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Il percorso integrato del Comune di Pisa per le donne vittime di violenza

La risposta della Toscana: il Codice Rosa

NUMERO TOTALE FEMICID

4.4 Il percorso integrato del Comune di Pisa per le donne vittime di violenza

Il percorso rivolto alle donne vittima di violenza a Pisa è un vero e proprio esempio d’integrazione tra assistenza socio-sanitaria e Terzo settore. Si tratta di un vero e proprio case management socio-sanitario integrato, considerato come metodologia di lavoro applicata, orientata agli utenti che presentano più ambiti problematici. Infatti, attraverso l’utilizzo del case management, si rende possibile il coordinamento tra diversi servizi e diversi professionisti per rispondere in modo integrato ai bisogni delle persone in stato di disagio, nel caso specifico della donna vittima di violenza. Vi sono coinvolti tutti i soggetti della rete locale (Unità Funzionale Salute Mentale Infanzia

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Adolescenza e Adulti, Associazione Casa della Donna, Associazione Donne in Movimento, Cooperativa “Il Simbolo” e il “Progetto”, A.S.L. Pisa, Servizi Sociali, Unità Marginalità, Unità Infanzia Adolescenza e Immigrazione di Pisa) e sono chiariti i compiti di ciascuno e le modalità di accesso al percorso. I diversi professionisti della rete dei servizi sono chiamati a concorrere alla gestione del caso in modi e tempi predefiniti o negoziabili di volta in volta. Possono essere individuate sette fasi del percorso89:

1. Informazione e orientamento 2. Accesso

3. Invio

4. Presa in carico

5. Elaborazione del progetto individualizzato e del piano operativo 6. Attuazione del progetto individualizzato

7. Verifica e valutazione finale del progetto.

Durante la prima fase i servizi sociali e sanitari, il Terzo settore e le forze dell'ordine del territorio s’impegnano a garantire l’accoglienza della donna e il colloquio di primo contatto per svolgere la funzione di punto di ascolto e orientamento. Il requisito per l'accesso è la residenza e nel caso in cui una donna non sia residente, si garantisce un'accoglienza breve in tempo utile ad attivare i servizi delle località di residenza. Durante la seconda fase, quella dell’accesso, gli operatori sono chiamati a svolgere la funzione di raccolta e analisi iniziale (tramite una scheda di rilevazione) che consenta loro una comprensione iniziale della situazione. Una volta effettuata l'analisi della domanda, l'operatore di riferimento valuta la gravità del caso e predispone l'invio al servizio sociale territoriale di pertinenza. Entro quattro giorni dalla segnalazione, il servizio sociale ha il compito di assumere la regia d'intervento, facilitando l'avvio di un lavoro di équipe multidisciplinare integrato. L'assistente sociale effettua un secondo colloquio, entro quattro giorni dalla segnalazione, ed entro cinque giorni si attiva lo psicologo per un ulteriore incontro con la donna. Entrambi gli operatori coinvolti sono chiamati a svolgere una valutazione del caso attraverso una relazione scritta e successivamente procedono alla convocazione di un gruppo multiprofessionale composto da Assistente sociale competente per territorio, psicologo, operatrici dei Centri antiviolenza ed eventuali altri operatori. La valutazione multidimensionale

89 Si rimanda al testo integrale: www.comune.pisa.it/societasalute/PIS/.../020303Percorsovv.pdf

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servirà alla costruzione di un quadro complessivo del bisogno della donna. Si tratta di una fase estremamente delicata, nella quale si gioca gran parte della reale efficacia dell’intero processo. Infatti, due elementi, in particolare, costituiscono punti critici: un primo aspetto riguarda la collaborazione dei professionisti all’interno dell’équipe multidisciplinare; un secondo, riguarda, invece, la partecipazione al processo da parte dei beneficiari e della rete di supporto. D’altronde, si tratta, spesso, di professionisti che appartengono a strutture diverse, le quali fanno riferimento a enti e sistemi di riferimento distanti tra loro dal punto di vista dello status professionale, della cultura e dell’ottica di approccio al disagio. Dall’altra parte, risulta di assoluta rilevanza, come all’interno di un processo di accompagnamento per garantire l’uscita dalle dinamiche di violenza, il contributo della donna stessa rappresenta un elemento imprescindibile per garantire la completezza e l’efficacia dell’intervento. Sulla scorta delle analisi svolte nella fase della valutazione multidimensionale si provvede alla costruzione del progetto personalizzato. Si tratta di un progetto costruito con, per e sulla donna. La costruzione di questo progetto fa riferimento ad un principio fondamentale per gli operatori di aiuto ossia la centralità della donna. Il progetto deve contenere: obiettivi specifici, azioni, tempi, risultati attesi, vincoli e responsabilità di ciascun componente dell'équipe, oltre a una previsione delle risorse a disposizione e quelle necessarie da reperire.

