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Del 1490 e 1491 è la traduzione della Mystica theologia e del De divinis

nominibus, attribuiti a Dionigi Areopagita411. Costui era menzionato negli Atti degli

Apostoli tra le persone che assistettero al discorso di San Paolo all’Areopago di Atene, e

che al termine decisero di farsi discepoli dell’Apostolo. Nella Storia ecclesiastica di Eusebio si dice che poi Dionigi Areopagita divenne il primo vescovo di Atene e morì martire. Gli scritti che oggi compongono il Corpus dionisiano comparvero sulla scena teologica nel sesto secolo d.C., a Costantinopoli, durante un dibattito fra gli ortodosi e la corrente monofisita dei severiani (532-533). Il nome di Dionigi e tutti i legami con l’età apostolica dichiarati dall’autore del Corpus, portarono facilmente all’identificazione di questi con Dionigi l’Areopagita. Motivi interni ed esterni dimostrano che essi, in realtà, non possono risalire al di là della fine del V secolo e che per tanto la loro attribuzione a Dionigi è impossibile412.

Nell’epoca in cui furono composti gli scritti dionisiani, il linguaggio elaborato dai neoplatonici, e segnatamente da Proclo, veniva adottato dai teologi cristiani per formulare la teologia trinitaria. Dionigi riuscì ad arricchire la tradizione ecclesiastica con i dogmi fondamentali cui era pervenuto l’ultimo neoplatonismo e per questo motivo fu filosofo e teologo essenziale per la speculazione e per la teologia cristiana. Durante tutto il Medioevo latino, i due trattati attribuiti all’Areopagita, La Gerarchia Celeste e

La Gerarchia Ecclesiastica, tradotti da Giovanni Erigena nell’858, ebbero una

diffusione larghisima e costituirono il fondamento della mistica e dell’angeologia medievale. La nozione di gerarchia aveva permesso allo pseudo Dionigi di interpretare la rivelazione ebraico-cristiana secondo schemi derivati da Proclo. La gerarchia sacra tuttavia è concepita unicamente per la divinizzazione delle intelligenze, non si dovrebbe intenderla dunque, in un senso cosmologico. Per Dionigi l’essenziale non è spiegare il mondo sensibile in quanto tale: l’universo sensibile sarà piuttosto considerato come una sfera di simboli che può e deve condurre le intelligenze umane al mondo intellegibile. La cosmologia, che tratteneva ancora gli ultimi neoplatonici, vede ridurre il suo terreno in favore della teoria e della theologia. La gererchia dionisiana si libera dai condizionamenti cosmologici delle religioni pagane, al cui vocabolario fa senz’altro

411 Dionysii Areopagitae de Mystica theologia et De Nominibus divinis, interprete et explanatore

Marsilio Ficino, Florentiae, (s.n.), 1491.

412 Difatti la fonte principale di questi scritti è Proclo (441-485), di cui l’autore in qualche punto

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riferimento per definirsi, ma tratta di un mondo unicamente spirituale: gerarchia celeste per le intelligenze pure, gerarchia ecclesiastica per le intelligenze umane.

Nella Gerarchia Ecclesiastica si dice che lo scopo della gerarchia è l’assimilazione e l’unione con Dio. Questa unione, si può ottenere solo con l’amore. Ogni gerarchia si caratterizza per il suo triplice aspetto di ordine, attività, scienza. La struttura dell’ordine dionisiano si ispira direttamente agli schemi triadici del neoplatonismo, ma le corrispondenze non vanno fino all’identità. Essa è purificazione, illuminazione e perfezionamento. Il suo fine è la divinizzazione delle intelligenze, tramite la legge delle mediazioni. Tuttavia per Dionigi, a differenza dei neoplatonici, gli attributi di Essere, Vita, Intelligenza, non costituiscono dei momenti distinti della processione generatrice, ma coesistono nell’unità come espressioni divine. Conformemente alla rivelazione giudaico-cristiana, Dionigi afferma un creatore unico: la Bontà divina che crea tutto. Non esistono altre cause generatrici all’infuori di Dio, né Demiurghi, né divinità secondarie che governerebbero il mondo materiale. L’ordine è una disposizione che viene direttamente da Dio, che è principio di ogni ordine: a questo titolo, esso implica misura, bellezza e accordo. La nozione di ordine, per Dionigi, non può quindi essere identificata totalmente con quella che aveva elaborato il neoplatonismo413. L’ultimo neoplatonismo aveva dunque fornito a Dionigi una teoria della conoscenza, angelica e umana, che la Scrittura e la Chiesa giustificano nelle sue idee essenziali, ma che non formulano in nessun luogo.

