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L’opera platonica di Ficino, il suo tentativo di recuperare all’Occidente la tradizione platonica, inizia significativamente con la pubblicazione delle traduzioni ermetiche. Come abbiamo visto, Cosimo il Vecchio avrebbe chiesto al giovane Ficino di tradurre gli scritti attribuiti a Mercurio (o Ermete) Trismegisto prima di quel Platone di cui l’Occidente attendeva da tempo una traduzione completa.

Anche da parte di Cosimo vi dovevano essere dunque un grande interesse e una grande attesa per i testi ermetici greci, che, infatti, furono destinati subito alla traduzione, non appena arrivati in Italia, portati dalla Macedonia ad opera di un monaco, Leonardo da Pistoia detto anche Leonardo Macedone. Il manoscritto del monaco Leonardo, contenente i primi quattordici trattati del Corpus hermeticum, è oggi unanimamente riconosciuto nel Laurenziano Plut. 71.33. Dell’arrivo del codice sappiamo da Ficino stesso che ne dà notizia nell’Argumentum, lettera di dedica a Cosimo de’ Medici, premessa alla traduzione del Corpus hermeticum235.

Anche un altro segno comunque rappresenta la grande attesa da parte dell’ambiente fiorentino nei confronti dei testi ermetici: l’immediato volgarizzamento della versione latina di Ficino, ad opera di Tommaso Benci, nel settembre dello stesso settembre 1463. Dopo una vasta circolazione manoscritta236, finalmente nel 1471 si ebbe l’editio princeps del corpus hermeticum, stampato per la prima volta a Treviso per i tipi di Van der Leye con il titiolo: Pimander: liber de potestate et sapientia Dei,

corpus hermeticum I-XIV237.

Il Pimander ficiniano ebbe un’immensa diffusione e uno strepitoso successo: vi furono addirittura ventiquattro edizioni tra il 1471 e il 1641238. La traduzione italiana dovuta a Tommaso Benci, invece, venne stampata solo nel 1548 dalla stamperia fiorentina dei Torrentino. Nel 1505 Jacques Lefèvre d’Etaples ristampò il testo ermetico, accogliendo in un solo volume il Pimandro ficiniano e la traduzione dell’Asclepius attribuita ad Apuleio239.

235 Argumentum Marsilii Ficini Florentini, in librum Mercurii Trismegisti, op. cit., p. 1836. 236 Si conoscono più di quaranta manoscritti della versione latina e circa una ventina di esemplari

della versione del Benci.

237 Pimander: liber de potestate et sapientia Dei, corpus hermeticum I-XIV, Treviso, G. van der

Leye, 1471.

238 Garin, E., Ermetismo del Rinascimento, op. cit., p. 1.

239 Sull’Argumentum ficinianum e sulla traduzione degli hermetica, è testo fondamentale quello

di Yates, F.A., Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Roma, Laterza, 1989 (trad. it. dell’ed. 1968), p. 30.

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Sono questi, infatti, i testi ermetici considerati “i più divini”240 e quelli che avranno maggiore diffusione nel Cinquecento. Come ha dimostrato E. Garin nel fondamentale saggio Ermetismo del Rinascimento, l’ermetismo era stato conosciuto nell’Occidente latino soprattutto tramite l’Asclepius, la cui traduzione latina veniva erroneamente attribuita ad Apuleio. Questo scritto, che aveva circolato variamente in Europa, doveva parte della sua fama alle citazioni di Agostino e di Lattanzio. Condannato e considerato testo magico, l’Asclepius fu poi presente massicciamente nella specualzione del XII e XIII secolo, quando cominciarono ad emergere l’interesse per le corrispondenze tra microcosmo e macrocosmo e la curiosità per i fenomeni naturali241.

Nel Quattrocento l’ermetismo dell’Asclepius era presente anche apertamente nel Cusano, con il tema dell’uomo magnum miraculum e riguardo ai rapporti tra uomo e Dio: nel De beryllo242 (1458) scriveva che Ermete Trismegisto aveva insegnato che l’uomo è un secondo Dio. Infine nella seconda metà del Quattrocento avevano iniziato a circolare le traduzioni latine di alcuni testi magici dell’ermetismo popolare, tra cui lo scandaloso Picatrix, il trattato di magia più completo e meglio fatto243.