Il penultimo passaggio del percorso che la donna è chiamata a intraprendere consiste nell’attuazione del progetto che si rende attivo con la firma del contratto di aiuto (strumento del servizio sociale nel quale s’indicano tutti gli aspetti del progetto e nel quale le parti s’impegno a lavorare affinché il progetto funzioni). L'équipe multiprofessionale segue tutte le fasi di sviluppo e in caso di elevata gravità, la Casa della Donna di Pisa si occuperà dell'ingresso della vittima nella casa rifugio, mentre nel caso di donna immigrata e non residente sarà l'associazione Donne in movimento a occuparsene. Infine, si ha la fase della verifica. In quest’ultima fase sono posti a confronto da un lato gli obiettivi attesi e i risultati ottenuti in termini di miglioramento del benessere della donna (valutazione di efficacia) e, dall’altro, la produttività delle risorse impiegate (valutazione di efficienza). In questa fase si costituisce un “Gruppo Tecnico” di monitoraggio e sostegno per tutti i progetti presi in carico e sull'applicazione complessiva delle linee guida. Il Gruppo tecnico si riunisce almeno tre volte l'anno ed è formato dai responsabili di tutti i servizi della rete.

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Come si evince dalla normativa e dai diversi protocolli d'intesa siglati con i Centri Antiviolenza, la Regione Toscana ha prestato grande attenzione al fenomeno della violenza contro le donne. Aver puntato sull'importanza della prevenzione e sulla formazione di una rete integrata di servizi formata da operatori specializzati, dimostra fino a che punto il legislatore toscano abbia recepito i valori e l'esperienza dei Centri antiviolenza. Inoltre, risulta di particolare rilievo la scelta politica di aver assegnato un ruolo centrale, nel percorso assistenziale, alla figura dell'Assistente sociale investito del compito di coordinamento del progetto e delle associazioni coinvolte. Infatti, la dimensione valoriale ed etica del servizio sociale si basa sugli stessi principi delle associazioni create dalle donne per le donne. Dal dibattito in corso siamo in grado di poter affermare che la fattispecie tutta italiana di avere la percentuale maggiore di operatori del servizio sociale di sesso femminile possa considerarsi persino un aspetto positivo di agency e advocacy perché possa dare voce alle donne, per le donne da parte di donne. Se l'Assistente sociale, per definizione è da considerarsi come un agente di cambiamento, solo lavorando a stretto contatto con i Centri antiviolenza che più di altri hanno saputo dare voce a un fenomeno di cui le cause e le conseguenze restano ancora sommerse, potrà essere davvero un protagonista attivo di questa trasformazione.

L’Assistente sociale è chiamata a svolgere un ruolo di fondamentale importanza nell’aiutare la donna ad affermare la propria identità e i propri modi di essere, perché come scrive Reale (2011, p. 144), le donne hanno il diritto di “essere se stesse, porre se stesse per prima, essere sicure, amare ed essere amate, essere amate con rispetto, essere umane e imperfette, arrabbiarsi se si è trattate in modo scorretto da chiunque, avere il diritto di privacy, avere una propria opinione e il diritto di esprimerla e di essere presa sul serio, guadagnate e controllare il proprio denaro, porre domande su qualsiasi cosa che riguarda la propria vita, prendere decisioni che le riguardano, crescere e cambiare, ossia mutare anche il modo di essere e di pensare, dire NO, sbagliare, non essere responsabile per i problemi di altri adulti, non essere gradite da tutti, controllare la propria vita e modificarla se non si è soddisfatte di com’è”.