Dionigi Areopagita, che era autore già stimato nel Medioevo, veniva ora a occupare un posto d’onore nell’interpretazione ficiniana. Ficino pertanto poneva la figura dello pseudo Dionigi sopra un piano di gran lunga superiore a quello di Plotino, Giamblico e Proclo. Infatti, secondo la tradizione consolidata, la figura di Dionigi era posta nel primo secolo dell’era cristiana, e pertanto la sua speculazione era considerata precedente a quella dei neoplatonici. Ma non solo ai neoplatonici, bensì anche allo stesso Platone, Ficino anteponeva l’Areopagita: “siamo del parere che egli stesso sia da anteporre non solo a tutti gli altri platonici, perché culmine della dottrina platonica, ma anche allo stesso Platone, perché nuovo lume della verità cristiana”414.

413 Su questi argomenti si rimanda a R. Roques, L’universo dionisiano: struttura gerarchica del

mondo secondo ps. Dionigi Areopagita, Milano, Vita e Pensiero, 1996.

414 v. Marsilii Ficini Florentini in Dionysium Areopagitam de Divinis nominibus ab eodem ex

Graeca lingua in Latinum translatum. Argumentum, in Ficino, Opera, pp. 1024-1025: “ipsum tamen non

solum caeteris Platonicis propter doctrinae Platonicae culmen, verum etiam ipsi Platoni propter novum veritatis Christianae lumen, antponendum esse censemus”.

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In una lettera al suo amico Pierleone “uomo cupidissimo di tutti i segreti”415, scrisse che egli amava Platone in Giamblico, lo ammirava in Plotino, ma lo venerava in Dionigi416, “culmine della disciplina Platonica e della Teologia Cristiana”417.

Da queste parole si deduce chiaramente quale grande stima avesse Ficino delle opere di Dionigi e perché si inducesse a farne la traduzione, che fornì poi di diligenti e acuti commentarii. Tra il 1490 e il 1491, dopo la stesura della Theologia platonica e il commento delle Enneadi, tradusse mirabilmente il breve trattato Mistica Theologia e il

Sui nomi divini418. Ficino era interessato agli sviluppi della dottrina neoplatonica contenuti in opere minori del Corpus dionisiano. Come afferma, infatti, nell’Argumentum in Dionysium Areopagitam de Divinis nominibus ab eodem ex Graeca

lingua in Latinum translatum:

“Poiché già in tanti, sia Latini, che Greci, hanno chiarito i libri di Dionigi in lunghi commentarii, non è ora nostra intenzione di meditare sulle singole parole. Ma, dove l’Areopago profuma maggiormente di Accademia, vogliamo esplorare un pò più sagacemente e, attraverso i bellissimi giardini del nostro Dionigi, facilmente principe dei seguaci di Platone, cogliere tutti i fiori Platonici”419.

In queste opere minori, viene affrontato uno dei problemi che il recupero della filosofia neoplatonica poneva a Dionigi, cioè, la conciliazione fra la teologia negativa procliana e la rivelazione biblica. Se Proclo distingueva una teologia positiva da una teologia negativa, Dionigi tentava di andare oltre, praticando una teologia mistica, in cui Dio non và pensato, ma ricevuto, in silenzio e fra le tenebre, simboli della rinuncia alla parola a all’intelligenza umana. A questo tipo di teologia appartiene il breve trattato

415 v. Argumentum in librum Iamblichi, op. cit.: “Pirleonus vir omnium cupidissimus

secretorum”.

416 Saitta, G., La filosofia di Marsilio Ficino, op. cit., pp. 50-52.

417 v. Marsilii Ficini Florentini in orationem Dionysii de Trinitate. Argumentum, in Ficino,

Opera, p. 1013: “Dionysius Areopagita Platonicae disciplinae culmen et Christianae Theologiae

columen”.

418 Dionysii Areopagitae de Mystica theologia et De Nominibus divinis, interprete et explanatore

Marsilio Ficino, Florentiae (s.d.), 1491.

419 v. Marsilii Ficini Florentini in Dionysium Areopagitam de Divinis nominibus, interprete et

explanatore Marsilio Ficino, in Ficino, Opera, p. 1024: “Cum multi tam Latini, quam Graeci, Dionysii

libros longis Commentariis explanaverint, non est consilium nunc ad verbum singula commentari. Sed ubi potissimum Areopagus Academiam redolet, paulo sagacius explorare, perque pulcherrimos hortos Dionysii nostri Platonicorum facile pricipis, flores passim delibare Platonicos”.

