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Se durante il Concilio, aveva preso forma un conflitto d’opinione tra i membri ecclesiastici unionisti e oppositori, divisi in una disputa teologica sulla natura della Trinità (la questione del filioque), tra Scholarios e Gemisto la disputa era diventata essenzialmente filosofica sul primato di Aristotelismo e Platonismo. Tuttavia, non bisogna dimenticare, come ha recentemente affermato Sebastiano Gentile, che

“accanto ai dibattiti più propriamente filosofici su Platone e Aristotele, non meno vive dovevano essere, nella Firenze conciliare, le discussioni sulla costituzione migliore, sull’ottima legislazione o, più in generale, su temi di teoria politica e di storia, tra umanisti latini e greci”179.

A tal proposito bisogna ricordare una coincidenza densa di significato, che testimonia le presenza, nella Firenze del Concilio, di un colloquio più ampio, non limitato soltanto a Platone e Aristotele.

Nel 1439, il più rappresentativo degli umanisti italiani, Leonardo Bruni, Cancelliere della Repubblica di Firenze, compose i Commentaria rerum Graecarum

usque ad victoriam apud Mantineam partam, traduzione latina e integrazione delle Elleniche di Senofonte. Ora, nel codice Marciano gr. 406, che contiene excerpta e

opuscoli per la maggior parte autografi di Pletone, troviamo un’ideale completamento dell’opuscolo di Leonardo Bruni, opera di Pletone: una storia della Grecia dopo la

battaglia di Mantinea180.

La storia greca di Bruni e quella di Pletone furono giudicate complementari l’una all’altra anche dal Camerarius, tanto che nel 1546 costui pubblicò i Commentaria di Bruni, seguiti da una versione latina dell’opuscolo di Pletone, che fece passare per opera sua181.

Nello stesso codice Marciano gr. 406, è poi inserito il trattato greco di Leonardo Bruni sulla costituzione fiorentina, con correzioni autografe di Pletone182. Il fatto che

179 Cfr. Gentile, S., Introduzione, op. cit., p. XIX.

180 L’opuscolo di Pletone è stato recentemente pubblicato da Enrico Maltese: Georgius Gemistos

Plethon, Opuscula de historia graeca, Leipzig, ed. Maltese, 1989. Su questi argomenti vedi: Gentile, S.,

Giorgio Gemisto Pletone e la sua influenza sull’umanesimo fiorentino, op. cit., pp. 824 e sgg.

181 Vedi Maltese, E., Una storia della Grecia dopo Mantinea, «Res Publica Litterarum», 10,

1987, pp. 210-207.

182 Moulakis, A., Leonardo Bruni’s Constitution of Florence, «Rinascimento», serie II, 26, 1986,

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Pletone leggesse e correggesse il testo di Bruni testimonia e conferma, dunque, come accanto alle discussioni più propriamente filosofiche si svolgessero nella Firenze conciliare anche dibattiti su questioni di ordine politico, e come a queste partecipasse in qualche modo anche Gemisto Pletone.

E’ sembrato allora oltremodo probabile che Cosimo de’ Medici venisse colpito non tanto dai “mysteria platonica” in senso stretto e dalle discussioni squisitamente filosofiche, quanto piuttosto dai progetti di riforma dello stato teorizzati da Pletone, di cui si discuteva dietro le quinte del Concilio.

Del resto è verosimile che, nel 1439, rientrato da poco dall’esilio, Cosimo si interrogasse su quale assetto politico si potesse dare a Firenze. La soluzione prospettata da Pletone di uno stato che avrebbe goduto di un’altissima auctoritas perché con radici in una tradizione millenaria, dovette apparirgli oltremodo suggestiva183. Non dovette dunque sfuggire a Cosimo il Vecchio la possibilità di riportare alla luce le tradizioni filosofico-religiose a cui Pletone si era richiamato, per poi fondare il suo progetto di riforma.

Lo stato ideale che Pletone proponeva come modello, cioè quello retto da un monarca non dispoticamente assoluto, ma circondato da saggi consiglieri, poteva adattarsi alla situazione politica di Firenze e alle sue magistrature, rispettando la tradizionale avversione dei Fiorentini per un dominio dispotico e il loro attaccamento alla “Florentina libertas”. Insomma una sorta di “principato civile”, non dissimile da quello teorizzato più avanti da Ficino nel suo Apologus alla versione del Politico di Platone, dove temi derivati dal Convivio e dalla Monarchia di Dante si uniscono ad una diretta allusione al tipo di Signoria instaurata da Cosimo e mantenuta da Lorenzo in Firenze.