Una grande attesa circondava dunque la traduzione del Corpus hermeticum, l’altra grande opera del Trismegisto che poteva venire considerata, per la sua presunta antichità, come una Bibbia non cristiana, una Genesi pagana dovuta alla rivelazione del Mosè Egizio. Ma prima di leggere con attenzione l’Argumentum ficiniano, che presenta all’Occidente il grande filosofo Egizio, soffermiamoci per un momento sulla tradizione ermetica.

Probabilmente, quando i Greci entrarono in contatto con l’Egitto e assimilarono al proprio culto molte divinità egizie, la figura del dio Thoth, lo scriba degli dei, fu confusa con quella dell’Hermes greco. A Thoth fu attribuita l’invenzione della scrittura e, come il suo gemello greco, anche di molte altre arti, come la medicina, la magia, l’astronomia e la teosofia. In seguito, quando le due figure furono separate, i Greci dovettero distinguere l’Hermes tradizionale greco, da quello di origine egiziana, e quest’ultimo fu sempre indicato col nome di Ermete Trismegisto o, nel mondo latino, Mercurio Trismegisto. Poiché la principale prerogativa di Thoth era di essere lo scriba degli dei, a lui furono attribuiti l’invenzione della scrittura e tutti i libri più antichi in

240 Argumentum Marsilii Ficini Florentini, in librum Mercurii Trismegisti, op. cit., p. 1836. 241 Garin, E., Ermetismo del Rinascimento, op. cit., p. 33.

242 v. Nicolaus Cusanus, Opuscola De beryllo, in Opuscola varia, Strasburgo, 1488, ora in

Werke, Neueausgabe des Strassburger Druckes von 1488, a cura di P. Wilbert, Berlino, 1966-1967.

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Egitto, ed Ermete fu considerato, in pratica, l’autore, o quanto meno lo scriba, di tutta la sapienza religiosa egiziana e l’istituitore dei caratteri delle lettere, “in animalium, arborumque figuris”244.

Una delle funzioni dei sacerdoti egizi consisteva nel redigere il calendario, indicando i giorni fausti e quelli nefasti, determinando l’influenza degli astri sulla vita umana. Sebbene non ci si possa pronunciare con certezza sull’antichità di tali usi, è sicuro che nel terzo secolo a.C. le osservazioni sparse, tradotte in greco, furono raccolte e classificate in un compendio d’astrologia, che circolò con l’attribuzione al dio egiziano Thoth-Ermes. A questo primo manuale si aggiunsero altri trattati e venne così formandosi tutta una letteratura sotto il nome del Trismegisto. La prima testimonianza ne è il Liber Hermetis. Questa scienza astrologica si diffuse durante l’epoca ellenistica245.

Probabilmente nel secondo o terzo secolo d.C., comunque nei primi secoli dell’età imperiale, come le ricerche moderne hanno stabilito, alcuni filosofi pagani produssero una serie di scritti filosofici in greco, sotto il nome e l’autorità di questo dio, forse per rivitalizzare il paganesimo ormai allo stremo, di fronte al cristianesimo dilagante. Di una letteratura filosofica ermetica, in effetti, pare si cominci a parlare chiaramente dal secondo secolo d.C. Ci furono quindi due tipi di scritti attribuiti ad Ermete: quelli magico-astrologici o dell’ermetismo popolare, e quelli teologico- filosofici o dell’ermetismo dotto246.

Infatti, secondo la ripartizione di Festugière, la rivelazione di Ermete concerne la filosofia, l’astrologia e l’alchimia247. I testi dell’ermetismo popolare, dispersi in una quantità di scritture, a noi pervenute in greco e in versioni latine medievali di testi orientali, trattano di astrologia, di alchimia, di magia e di scienze occulte248. Con questo termine si intende la scienza delle proprietà nascoste, che stabiliscono tra gli esseri relazioni di simpatia e di antipatia. Queste relazioni sono i segreti della natura e chi li conosce è signore della natura: può operare miracoli, è un taumaturgo e un grande mago249.

244 v. Argumentum Marsilii Ficini Florentini, in librum Mercurii Trismegisti, op. cit., p. 1836. 245 Festugière, A.J., Ermetismo e mistica pagana, Genova, Il melangolo, 1991, pp. 99-100. 246 Ibid., pp. 33-34; Garin, E., Ermetismo del Rinascimento, op. cit., p. 23.

247 Festugière, A.J., La Rèvèlation d’Hermès Trismègiste, Parigi, Gabalda, 1944-1954. Ci

riferiamo all’ordine che Festugière ha seguito nel primo volume de La Rèvèlation, dividendo l’opera in:

Hermetica, Astrologica e Alchymica.