Sostenere le donne in un percorso progettuale che le allontani definitivamente dal contesto abituale, è un obiettivo che è possibile realizzare con le professionalità e le competenze che sono presenti all’interno di ogni istituzione. La studiosa Lotti, individua quelli che sono gli elementi principali per l’avvio del percorso:

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- La decostruzione degli stereotipi sul femminile e sul maltrattamento - Il non sentirsi catalogate e giudicate

- L’individuazione delle risorse individuali e del territorio - La scoperta dei diritti e dei doveri

- Il definire tappe chiare e misurabili attraverso cui vedere il cambiamento - Il sapere che altre donne ce l’hanno fatta

- Le consulenze informative e sull’elaborazione del vissuto

- Costruire un piano praticabile e soddisfacente per il futuro (in Adami, Basaglia, Bimbi, Tola, 2000, p. 195).

Ascoltare, accogliere, entrare in empatia con donne che subiscono violenza, è un percorso quotidiano e il momento dell’accoglienza riveste un ruolo determinante per iniziare un reale percorso di accompagnamento. L’Assistente sociale è chiamato a mettere in campo conoscenze, competenze tecniche per aiutare la donna a conquistare la propria autonomia. E’ un percorso da fare insieme in un luogo di libertà, dove le donne non sono considerate vittime ma donne con proprie risorse. Il suo compito principale sarà quello di mettere in atto un ascolto empatico, garantendo il segreto professionale, sostenendo la donna nel processo di consapevolezza e promuovendo la sua autodeterminazione, ricorrendo anche al coordinamento operativo con altri professionisti. Da ricordare che la persona è sempre al centro dell’azione professionale, al centro d’interventi promozionali della soggettività. Attraverso i colloqui, la donna riconosce le sue potenzialità che la guideranno a definire la situazione di maltrattamento di cui è vittima. È importante conoscere i sentimenti, le emozioni e i pensieri sia dell’utente ma anche dell’operatore che ascolta. L’Assistente Sociale dovrà riflettere sui propri pregiudizi e stereotipi, poiché sono parte del nostro essere e la cui non gestione potrebbe far degenerare la situazione. È necessario quindi, sia per l’Assistente Sociale, così come per ogni altro professionista, comprendere le proprie emozioni in modo da saperle gestire e utilizzare come risorse positive, al fine di creare un clima di empatia, ascolto e reciproca fiducia nei confronti delle donne vittime di violenza al fine di aiutarle concretamente nel difficile percorso di presa di coscienza, autotutela e cambiamento.

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Conclusioni

Il tema della violenza è entrato nel vocabolario delle politiche sociali proprio quando esplose la crisi del welfare negli anni ’90. La progressiva inadeguatezza dei sistemi rigidi di welfare e l’insostenibilità, nel tempo, di meccanismi spesso eccessivamente generosi, sono apparsi sempre più evidenti. Come ampiamente discusso nel primo capitolo, in una situazione di aumento della domanda di protezione sociale, di alti tassi di disoccupazione, scarsa crescita e alto debito pubblico, è stato utile avviare un processo di modernizzazione per rispondere alla crisi (Esping-Andersen 1990; Ferrera 2006). I sistemi di welfare europei hanno avuto bisogno dell’uso di nuovi strumenti sotto forma di investimenti sociali e la creazione di sinergie tra settore pubblico e privato. Si è andato delineando un welfare che potremmo definire emancipatorio, fondato sull’approccio delle basic capabilities di Amartya Sen (trad. it. 2010). All’interno di questo panorama, le politiche contro la violenza divengono tecnicamente possibili non solo quando emergono come tema urgente dell’azione pubblica, grazie anche all’azione del movimento delle donne, dagli anni Settanta del Novecento, ma anche quando si confrontano con contesti organizzativi in grado di comprendere, tecnicamente, le istanze che emergono e di adottare le misure necessarie. In particolare, si è provveduti a realizzare un coinvolgimento di soggetti economici e sociali che sostengono il settore pubblico per la programmazione, gestione ed erogazione di servizi e prestazioni più efficaci ed efficienti (ciò è divenuto esplicito con l’approvazione della legge quadro 328/2000, riconoscendo al Terzo settore il ruolo di partnership). Il processo di ammodernamento ha provocato la ridefinizione del ruolo dello Stato e il passaggio dalla government a modelli di governance caratterizzati dalla pluralità di stakeholder. In altre parole, il fenomeno sociale della violenza di genere necessita della presenza di un sistema di welfare flessibile, integrato e profondamente diverso da quello tradizionale. In contesti post-materialistici s’impongono nuovi e urgenti bisogni collegati, sempre più, al riconoscimento sociale, all’integrazione, allo sviluppo delle capacità. I bisogni sociali si sono andati modificando secondo un processo di trasformazione che ha implicato tra i suoi numerosi “effetti collaterali” una complessificazione e in alcuni casi un impoverimento di relazioni umane e sociali, emarginazione, discriminazione e forme di violenza verso i soggetti più fragili della

