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Secondo solo al Parmenide, in senso strettamente metafisico, il Sofista rappresenta per Plotino il capolavoro di Platone sull’ontologia. Ficino fu fortemente influenzato dalla visione dell’essere di Plotino e in larga parte la accettò, sebbene la sua fede cristiana lo spingesse ad alcune modifiche. Si può arrivare a un’adeguata comprensione dell’interpretazione ficiniana di questo dialogo ritornando all’Argumentum che egli scrisse intorno al 1465, ma che fu pubblicato insieme agli altri

Argumenta e alle altre traduzioni, nel 1484.

Il sottotitolo tradizionale del Sofista è “de ente”, e Ficino lo accetta in considerazione del fatto che l’essere è l’oggetto proprio della ricerca filosofica, sebbene necessariamente questo comporti anche uno studio del non-essere, che è in realtà il vero interesse del sofista:

“Dopo il Teeteto, sulla scienza, bisogna leggere il Sofista, sull’essere, che è l’oggetto della scienza. Nel Sofista, poi, mentre si disserta dell’essere, verso il quale si volge il filosofo, nel frattempo si tratta anche del non essere, al quale si volge il sofista”313.

Dal momento che solo Dio è il sapiente, come nella tradizione pitagorica e platonica, solo il filosofo, che è il vero amante della sapienza di Dio, è il vero imitator. Per contrasto, il sofista è non tanto un imitator quanto piuttosto un aemulator del filosofo: “Presso Pitagora e Platone, saggio, cioè sapiente, è solo Dio. Il filosofo è il vero imitatore di Dio. Il sofista, l’ambizioso e fallace emulo del filosofo”314.

Ficino riporta sei definizioni di sofista date da Platone in 231DE. Ma per dare una definizione esatta bisogna prima affrontare l’intero processo che poggia sul dividere, comporre e infine definire. Tuttavia, il reale problema affrontato nel Sofista è, secondo Ficino, quello di definire innanzitutto che cosa è l’essere e che cosa è il non- essere: questo non si può ottenere senza fare riferimento all’ultimo principio metafisico, l’Uno, che Ficino intravede dietro l’argomentazione di Platone ai versi 244B-245B:

313 Marsilij Ficini Commentaria et Argumenta in Platonis Sophistam. Argumentum, Ficino,

Opera, pp. 1282-1283 : “Post Theaetetum de scientia, legendus est Sophista de ipso ente quod scientiae

est obiectum. Dum vero in Sophista de ente disseritur circa quod versatur Philosophus, tractatur interim de non ente, ad quod Sophista declinat”.

314 Ibid.: “Apud Pythagoram et Platonem sophos, id est sapiens, solus est Deus. Philosophus

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“Platone dà sei definizioni di sofista. Poiché certamente non si può avere una definizione senza una divisione, tramite la quale siano separate dalla cosa stessa da definire le cose che della stessa non sono, il genere della cosa viene diviso tramite differenze, dalle quali, infine, si compongono per genere le specie e, nello stesso tempo, si definiscono. Per questo motivo, Platone, per prima cosa, escogita domande esattissime per definire il sofista, ammonendo che nessuno può discernere completamente la natura recondita di una cosa, se prima non l’ha interamente discreminata da una qualità diversa. Dopo, per il bene degli uomini, presenta le descrizioni dell’essere e del non essere, e, come nel Parmenide, l’essere deriva dall’Uno”315.

Viene stabilito qui, come possiamo vedere, uno stretto legame tra il Sofista e il

Parmenide, legame dovuto all’interpretazione essenzialmente neoplatonica adottata da

Ficino316. Egli presenta Platone mentre enumera le cinque fondamentali categorie dell’essere, categorie che Ficino, seguendo alcuni passaggi di Plotino nelle Enneadi, 317 considera come fondamentali della metafisica platonica: “Elenca cinque generi di enti: l’essere, l’identico e il diverso, la quiete e il moto”318.

I contributi del Sofista alla costruzione ontologica di Plotino sono numerosi, ma innanzitutto Plotino vede in esso la postulazione delle cinque classi fondamentali dell’essere, come la via indicata da Platone per la definizione delle categorie del regno intelligibile. Le cinque classi non sono considerate come Idee platoniche in senso stretto, come l’Idea di Forza o quella di Giustizia, piuttosto esse appaiono come i modi di relazione che pertengono alle Idee, le “infrastrutture del regno noetico”319. Pertanto Plotino vede nel Sofista la chiave per comprendere l’ontologia di Platone, e sia lui che i suoi successori, leggeranno il Parmenide in modo “critico” principalmente alla luce dell’ontologia del Sofista. Il Sofista emerge dunque come un dialogo fondamentale, un

315 Ibid.: “Sex Plato Sophistae definitiones adducit. Quoniam vero definitio haberi absque

divisione non potest, per quam ab ipsa re definienda quae ipsius non sunt separentur, genus ipsius per differentias dividatur, ex quibus tandem simul et genere componantur species atque definiantur, idcirco Plato Sophistam definiturus, exactissimas primum petitiones excogitat, admonens, neminem omnino latentem rei cuiusque naturam discernere posse, nisi eam penitus ab aliena qualitate secreverit. Proinde entis atque non entis descriptiones pro viribus effert, atque ens, quemadmodum et in Parmenide, subijcit uni”.

316 Su questi argomenti vedi soprattutto: Allen, M.J.B., Icastes. Marsilio Ficino’s interpretation

of Plato’s Sophist, Berkekey-Los Angeles-Oxford, University of California Press, 1989.

317 Enneadi, 2.4.5.28-35; 3.7.3.8-11; 5.1.4.30-43; 6.2.7-8.

318 Marsilij Ficini Commentaria et Argumenta in Platonis Sophistam. Argumentum, op. cit.:

“Entis quinque numerat genera, essentiam, idem, et alterum, statumque et motum”.