248 Garin, E., Ermetismo del Rinascimento, op. cit., p. 26.

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Questa rappresentazione del sapiente differisce notevolmente dal sapiente aristotelico, come anche il carattere proprio di questa nuova scienza rompe radicalmente con la scienza aristotelica e, in generale, con il razionalismo greco, il cui carattere è essenzialmente deduttivo250.

I testi più antichi dell’ermetismo dotto, grosso modo databili tra il II e il III secolo d.C., sono gli importantissimi frammenti latini conservati nell’Anthologium di Stobeo, una parte dei quali è tratta dal “libro sacro”, intitolato Korè Kosmou. L’opera, fortemente impregnata di mitologia egiziana, propone una dottrina segreta: lo ierogramma universale o Kamefis251. Come abbiamo visto, testo fondamentale dell’ermetismo dotto, è il famoso trattato Asclepius, traduzione latina, erroneamente attribuita ad Apuleio, di un originale greco oggi perduto, il Logos teleios, o Discorso

perfetto, databile nel IV secolo d.C.252. Infine, il Corpus Hermeticum propriamente detto, composto in tutto da diciassette trattati greci, che dimostrano chiaramente un’origine non unitaria, per la diversità della forma e del contenuto e non costituiscono un corpo dottrinale coerente. Inoltre questi trattati non furono riuniti in un Corpus unico nell’epoca in cui fiorì l’ermetismo, cioè nel II e III secolo d.C., ma la prima testimonianza di cui disponiamo sul Corpus attuale, è di Psello nell’XI secolo.253

La rivelazione dell’ermetismo dotto concerne i problemi di teologia. Questa era tradizionalmente di competenza della speculazione filosofica, ma poco alla volta in epoca ellenistica, si cominciò a dubitare del dio razionale dei Greci: un dio posto all’estremità di un sillogismo, spogliato di ogni mistero. Adesso la conoscenza di Dio non riguarda più i termini di un sillogismo, non è più un esercizio di ragionamento, ma si ottiene con un atteggiamento di preghiera e di devozione.254

La diffusione della letteratura ermetica si deve quindi probabilmente al clima culturale del secondo secolo d.C., nell’Impero romano e nel mondo greco. Qui, in seguito a cambiamenti sociali, economici e politici, l’uomo ellenistico, sperduto in una città terrena che non riconosce più, si affida al misticismo e diffida della ragione255. Le esigenze di carattere speculativo venivano soppiantate e assorbite dagli interessi di tipo mistico e religioso, il razionalismo antico era spodestato dal misticismo, la filosofia stava diventando sempre di più una scienza della rivelazione e finiva con l’identificarsi

250 Ibid., pp. 44-49. 251 Ibid., p. 100.

252 Garin, E., Ermetismo del Rinascimento, op. cit., p. 24.

253 Festugière, A.J., Ermetismo e mistica pagana, op. cit., pp. 36-43. 254 Ibid., pp. 50-56.

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essenzialmente con la teologia. Anche il platonismo dell’epoca aveva fatto proprio un forte colorito religioso, idealizzando in questo senso le figure dei due grandi maestri, Platone e Pitagora. L’ermetismo si isparava nettamente alle posizioni prese dalle scuole Neoplatoniche, inoltre, ad esse intrecciava la tendenza generale, per cui la conoscenza veniva intesa come rivelazione divina, la filosofia si risolveva nella contemplazione divina. Tuttavia pare che il tratto peculiare dell’ermetismo stia nella ricerca di un livello più alto di conoscenza, teso a cogliere l’unità del tutto e a identificarsi con il tutto, per operare nel tutto, trasformandolo256.

La tarda antichità e, come vedremo, alcuni autori cristiani medievali, accettarono tutti questi scritti attribuiti a Ermete come autentici257. Era dunque sulla base di un’eccellente autorità che il Rinascimento considerava Ermete Trismegisto come una persona realmente vissuta in tempi antichissimi e come l’autore degli scritti ermetici: nella cattedrale di Siena (XV secolo), sulla pavimentazione della navata centrale, Mercurio è rappresentato come un grande vegliardo barbuto, con sotto la scritta: “Hermes Mercurius Trismegistus Contemporaneus Moysi”258.

256 Garin, E., Ermetismo del Rinascimento, op. cit., p. 28.

257 Infatti, il primo a riconoscere negli Hermetica delle pseudoepigrafi, sarà Casaubon, solo nel

1614.

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