• Non ci sono risultati.

Le politiche di contrasto alla violenza di genere in Italia

La risposta della Toscana: il Codice Rosa

4.1 Le politiche di contrasto alla violenza di genere in Italia

Il contesto normativo italiano, in tema di violenza di genere, a parità del livello europeo, si mostra fortemente influenzato dall’azione e dalle riflessioni operate, dagli anni Settanta, dai movimenti delle donne e dalla persistente visione patriarcale dei rapporti di genere. Si tratta di un percorso lungo e controverso per le diverse questioni spesso ideologiche che la donna ha dovuto affrontare, sia per il riconoscimento del suo ruolo all’interno della società e all’interno del contesto familiare. Il periodo che va dalla fine degli anni Ottanta al 1996 ha visto l’emanazione di norme espressamente volte al contrasto della violenza sessuale e l’Italia ha provveduto a riformare il Codice di procedura penale. Il significato che è attribuito dal diritto a questo tipo di violenza è di fondamentale importanza per capire e analizzare i rapporti tra i sessi e il modello culturale dominante.

Nel 1979, una proposta di legge contro la violenza sessuale fu deposta in Parlamento, ma il disegno di legge fu approvato soltanto nel 1996, con la Legge del 15 febbraio n. 66, Norme contro la violenza sessuale. Secondo la legge, l’integrità fisica e psichica dei soggetti, indipendentemente dal genere e dall’età, deve essere tutelata dal legislatore sia che siano costretti a compiere l’atto sessuale violento sia a subirlo. Inoltre, la legge si propone di indicare l’ipotesi di reato con il termine atti sessuali inglobando anche quei casi in cui non vi è stato un contatto fisico tra vittima e carnefice. Affinché la legge sia applicata, è necessario in primis denunciare il fatto alla questura entro il termine di sei mesi dal compimento ed è molto importante recarsi il prima possibile da un medico di fiducia o in ospedale affinché venga certificato lo stato di

http://www.ingenere.it/sites/default/files/ricerche/violence_economic_independence_report_2017.pdf visualizzato il 25-08-2017.

~ 105~

salute. Una volta presentata querela, essa non può più essere ritirata65. Ma il vero rinnovamento avvenuto con l’approvazione della legge 66/96 è stato l’introduzione della violenza sessuale nel capo concernente i delitti contro la libertà personale, mentre precedentemente questo crimine era inserito nel capo riguardante i delitti contro la moralità pubblica e il buon costume. Un cambiamento culturale che può essere evidenziato dal fatto che il dettato della legge equipara la violenza carnale agli atti di libidine violenta, puniti in passato diversamente. Si sottolinea, all’interno della suddetta legge che per accertare che l’abuso sessuale sia stato commesso, basta solo che sia dimostrata la mancanza di consenso. Nonostante le diverse battaglie, la situazione attuale, relativa alla violenza sessuale, in Italia non è migliorata, anzi è degenerata. I processi sulla violenza sessuale si concludono spesso con l’assoluzione del colpevole o con l’applicazione di pene irrilevanti e poco soddisfacenti per chi ha subito la violenza. Per non parlare dei percorsi lunghi e travagliati cui deve sottoporsi la donna che decide di denunciare, dovendo sempre sperare di essere creduta e correndo ogni volta il rischio di vedere ritorcere su se stessa il danno ricevuto e vedersi trasformare da vittima in complice. Nel nostro Paese purtroppo, fino a qualche tempo fa, funzionava così: chi era vittima di violenza doveva cercare di dimostrarlo con tutti i mezzi possibili, perché non era facile che le credessero. Si attuava un’indagine vera e propria nella vita passata della donna e ogni piccolo sbaglio poteva diventare una condanna. Oggi, invece, possiamo ritenere che la percezione del fenomeno stia lentamente cambiando e anche le donne acquisiscono più sicurezza nell’approcciarsi con gli Operatori dei vari servizi.