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società, tra questi donne, bambini e anziani. La necessità di avere risposte tempestive ed articolate rispetto alla complessità dei bisogni emergenti ha dato impulso, come ben argomentato nel secondo capitolo, all’implementazione del modello operativo dell’integrazione socio-sanitaria. Si definiscono quindi, integrate quelle politiche che coniugano obiettivi diversi che mettono in opera una pluralità di strumenti e che favoriscono sinergie tra settori e livelli di governo diversi. La spinta all’integrazione delle politiche, delle materie, degli attori viene dall’Unione Europea e non solo in riferimento alle politiche sociali ma più in generale al complesso delle politiche pubbliche. In ambito nazionale la legge 328/2000 costituisce certamente lo strumento legislativo principale mediante il quale si è data sostanza al tema dell’ integrazione delle politiche sociali nel territorio.

Il fenomeno della violenza di genere, oggetto della nostra ricerca e discusso nello specifico nel terzo capitolo, si è inserito perfettamente all’interno di questo scenario relazionale. Nonostante la società sia mutata verso una maggiore eguaglianza formale tra donne e uomini, affinché la violenza di genere scompaia dalle nostre famiglie, è necessario che la predominanza maschile, presente ancora a tutti i livelli, sia definitivamente superata. Purtroppo, il modello sociale ed economico vigente che sembra andare a valorizzare solo coloro i quali sono considerati dai parametri attuali come vincenti, non aiuta, di fatto, gli uomini ad abbandonare la loro aspirazione di dominio e di esercizio del potere. In tutta Europa, e anche in Italia, è stato ormai dato l’allarme rispetto alla necessità di spezzare il meccanismo della violenza contro le donne e, soprattutto di quella domestica, che appare la più diffusa. Ma per far questo ancora molti cambiamenti sono necessari.

Quello che è emerso dal percorso intrapreso con questa tesi, in particolare nel terzo capitolo, è che la società attuale, in correlazione al processo normativo che accompagna il fenomeno, dovrebbe fornire alla donna i mezzi per denunciare e per proteggere se stessa e i suoi figli. Il tutto implementando politiche integrate che facciano in modo di renderlo un fatto sociale che investe tutta la società. Bisogna lavorare sulla cultura, partendo dal considerare la persona che arriva al servizio non una vittima, e quindi debole, passiva, dipendente, bensì valutarla perché fonte di risorsa. Molto importante è che, come sottolineto nel quarto capitolo, gli Operatori dei vari servizi siano adeguatamente formati per riconoscere i segni a prima vista non visibili, debbano

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essere capaci di empatia, senza per questo rimanerne invischiati, assumendo un atteggiamento di disponibilità a pensare insieme, cioè a creare il noi, e lo strumento del colloquio diventa lo spazio all’interno del quale il dolore può essere raccontato, nominato, elaborato e superato. L’Operatore deve assicurare la sua presenza, “Io ci sono” e “Sono con te”, garantire e promuovere l’autodeterminazione della donna, senza sostituirsi alle sue scelte, cercando di individuare insieme la strada migliore da percorrere per uscire dal disagio. Uscire dalla violenza significa, anche, garantire alla donna un’indipendenza economica e quindi lavorativa. Inoltre, una società che volesse veramente combattere la violenza contro le donne dovrebbe anche offrire, preliminarmente, condizioni economiche e sociali che consentano alle donne stesse di vivere in autonomia e fuori da meccanismi di subordinazione e dipendenza dagli uomini; il tutto attivando cambiamenti culturali che bandiscano definitivamente gli stereotipi di genere, i quali tendono a relegare la donna a ruoli esclusivamente domestici.

