insieme delle violenze esercitate contro le donne, in tutte le fasi della loro vita, in ogni contesto, sia privato sia pubblico» (Vodarich 2008, p.14).

50 Come sostiene Biancheri «i maltrattamenti all’interno della famiglia, rispetto all’immagine armonica

del focolare, appaiono visibili se utilizziamo una prospettiva diacronica da cui emerge una diffusa “cultura della violenza” legata, com’è noto, al potere correzionale esercitato dal marito, al delitto d’onore e allo stupro coniugale» (Biancheri 2016, p. 19). Tra la violenza, il genere e la salute esiste un legame millenario, una connessione che il tempo non è riuscito a scalfire, come non riesce a lenire i danni fisici o psicologici che la violenza provoca a tutti i livelli compromettendo profondamente il sistema salute.

~ 84~

«i motivi di questa prolungata sofferenza derivano dal lungo processo che s’innesca nella psicologia e nei comportamenti delle donne, che va dall’auto colpevolizzazione alla paura per i figli e all’insicurezza economica: elementi complessi e intrecciati sottilmente in una dinamica patologica e distruttiva che trattengono le vittime accanto al loro carnefice» (Biancheri 2016, p. 28).

È possibile distinguere diversi tipi di violenza: le violenze fisiche, le violenze psicologiche, le violenze economiche e le violenze sessuali. Queste diverse tipologie possono presentarsi distintamente, ma anche combinarsi e spesso essere agite da chi si conosce, da colui cui si è legate da un rapporto affettivo e da una vicinanza prossimale (partner, padre, zio, amico di famiglia ecc.) ma anche da un estraneo (e non per questo essere meno dolorose). Rispettivamente le prime sono quelle più facilmente individuabili e sono intese come qualsiasi azione fisica che si manifesta in livelli diversi di gravità e comprende comportamenti quali spingere, mordere, tirare i capelli, picchiare, schiaffeggiare, strangolare e uccidere.

Allo stesso tempo la violenza psicologica accompagna sempre quella fisica e in molti casi la precede. La violenza psicologica può essere interpretata come strategia che offende e umilia la dignità e l’identità della donna, facendole credere di essere una persona priva di valore. Si tratta di comportamenti che s’insediano nella relazione e che finiscono per essere accolti dalla donna stessa che, spesso, non riesce a vedere quanto siano lesivi e dannosi per la propria personalità. La relazione di coppia è il suo principale ambito di compimento ed essenzialmente i comportamenti tipici della violenza psicologica sono: rifiutare la comunicazione, intimorire, insultare, oltraggiare. Le leggi promulgate ed entrate in vigore, in tema di violenza, puniscono penalmente i reati contemplanti violenze fisiche o sessuali, mentre quelle psicologiche che non lasciano lividi visibili sul corpo, ma che producono ferite interiori, sono più difficili da dimostrare e quindi da punire con la legge. Si tratta, infatti, d’aggressioni che non agiscono sul piano fisico, ma di parole, sguardi, tono di voce che giorno dopo giorno mettono in atto un processo di distruzione psicologica. In questo processo di distruzione dell’identità e della dignità della donna svolgono un ruolo molto importante le emozioni. Tra tutte, quella che maggiormente è espressa di fronte a manifestazioni di violenza è l’orrore, che Corradi, definisce come:

«una mistura […] di sentimenti contrastanti: disgusto nel guardare un corpo martirizzato; dolore per la sofferenza della vittima; sgomento nell’immaginare la furia dell’aggressore; pietà di fronte all’uccisione di un essere tanto umano quanto

~ 85~

umana sono io che guardo; paura che possa accadere di nuovo; terrore che tale atto sia fuori dal mio controllo […]» (Corradi 2009, p. 24).