319 Vedi soprattutto: Plotin: Lecteur de Platon, Paris, 1978; Inge, W.R., The Philosophy of

Plotinus, 2 voll., London, 1923, pp. 1-194; Allen, M.J.B., Icastes. Marsilio Ficino’s interpretation of Plato’s Sophist, op. cit.

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testo magistrale che gli studenti devono affrontare prima di arrivare alla corretta interpretazione della seconda parte del Parmenide.

L’analisi di Ficino del Sofista risente chiaramente della prospettiva plotiniana, con la sua attenzione all’ontologia, che viene esposta come genuinamente platonica. Seguendo Platone, Ficino definisce le Idee di essere, identico, diverso, quiete e moto, come amplissima quinque genera, come principi interdipendenti combinatori, come le Idee più universali: questa era infine l’interpretazione plotiniana. L’interpretazione ficiniana del Sofista appare come il risultato degli studi sulle Enneadi di Plotino, e in particolare sul trattato 6.2: Ficino condivide l’enfasi di Plotino sull’ontologia, e sul legame che si instaura tra il Parmenide e il Sofista, considerati come i due dialoghi più importanti di Platone.

Chiaramente il Sofista, continua Ficino nella sua introduzione, tratta poi anche altri temi e motivi: la distinzione tra conoscenza e opinione, tra orazione vera e falsa, tra il sostanziale concetto di essere e la varie funzioni del verbo essere:

“Quindi, insegna che la vera essenza conviene alle cose incorporee; quella immaginaria, invece, alle corporee. Confuta coloro che negano le cose incorporee, e, inoltre, coloro che credono che tutte le cose solamente si muovano, o che solamente rimangano ferme. Parimenti, disputa sulla scienza e sull’opinione, e sul discorso vero o falso, sulla parola e sul nome, fin dove questa disputa gli appaia pertinente all’essere stesso”320.

Il momento più importante del dialogo è tuttavia, secondo Ficino, la “divina sentenza conclusiva” di Platone ai versi 265C-E e 266B, in cui si dimostra che tutti gli oggetti naturali non sono un’illusione o l’opera del demonio, bensì vengono da Dio stesso: questi oggetti non sono semplicemente imitazioni di realtà incorporee, immagini elementari delle Idee, ma derivano il loro essere dalla processione della sapienza divina: “Infine, dopo aver discusso del sofista e, nello stesso tempo, del filosofo, conclude il libro con una sentenza divina: che certamente le cose naturali sono opera di Dio. E davvero ha dimostrato che tutte le opere della natura provengono da una certa sapienza divina infusa nel mondo”321.

320 Marsilij Ficini Commentaria et Argumenta in Platonis Sophistam. Argumentum, op. cit.:

“Docet veram quidem essentiam rebus incorporeis convenire, imaginariam vero corporeis. Eos praeterea qui incorporea negant, admodum detestatur, eos insuper qui vel omnia moveri solum, vel solum manere putant. Item de scientia atque de opinione et oratione vera vel falsa, de verbo et nomine disputat, quatenus ad entis ipsius disputationem pertinere videtur”.

321 Ibid.: “Demum postquam de Sophista simul ac Philosopho disputavit, divina quadam librum

concludit sententia, videlicet res naturales, opera esse Dei. Siquidem omnia naturae opera a divina quadam sapientia mundo infusa, probaverat proficisci”.

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L’introduzione finisce con un importante contrasto, in cui vengono glossati i versi di Platone al 266B7:

“dice che il sofista ci rimane nascosto così come ci resta occulto il non essere, cioè in quanto è avvolto dalle tenebre; anche il filosofo ci resta similmente nascosto, sebbene per una ragione diversa: certamente perché è completamente avvolto dallo splendore dell’essere stesso, cioè, della divina verità, sicchè supera certamente la vista concessa agli animi volgari”322.

Nel breve volgere di questo Argumentum possiamo vedere il concetto che stabilisce che il filosofo è il contemplatore dell’autentico essere, in contrasto con il sofista che è il campione del reame del falso essere e delle illusioni, delle ombre e delle immagini. Ma l’essere autentico (essentia vera) e il falso essere (non ens, id est falsum) non solo solo categorie ontologiche: in mezzo a loro si dispiega l’essentia imaginaria, una terra di mezzo tra il vero e il falso essere, che comporta una serie di fascinazioni. Tuttavia i prodotti dell’attività fantastica, proprio in quanto umbrae, non sono totalmente schiacciati sulla dimensione delle tenebre e dell’assolutamente falso, ma mantengono un rapporto con la realtà. In questo senso la dimensione umbratile, nella quale si muovono tanto la phantasia che il sofista, è tanto più pericolosa della pura tenebra e tanto più capace di indurci in errore, facendoci scambiare ciò che è solo un’apparenza o un’ombra con ciò che è “sostanziale”. Ficino instaura dunque un forte parallelismo tra la phantasia e il sofista, il maestro dell’apparenza, che inganna gli uomini perché confonde il velo e il contenuto, la forma e la materia. Emerge dunque la necessità di sottrarsi al mondo delle apparenze e delle immagini fantastiche su cui si fonda la falsa sapienza323.

322 Ibid.: “Ibidem et sophistam nobis occultum esse inquit, tanquam non entis, id est, falsi

tenebris involutum, et Philosophum pariter occultum esse, quamvis alia ratione, quia videlicet entis ipsius, id est, divinae veritatis splendore undique circumfusus, vulgarium intuitum animorum prorsus exsuperet”.

323 Su questi argomenti vedi Tirinnanzi, E., Umbra Naturae: l’immaginazione da Ficino a

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