Attualmente, anche se la consapevolezza della gravità del problema esiste, le risorse pubbliche assegnate alla lotta contro la violenza domestica sono insufficienti. Il governo italiano, come descritto nel quarto capitolo, appare d’accordo nel riconoscere l’ampiezza e la gravità del fenomeno, ma i mezzi concreti per un’azione più efficace tardano ad arrivare. Sebbene sia stata interiorizzata una presa di coscienza, rimangono molte lacune da colmare, e se una risposta giuridica, in termini di adeguamento della normativa, è indispensabile, essa non appare comunque sufficiente. L’esito, di un sistema politico, culturale ed economico non efficiente, sarà quello di avere servizi che poco funzionano, operatori poco motivati, risorse non disponibili, donne economicamente dipendenti dagli aggressori, quindi il tutto spesso diventa molto più complesso e complicato. Emerge, inoltre, come i media, svolgono un ruolo decisivo per l’espandersi del fenomeno della violenza simbolica. Essi hanno certamente una funzione ambivalente che deve essere in parte modificata. Se da un lato hanno permesso una presa di coscienza rispetto all’esistenza e all’estensione del fenomeno della violenza contro le donne, specie quella domestica, dall’altro, hanno contribuito, in qualche modo a banalizzarla e spettacolarizzarla, non affrontandone alle radici le ragioni culturali e sociali. Spettacolarizzare la violenza, significa andare a rinforzare certi comportamenti malati dell’attore della violenza che in quel momento potrebbe godere di quello che

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stanno proiettando in televisione, poiché è molto importante entrare nella psicologia di chi guarda e di chi ha esercitato violenza. Bisogna agire in maniera preventiva e per far questo è necessario, inoltre, assegnare un nome alla violenza e imparare a individuarla anche nelle sue forme più sottili e invisibili. Cimagalli mostra come tuttora appare carente il coordinamento degli interventi di risposta e la sinergia tra sistema sanitario, luoghi di lavoro, media, sistema d’istruzione e quello giudiziario, alludendo inoltre, al fatto che la violenza sia ancora purtroppo considerata un fatto privato, incapace di avvertire il sistema pubblico d’intervento.

Fondamentale sarebbe anche trasmettere messaggi forti alle donne affinché pongano dei limiti al comportamento maschile, pretendendo rispetto, non accettando la violenza, uscendo dall’isolamento facendosi aiutare dalla propria famiglia o da associazioni e dai servizi di competenza. La mentalità e la cultura del nostro paese ovviamente non potranno cambiare all’improvviso. È un processo lento che implica e allo stesso tempo richiede più informazione, più sensibilizzazione e più formazione. Se vogliamo che la nostra società abbia individui responsabili, si devono modificare i modelli di riferimento, in modo da costruire una società più paritaria e più rispettosa. Per rompere il circolo vizioso della violenza, come sostenuto nel quarto capitolo, bisogna promuovere interventi e progetti che mirino ad aiutare non solo la persona che subisce, ma anche l’attore carnefice per trasformarlo da orco a persona. Prendere in carico l’uomo, significa propagare un messaggio nuovo, fondamentale, sia culturalmente sia socialmente, per tutte le istituzioni al fine di prevenire, conoscere meglio e affrontare in maniera più efficace il fenomeno.

In merito alle modalità di risposta messe a punto dalle istituzioni, l'attenzione si è focalizzata sulla Toscana potendo apprezzare la sensibilità che l’ha sempre caratterizzata verso le problematiche di genere; lo studio di un caso specifico, il Codice Rosa, come nuova modalità di risposta istituzionale mirata al contrasto e alla prevenzione della violenza di genere, ha reso possibile esplorare una realtà non sempre conoscibile oggettivamente se non attraverso i media. Le modalità organizzative ed operative di questo approccio hanno evidenziato il potenziale che acquistano le azioni quando fanno parte di un unico progetto condiviso e comune a tutti i soggetti realmente motivati a contrastare il fenomeno.

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È fondamentale progettare un lavoro capillare che porti a un radicale cambiamento circa la percezione e il riconoscimento della parità tra i sessi, in altre parole uguale dignità, al fine di giungere a uno sviluppo di una vera cultura di genere. Cimagalli (2014, pp.175-178), enuncia delle raccomandazioni per la futura azione politica, rivolte alla promozione d’interventi per la prevenzione e contrasto del fenomeno di genere. Queste possono essere riassunte in alcune parole chiave:

«creazione di relazioni di rete solide e durature, presenza di una regia istituzionale, valutazione di processi e prodotti, promuovere iniziative di comunicazione volte alla sensibilizzazione dei cittadini, rafforzare servizi e luoghi che possono fungere da antenna sul territorio, presa in carico sistemica, garantire professionalità degli operatori, promuovere iniziative di sensibilizzazione rivolte agli uomini, azioni di sistema: ricerca e monitoraggio, rafforzare linee di intervento e reti dislocate in