Un tipo di violenza psicologica molto frequente è quella che si manifesta nelle relazioni finite ed è chiamata stalking, ossia l’insieme di atti persecutori tenuti da una persona nei confronti della propria vittima. Il molestatore utilizza lettere e le telefonate oppure ricorre a modi non del tutto diretti come l’invio di sms o e-mail per comunicare con lei. Lo stalker, può essere chiunque: l’ex partner, un conoscente, una persona conosciuta per caso oppure un estraneo, anche se più delle volte sono gli ex partner che tentano di riportare in salvo la relazione sentimentale. Sono molte le vittime che a seguito di queste esperienze soffrono d’ansia, avvertono uno stato di allerta, rinunciano alla vita sociale, sono costrette a cambiare di frequente il numero telefonico o in alcuni casi anche lavoro o residenza (Vodarich 2008, pp. 27-28). Lo stalking, nell'ordinamento giuridico italiano è un reato di recente applicazione introdotto nel 2009 con la legge n.38 come misura per sanzionare penalmente il ripetersi di comportamenti molesti, ossessivi e persecutori. La norma fa preciso riferimento alla violenza di genere con l'inasprimento delle pene per i reati di violenza sessuale51.

Un altro tipo di violenza, definita “bianca”, esercitata e della quale raramente si parla, è quell’economica che consiste essenzialmente nell’impedire l’accesso alle risorse economiche, attraverso varie forme di privazione e controllo. Un comportamento tipico della violenza economica è quello di privare la donna delle informazioni concernenti il conto corrente, costringerla a spendere il suo stipendio nelle spese domestiche, obbligarla a licenziarsi o cambiare tipo di lavoro, oppure a versare lo stipendio sul conto

51 La legge n. 38 del 2009 converte il Decreto Legislativo n. 11/2009 Misure urgenti in materia di

sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori. Questa legge ha introdotto, nel nostro ordinamento giuridico, il reato di stalking e nuove norme finalizzate a contrastare e prevenire gli atti persecutori. Per combattere concretamente la violenza esercitata a danno delle donne, nel codice penale è stato introdotto l'articolo 612 bis (Atti persecutori) che disciplina i delitti contro la libertà morale che novella: «salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, in altre parole con armi o da persona travisata. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio».

~ 86~

dell’uomo. La violenza sessuale, invece, è quella che impone rapporti sessuali non desiderati. Può verificarsi anche tra le mura domestiche se è quella commessa da parte di mariti, padri e fratelli e spesso si crede che essa debba rimanere segreta a protezione della famiglia. Questo tipo di violenza è “un’azione degradante che dura nel tempo; vuole imprimere una macchia sulla dignità della donna, la quale, suo malgrado, rischia di portarla per sempre” (Corradi 2009, p. 46). L’unico discrimine tra violenza sessuale e sessualità non violenta diventa, per le donne, la presenza o l’assenza di consenso.

Oltre alle violenze fino ad ora prese in esame, occorre considerarne, infine, un altro tipo, generalmente considerato meno grave rispetto a quelli sopra descritti, ma che riflette comunque una precisa visione della donna e può avere conseguenze altrettanto importanti. Si tratta di tutti quei comportamenti che si configurano come ricatto e che si manifestano in contesti come il lavoro, l’ambiente scolastico o quello professionale. Solo di recente è stato identificato come un comportamento che produce danni psicologici e rientra in quel fenomeno comunemente definito come mobbing (Hirigoyen 2000, p. 53). Oggi quello della violenza è un problema diffuso:

«è un fenomeno unitario che attiene a modalità comportamentali oggettive e categorizzabili. Mobbing e stalking, così come bullismo e cyber bullismo sono usati per indicare una violenza ripetuta e, spesso, ritualizzata» (Bartholini 2013, p. 30).

Il nostro Paese è, in particolar modo, indietro perché si limita a dare interpretazioni deboli e interventi inefficaci. Vi è la consapevolezza che si tratta di un fenomeno preoccupante l’intera società e che va diffondendosi sempre più velocemente con una frequenza allarmante all’interno delle mura domestiche. La violenza domestica, infatti, è quella che avviene tra le mura di casa e, sebbene quando si parla di essa, si pensa comunemente che riguardi solo il fenomeno della violenza fisica, in realtà i tipi di violenza che si possono intrecciare tra di loro e manifestarsi in casa possono essere tanti. La violenza domestica, che mi appresto a descrivere nel paragrafo successivo, può essere considerata come un misto di violenza fisica, ma anche psicologica, tacita e invisibile che a oggi appartiene all’intimità della vita di molte donne e che si presenta quotidianamente in molte famiglie.

~ 87~