Nello specifico del caso italiano, il governo Prodi, scrive Cimagalli (2014), oltre ad aver istituito il Ministero delle Pari Opportunità, ha emanato la direttiva D.P.C.M. 616/1997 che indica le seguenti azioni: lo sviluppo di un sistema di monitoraggio e rilevazione del fenomeno, l’adozione di provvedimenti legislativi idonei al contrasto della violenza domestica, la lotta alla prostituzione coatta e la realizzazione di campagne di sensibilizzazione. Sul piano operativo, nel 1998, si è arrivati a una forma di collaborazione tra le politiche nazionali e locali con il programma europeo Urban Italia, all’interno del qual è stata promossa la Rete Antiviolenza tra le città con lo scopo di:

65 Legge n. 66/ 1996 Norme contro la violenza sessuale, consultabile al sito:

~ 106~

«indagare sulle caratteristiche dei vari centri e di metterli in rete al fine di un’armonizzazione complessiva e di una razionalizzazione delle risorse» (Cimagalli 2014, p. 15).

Un altro cambiamento giuridico, in materia avvenuto in Italia, è dato dall’approvazione della legge 4 aprile 2001 n. 154, intitolata Misure contro la violenza nelle relazioni familiari. Questa legge mira a introdurre nuove misure volte a prevenire e a contrastare i casi di violenza domestica o di prossimità con l’obiettivo di rinsaldare i rapporti all’interno della stessa. La legge, inoltre, introduce un’importante misura cautelare ossia l’allontanamento dalla casa familiare del soggetto violento in ambito penale e i c.d. ordini di protezione in ambito civile. La misura cautelare può essere emessa dal Giudice, solo dopo aver sentito il Pubblico Ministero, se quest’ultimo durante le indagini preliminari avesse riscontrato casi che ricoprono i requisiti di necessità e urgenza. Gli ordini di protezione, invece, possono essere richiesti sia dal soggetto che subisce violenza e sia dal giudice. L’applicazione dell’ordine di protezione, che non può superare i sei mesi, ma che può essere prorogato solo su richiesta della persona offesa, può essere emesso dal Giudice. Altrimenti, decorso il termine di legge o quello inferiore fissato dal giudice, il provvedimento decade automaticamente66. A più di dieci anni dalla promulgazione della legge, però, non esiste alcuna sua valutazione.

Rimanendo sul piano operativo in Italia, in continuità al progetto Urban-Italia (1998-2005), nel 2005 è stato avviato il progetto Arianna che ha previsto l’istituzione della Rete nazionale Antiviolenza, con successiva attivazione e gestione di un servizio call center, mediante un numero verde 1522, che rappresenta uno strumento tecnico di sostegno per le reti antiviolenza locali. Si tratta di un numero gratuito attivo su tutto il territorio nazionale H24 e utilizzato al fine di far emergere il sommerso della violenza. È, sempre, in quegli anni che è stata pubblicata la prima indagine nazionale dedicata alla violenza contro le donne. L’ indagine Istat del 2006 ha rilevato che:

«il 32% delle donne italiane ha dichiarato di aver subito violenza fisica o sessuale nel corso della vita e il 14% dichiara di aver subito violenza fisica dal partner; il dato percentuale cresce con l’aumentare dello status sociale e del livello d’istruzione della donna, mentre cala con il decrescere di tali livelli» (Corradi 2011, p. 7).

66 Legge n. 154/2001 Misure contro la violenza nelle relazioni familiari, consultabile al sito:

~ 107~

I numeri, impressionanti, lasciano spazio a tanti quesiti che purtroppo non trovano risposte. Infatti, molte sono le donne che faticano a riconoscere la violenza all'interno delle loro relazioni affettive, sebbene si sappia che un suo riconoscimento precoce eviterebbe il ripetersi e il protrarsi di maltrattamenti e il numero di femmicidi/femminicidi sicuramente diminuirebbe.

Continuando l’excursus sulla normativa italiana si arriva all’anno 2009, che ha segnato un ulteriore avanzamento verso la tutela effettiva della donna. Grande svolta nella legislazione italiana è delineata dalla legge 23 aprile 2009 n. 38 che ha convertito il Decreto-Legge 23 febbraio 2009 n. 11 recanti Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori. Questa legge definisce e persegue per la prima volta anche il reato di stalking. Con l’art. 612 bis c.p. s’identifica il reato di atti persecutori, ossia quelle condotte che ostacolano la vita privata di una persona. Il tratto connotante del reato di stalking si configura nel ripetersi della condotta, tale da recare danni alla persona, soprattutto a livello psichico causando terrore per la propria incolumità. La pena applicabile, nel caso in cui si realizzi questa condotta, può variare e andare da un minimo di sei mesi sino a quattro anni di reclusione67. La normativa precedente, invece, non era in grado di affrontare il problema, poiché le fattispecie penali applicabili erano poco efficienti dal momento che miravano a punire altri illeciti e non prevedevano azioni adeguate per contrastare il fenomeno. Adesso, con l’introduzione del reato di stalking, invece, s’includono anche tutte quelle condotte assillanti e opprimenti che hanno l’obiettivo di rendere la vittima succube di uno stato di soggezione psicologica. Dall’emissione dei protocolli d’intesa, tutti gli operatori dei servizi sociali, socio-sanitari e di giustizia sono chiamati a fornire informazioni relative ai Centri Antiviolenza locali e ad accompagnare la donna presso le strutture, qualora lo richieda.