Allo stesso tempo non dovette dispiacere a Cosimo la possibilità di vedere se stesso, e poi i suoi discendenti, nei panni di quel reggitore-filosofo di platonica memoria, che Gemisto poneva alla guida del suo stato ideale. Lo status di reggitore- filosofo avrebbe conferito a lui, e poi soprattutto a Lorenzo, quell’autorità che li avrebbe posti un gradino al di sopra degli altri ottimati fiorentini, facendo sì che fossero guardati con occhi nuovi anche dagli altri principi italiani, cosa che in effetti sarebbe poi diventata la caratteristica principale del governo mediceo184.

Inoltre, accettando le tesi di Gemisto, Cosimo avallava sottilmente l’idea di una riforma religiosa, ispirata a concezioni platoniche, che, se anche non avesse mirato, Diller, A., The Autographs of Georgius Gemistos Plethon, «Scriptorium», 10, 1956, pp. 34-39; Gentile, S., Pletone e la sua influenza sull’umanseimo fiorentino, op. cit., pp. 823-824.

183 Vedi soprattutto Gentile, S., Introduzione, op. cit 184 Ibid.,pp. XXI-XXII.

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come aveva auspicato Pletone, a sovvertire radicalmente il cristianesimo, sostituendogli una religione pagana, poteva altresì implicare un cambiamento decisivo nel ruolo e negli atteggiamenti della Chiesa e del clero, o più in generale, una limitazione dei poteri ecclesiastici e dell’ingerenza del papato nelle “cose terrene”, con conseguenze favorevoli per il recente regime mediceo. D’altra parte, come ha ricordato C. Vasoli: “il crescente disagio e dissenso religioso che stava già manifestandosi ai diversi livelli della società quattrocentesca, e che sarebbe andato sempre più crescendo, sino alla crisi degli anni del Savonarola, consigliava, del resto, a proporre una profonda riforma della vita e del magistero ecclesiastico da ricondurre alla «semplicità» e «purezza» dell’età apostolica”185.

Sarebbero dunque queste le ragioni che mossero Cosimo a promuovere il progetto platonico teorizzato da Gemisto. Sarebbe poi azzardato sostenere che fu grazie all’incontro del 1439 che il regime mediceo assunse - di fatto - una forma di governo non dissimile da quella prospettata da Pletone per la Morea, ma certamente fu Cosimo a scegliere il giovane Ficino, a fornirgli i codici greci sui quali tradurre, ad imporgli un programma di traduzioni che iniziava non da Platone, ma dagli scritti attribuiti ai prisci

theologi riscoperti proprio da Pletone.

Si potrà dubitare della veridicità dell’aneddoto raccontato da Ficino nel Proemio

a Plotino: una questione infatti è la veridicità storica del racconto che Ficino fa circa gli

incontri tra Cosimo e Gemisto, e il conseguente progetto di Cosimo di restaurare l’Accademia e la tradizione platonica; tutt’altra questione è invece, come afferma Garin, “il significato che quel racconto viene ad assumere nella prospettiva delle reali iniziative di Cosimo, a cominciare dal dono a Marsilio dello splendido codice di tutto Platone”186.

Si potrà dubitare ancora che vi fosse proprio l’incontro tra Cosimo e Gemisto dietro l’impresa di Cosimo di resuscitare in Firenze quella religione pagana che aveva tanto scandalizzato lo Scholarios, ma certamente sia Ficino che Pletone intesero recuperare la concezione di una religione antichissima, ancora libera da ogni forma di superstizione: di qui la necessità di riformare filosofia e religione, di riportare entrambe a quella unità originaria che le caratterizzava all’epoca degli antichissimi sacerdoti di Persia ed Egitto.

185 Cfr. Vasoli, C., Il mito dei “prisci theologi”come “ideologia” della “renovatio”, op. cit., p.

38.

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11. Marsilio Ficino e il mito della prisca theologia come “ideologia della