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Teologia mistica, secondo il quale la più alta conoscenza è il non sapere mistico:

“dunque l’anima appunto dichiara la verità su Dio, quando non dichiara nulla”420. Qui la divinità è “supercollocata”, cioè, posta oltre ogni nome o pensiero. Per essa, nessun concetto umano da solo è adeguato, come espone Ficino nell’Argumentum: ”nessun intelletto può capire questo tramite un’azione intellettuale”421. Infatti, il vero strumento della teologia mistica è la preghiera liturgica, la sola in grado di invocare nei modi canonici la divinità:

“Dionigi Areopagita, che cerca la luce divina, chiede che sia ricercata non tanto con l’intelligenza, quanto con l’ardente sentimento della volontà e con la preghiera… Che dunque, non si conquista tramite la forza dell’intelligenza, ma si accende Dio nell’animo dedito con amore verso Dio, e ivi brilla nell’ardore”422.

Anche nel Sui nomi divini, Dionigi l’Areopagita coniuga la Bibbia con la tradizione neoplatonica. In questo trattato insiste sull’impossibilità di designare adeguatamente la natura di Dio. Sebbene sia assoluta unità e sommo bene, Dio è superiore alla stessa unità, qual è da noi concepita: è l’Uno super-essenziale e, pertanto, non può essere designato veramente designato né come unità né come trinità, né come numero:

“la Divina Trinità non è un qualche numero collocato nel genere della quantità, né nel genere della sostanza, né inoltre calcolato nell’ordine dell’essenza… in verità contiamo, in certo qual modo, tre persone e tre naturali proprietà, tuttavia dal momento che ciò che è infinito non lascia niente all’infuori di se, né ammette qualcosa di alieno, concepiamo la natura unica e semplicissima. Come se si dicesse che la forma naturale del Sole, la sua intima luce e la virtù del calore sono una natura unica”423.

420 v. Marsilii Ficini Florentini in orationem Dionysii de Trinitate. Argumentum, op, cit.:. “Igitur

animus ita demum vera de deo loquitur, quando non loquitur”.

421 v. Marsilii Ficini Florentini in Dionysium Areopagitam de Divinis nominibus, op. cit.:

“Nullus igitur intellectus per intellectualem actionem, id attingit”.

422 v. Marsilii Ficini Florentini in orationem Dionysii de Trinitate. Argumentum, op. cit.:

“Dionysius…quaerens divinum lumen, non tam intelligentia perserutatur, quam ardente voluntatis affectu et oratione petit… Non igitur conatu quodam intelligentia comparari,sed in animum amore prorsus Deo deditum, accendi Deum, atque ibidem in ardore lucere”.

423Ibid.: “Divina Trinitas non est numerus aliquis in quantitatis genere collocatus, nec etiam in

substantiae genere, nec insuper essentiae ordine computatus… vero tres hic quasi naturales proprietates personasque numeramus, interea quoniam est infinitum nihil reliquit extra se sui, nec admittit aliquid alienum, naturam unicam simplicissimamque cogitamus. Perinde ac quis naturalem Solis formam et lucem huic intimam calefactoriamque virtutem, unicam Solis naturam esse dixerit”.

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Il concetto gerarchico è conservato da Ficino, ma dominato da quello di circolarità, che tende a trasformare la visione di un universo considerato come un assolutismo geometrico o un gerarchismo rigido, per dar luogo alla visione di nuovi mondi o degli infiniti di Giordano Bruno. Dio come prima causa e trascendente infinitamente ogni cosa, è però non familiare a nessun corpo. Se Dio è l’assoluto immobile non può essere il principio intrinseco del movimento del cielo. E’ per l’anima che il cielo, dunque, vive nel segno della vita interiore, che non è molteplice, ma una. Il mondo è un solo divino animale, che si muove per un principio che è intrinseco. Ficino afferma che il mondo si muove senza fine per codesta unità. Così, partendo dal principio procliano e dionisiaco, supera l’emanatismo facendo del mondo qualcosa di interamente spirituale. In altri termini, l’ordine naturale rivela una dipendenza da quello spirituale, ma anche, proprio per questo si definisce come un campo di potenzialità che l’anima può costantemente conoscere e modificare. Interpretato in questo modo, il concetto di gerarchia, permetteva di giustificare la magia come riflesso del dominio dell’anima sul corporeo. Considerazione naturale e visione magica delle cose diventano perciò aspetti complementari di una medesima vicenda e la loro unione finisce per definire il compito stesso dell’uomo nel cosmo424.

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