Nonostante le diverse innovazioni normative, la legge penale per contrastare la violenza sulle donne risulta spesso inadeguata e di difficile applicazione, vista la complessità del fenomeno. Spesso, come già è stato descritto in precedenza, la violenza riguarda le relazioni di prossimità, è interna a dinamiche familiari e si manifesta in eventi continui che, talvolta, restano celati per anni tra le mura domestiche. A questo

67 Legge 23 Aprile 2009, n. 38, Conversione in legge, con modificazioni del decreto legge 23 febbraio

2009, n. 11, consultabile al sito: http://www.camera.it/parlam/leggi/09038l.htm visualizzato il 10-08- 2017.

~ 108~

proposito, si è evidenziata l’importanza dell’attivazione della legge penale che potrebbe avvenire solo nel momento in cui la donna decidesse di portare alla luce la violenza subita con lo sporgere della denuncia (Slepoj, 2003). Però, è evidente come questo strumento da solo non sia sufficiente.

A fianco di leggi che debbano dimostrare di essere sempre più efficaci nel perseguire chi commette reati di violenza sessuale e molestie, serve anche e soprattutto una risposta politica tempestiva che abbia le competenze in merito per predisporre una strategia per la difesa dei diritti delle donne nei diversi ambiti della società: politico, sociale, sanitario, formativo, educativo (Reale 2011, p. 16). Le istituzioni politiche, devono quindi responsabilizzarsi nella lotta alla violenza promuovendo tutte le azioni di contrasto e in particolare mirando a correggere pregiudizi e stereotipi, implementando programmi formativi volti a incrementare le capacità d’ascolto e le competenze degli operatori socio-sanitari, informando e sensibilizzando sempre più i cittadini. Si dovrebbe, inoltre, investire nell’educazione delle nuove e sempre più sviluppate generazioni, affinché si atterrino gli stereotipi che serrano la nostra società e promuovere così una cultura basata sull’uguaglianza di genere.

Nel nostro Paese, la violenza domestica, secondo l’Eurobarometro 2010, Domestic Violence Against Women Report, si presenta come un fenomeno molto diffuso tanto da registrare una media pari al 91% dei casi; in altre parole si registra il tasso più elevato degli altri paesi europei la cui media è del 78%. Inoltre, l’Italia mostra seri ritardi, in confronto con altre realtà europee, circa l’implementazione di politiche volte a promuovere l’eguaglianza di genere e il contrasto della violenza, tanto che il Comitato ONU ha deciso di intervenire e all’inizio del 2012, Rashida Manjoo, nominata Special Rapporteur delle Nazioni Unite, richiama il nostro governo notificando l’elevato numero di femminicidi. A seguito delle sue analisi, il Comitato ONU ha espresso delle raccomandazioni al nostro paese affinché affronti in modo più efficace la piaga sociale del femminicidio. Tra queste le più importanti sono: “modificare gli stereotipi e l’immagine della donna, trasmessi non solo dai mass-media e che sono accettati a causa del maschilismo da sempre imperante in Italia; focalizzare in primo luogo l’attenzione

~ 109~

sulla violenza domestica; assicurare protezione alle vittime e, infine, assicurare la formazione delle personalità coinvolte, come medici, assistenti sociali e funzionari”68. Nel 2012, in Italia, infatti, è stato avanzato il Disegno di Legge sul femminicidio, Norme per la promozione della soggettività femminile e per il contrasto al femminicidio, redatto dalla senatrice Serafini e che punta principalmente su quelle che si definiscono le 4 P:

- Prevenzione: adozione di un codice di autoregolamentazione dei media che

veicolano un’errata immagine dei rapporti tra i sessi;

- Promozione: d’iniziative scolastiche contro la discriminazione di genere;

- Protezione: sinergia tra le forze dell’ordine, enti locali e ASP , potenziare le case e i centri per le donne maltrattate, luoghi preziosi dove chi è vittima di violenze può trovare riparo e protezione;

- Punizione: si dovrebbe ampliare la legge Mancino sulle discriminazioni al fine di includere anche quella di genere che porterebbe ad un aggravante di un terzo in più della pena per il colpevole di femminicidio69.

In seguito, l’ex onorevole Bongiorno e Carfagna hanno replicato il disegno di legge chiedendo in particolare di apportare delle modifiche agli articoli 576 e 577 del c.p., in materia di circostanze aggravanti del reato di omicidio. Dal dibattito in quegli anni, è emersa la consapevolezza del fatto che il piano antiviolenza varato dall’ex ministra delle pari opportunità Carfagna è risultato inadeguato, perché le donne uccise con movente di genere, invece di diminuire sono aumentate. Si va ampliando l’idea, quindi, che solo l’aggravante di pena non risolva nulla bensì debbano essere messe in campo politiche “concrete” che abbiano l’obiettivo di risolvere il problema alla radice, agendo in primis sulla percezione, sulla cultura e sugli stereotipi che la reggono in modo che si prevengano casi di femminicidio.

Ecco che il 27 giugno 2013, l’Italia con la legge n.77 ratifica la Convenzione d’Istanbul e converte in legge, con modificazioni, il Decreto-Legge 14 agosto 2013, n. 93, recante Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province (Legge n. 119/2013). Nel nostro Paese, il dibattito parlamentare ha proposto un intervento legislativo che si snoda su due principali assi: quello della protezione e

68 La realtà italiana, la violenza domestica in D. Repubblica.it, 7 Marzo 2012, consultabile al sito:

http://d.repubblica.it/argomenti/2012/03/07/news/donne_violenza_domestica-893497/ visualizzato il 11- 08-2017.

69 Lavaca C., Una legge contro il femminicidio, in Io donna.it, 05 luglio 2012, consultabile al sito:

http://www.iodonna.it/attualita/primo-piano/2012/femminicidio-serafini-proposta-legge- 40801005016.shtml visualizzato il 11-08-2017.

~ 110~

prevenzione - prevedendo nuove norme che potenziano e integrano gli strumenti già esistenti - e quello sanzionatorio/repressivo, novellando le vigenti disposizioni del codice penale e del codice di procedura penale. A migliorare ulteriormente lo strumento normativo, l’art. 5 della citata legge, prevede l'adozione di un “Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere” (redatto nel 2015); un utile strumento per disegnare un sistema integrato di politiche pubbliche orientate in chiave preventiva alla salvaguardia e alla promozione dei diritti umani delle donne, al rispetto della loro dignità insieme alla tutela dei loro figli nonché al contrasto di questo fenomeno.

L’ultima indagine nazionale a cui si fa riferimento è quella dell’ ISTAT del 2015, dal titolo La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia, e relativa al quinquennio che include il 2014. Dal rapporto emerge che sono 6 milioni 788 mila le donne che hanno subito qualche forma di violenza nella loro vita e tra le forme di violenza, quella sessuale resta la forma più diffusa (21%), affiancata da quella fisica (20,2%) e dallo stalking (16,1%). La violenza captata dalla maggior parte del campione in esame, è quella agita da una persona molto vicina alla vittima, in altre parole un marito o un ex marito, un compagno o un convivente; sono proprio questi a commettere stupri nel 62,7% dei casi. Una forma di violenza che, spesso, si reitera da molti anni, celata al mondo esterno e vissuta sottoforma di dominio dalla donna e dai figli, se presenti. La violenza dunque è quotidiana e trasversale e le donne poco alla volta si vedono rubate della loro personalità, della loro dignità e dei loro diritti. Violenze fisiche e sessuali riguardano le donne italiane come le straniere, ma i soggetti più vulnerabili sono le donne separate, divorziate o con problemi di salute o disabilità70.

Comparando questi dati con quelli del quinquennio precedente il 2009, si nota una diminuzione delle violenze fisiche e sessuali, dal 13,3% all’11,3%; segue una diminuzione anche di un’altra forma di violenza ossia quella psicologica dal 42,3% al 26, 4%. Il dato più significativo registrato è quello relativo all’aumento delle donne che considerano la violenza subita dal partner un reato, dal 14,3% al 29,6%. Si è precisato più volte, come il percorso di uscita dalla violenza appare molto difficile e complesso, poiché nonostante i passi in avanti fatti dalla normativa, il percorso giuridico è ancora troppo complicato e presuppone una libertà e un’autonomia che di solito non c’è ed è

70 La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia https://www.istat.it/it/archivio/161716

~ 111~

difficile costruire. Tuttavia, si è registrato l’aumento delle donne che decidono di rivolgersi alle Forze dell’ordine per esporre denuncia contro il proprio carnefice, dal 6,7% al 11,8% ma anche l’aumento di colore che chiedono sostegno e aiuto ai servizi specializzati quali centri antiviolenza e sportelli, dall’2,4% al 4,9%71. Quest’ultimo dato, seppur ancora basso, è significativo perché è raddoppiato rispetto al risultato dell’indagine del 2006; è chiaro, dunque, che un significativo cambiamento si sta verificando e proprio per questo bisogna continuare a valorizzare l’opera fondamentale dei Centri Antiviolenza ai quali questo successo deve essere riconosciuto.

L’anno successivo, lo Stato con il D.P.C.M. 21/11/2016, ha stanziato un finanziamento pari a 13 milioni di euro; si provvede a ripartire le risorse del “Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità” previste dal paragrafo 4 del Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere (2015), tra le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, al fine di concretizzare le quattro linee di azione previste dalla legge: formazione, inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza, interventi volti al sostegno abitativo e implementazione dei sistemi informativi riguardo ai dati sul fenomeno della violenza. Ciascuna Regione, in virtù della potestà esclusiva in materia sociale (legge cost. 3/2001) e tenendo conto delle proprie esigenze territoriali, può provvedere a rispondervi attraverso la programmazione regionale con interventi previsti per una o più linee di azione. Inoltre, ciascuna Regione, con cadenza semestrale, è chiamata a trasmettere informazioni sull’andamento degli interventi messi in atto nei diversi assi, mediante la sottoscrizione di una relazione dettagliata al Dipartimento per le pari opportunità. In questo modo, si realizza il costante monitoraggio della ripartizione delle risorse che avviene in seguito alla stesura della scheda programmatica ove saranno indicati obiettivi da perseguire, le attività da realizzare e il piano finanziario da sostenere per l’implementazione delle stesse.

Il fenomeno del femmicidio/femminicidio potrebbe quindi bloccarsi, secondo quanto sostenuto da Finocchiaro, attraverso il potenziamento dei fondi nazionali per il sostegno dei Centri antiviolenza, deputati ad accoglienze le donne, attraverso azioni e interventi di prevenzione e promozione di una cultura del rispetto dell’altro sesso, azioni di sensibilizzazione per il riconoscimento del reale valore e del ruolo che le donne assumono nella società. A questo fine, ai sensi della Conferenza Stato-Regioni del 27

71 Indagine ISTAT 2015 La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia. Si rimanda al testo

~ 112~

Novembre del 2014, il D.P.C.M. 21/11/2016 ha dato attuazione alla costituzione del “Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità” 2015 - 2016 (in un’unica soluzione), previsto all’art. 5-bis, comma 1, del decreto legge 93/2013, convertito nella legge 119/2013, da ripartire tra Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano per la definizione e i requisiti previsti per i Centro Antiviolenza e le case- rifugio. La somma complessiva di tale Fondo è pari a 18.127. 453 ripartita nel seguente modo: 33% destinato per l’istituzione di nuovi Centri Antiviolenza e case-rifugio, il resto dell’intera somma è suddiviso per il 10% relativo al finanziamento aggiuntivo degli interventi regionali da tempo messi in atto per il sostegno delle donne e dei figli vittime di violenza, per il 45% relativo al finanziamento dei Centri Antiviolenza pubblici e privati già esistenti e per il 45% relativo al finanziamento delle case-rifugio pubbliche e private operanti sul territorio.

Oggi, in seguito ad un processo di ammodernamento del sistema di Welfare che ha portato ad un ridisegno profondo e tenendo conto anche della crisi economica che ha colpito l’Europa dal 2008, la violenza contro le donne continua ad assumere proporzioni inquietanti. Pertanto, la linea comune dei diversi studiosi, tra i quali ricordiamo la