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L’edizione ficiniana delle Enneadi di Plotino, fu accompagnata da summae,

argumenta e commentarij ai vari libri. In testa alla versione si trova il famoso Proemio

dedicato a Lorenzo de’ Medici, nel quale Ficino ripercorreva tutte le tappe principali della propria missione platonica: per questo motivo, giustamente Eugenio Garin ha definito il Proemio a Plotino del 1490 “un documento essenziale”376, il “manifesto” del programma ficinano di rinascita filosofica e religiosa377.

In questo senso andrebbe inteso tutto il racconto di Ficino, così circondato da un alone soprannaturale, fatto di coincidenze miracolose e influssi astrali378. Del singolare proemio a Plotino - illuminante per comprendere l'interesse di Cosimo nei confronti delle filosofie antiche - sono da sottolineare molte espressioni: Cosimo che frequenter ascolta Gemisto, quasi Platonem alterum de mysterijs Platonicis disputantem, e ne è ispirato (afflatus, animatus)379; la scelta del puer, Ficino, quasi predestinato alla traduzione del corpus platonico; il senso dell'ininterotta continuità del pensiero antico - evidentemente acquisito anche da Cosimo a seguito dell'insegnamento degli umanisti bizantini - che si esprime nell'incarico, conferito allo stesso Ficino ormai adulto, di tradurre gli Hermetica non come corpus a se stante, bensì come prologo agli scritti di Platone:

“In quel tempo in cui sotto il Pontefice Eugenio [IV] si teneva a Firenze il concilio tra i Greci e i Latini, Cosimo il grande, padre della patria per deliberazione del Senato, ascoltò frequentemente un Filosofo greco, di nome Gemisto e di soprannome Pletone, che disputava dei misteri Platonici quasi come un secondo Platone, e dalla fervente bocca di costui fu così intimamente toccato, così animato, che indi concepì con un pensiero elevato proprio l’Accademia, che avrebbe poi partorito nel tempo opportuno. Mentre quel gran Medici covava in qualche modo un tanto grande disegno, destinò me, il figlio del suo sceltissimo medico Ficino, ancora un bambino, a una tanto grande opera: e a questa stessa si dedicò giorno dopo giorno. In seguito, fece in modo che io avessi non solo tutti i libri greci di Platone, ma anche quelli di Plotino. Dunque, dopo questi fatti, nell’anno 1463, quando io avevo trent’anni, mi incaricò di tradurre in un

376 Cfr. Garin, E., Marsilio Ficino e il ritorno di Platone, op. cit., p. 8. 377 Ibid.

378 Ibid.

379 Marsilij Ficini Florentini in Plotini Epitomae, seu Argumenta, Commentaria et Annotationes.

Ad magnanimum Laurentium Medicem patriae servatorem. Prooemium, op. cit. Su questi argomenti si

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primo tempo Mercurio Trismegisto, infine Platone. In pochi mesi, mentre egli era ancora in vita, condussi a termine Mercurio. Quindi, cominciai anche Platone”380.

Esecutore del progetto di rinascita spirituale allora concepito, Cosimo aveva scelto un bambino, incaricandolo di riportare alla luce le testimonianze di questa tradizione largamente platonica, ma, racconta Ficino:

“Ma se desiderava pure Plotino, tuttavia di questa traduzione non fece parola, affinché non sembrasse caricarmi ancora una volta con un fardello più grave: tale era la clemenza di questo grande uomo verso i suoi, tale la modestia in tutte le cose: e così io, per così dire non profeticamente, certamente non pensai alfine di cominciare Plotino”381.

Ficino racconta poi come il giorno stesso della pubblicazione del suo Platone latino, Giovanni Pico della Mirandola, capitato a Firenze, subito lo esortasse a tradurre Plotino, quasi sotto un’ispirazione divina:

“Ma tuttavia Cosimo infine espresse, o meglio dall’alto segnò con un’impronta, ciò che in vita un tempo sulla terra aveva taciuto. Infatti, nel periodo in cui diedi da leggere Platone ai Latini, quell’eroico animo di Cosimo istigò, non so in che modo, la mente eroica di Giovanni Pico della Mirandola, neanche lui senza quasi sapere in che modo, a venire in Firenze. Costui, nato nell’anno in cui avevo cominciato Platone, giungendo poi a Firenze nel giorno e quasi nell’ora in cui davo l’edizione di Platone, subito dopo i primi saluti, mi interroga a proposito di Platone. A costui dissi che certamente il nostro Platone in quel giorno usciva dalle nostre dimore: allora anche egli si congratulò veementemente per questo stesso motivo, e dopo, non so con quali parole e neanche egli

380 Ibid.: “Magnus Cosmus Senatus consulto patriae pater, quo tempore concilium in Graecos

atque Latinos sub Eugenio Pontifice Florentiae tractabatur, Philosophum graecum nomine Gemistum, cognomine Plethonem, quasi Platonem alterum de mysterijs Platonicis disputantem frequenter audivit, ex cuius ore ferventi sic afflatus est protinus, sic animatus, ut inde Academiam quandam alta mente conceperit, hanc oportuno primum tempore pariturus. Deinde dum conceptum tantum magnus ille Medices quodammodo parturiret, me electissimi medici sui Ficini filium, adhuc puerum tanto operi destinavit: ad hoc ipsum dedicavit in dies. Operam praeterea dedit, ut omnes non solum Platonis, sed etiam Plotini libros graecos haberem. Post haec autem anno millesimo quadringentesimo sexagesimo tertio, quo ego trigesimum agebam aetatis annum, mihi Mercurium primo Termaximum, mox Platonem mandavit interpretandum. Mercurium paucis mensibus eo vivente peregi; Platonem tunc etiam sum aggressus”.

381 Ibid.: “Et si Plotinum quoque desiderabat, nullum tamen de hoc interpretando fecit verbum,

ne graviore me pondere semel premere videretur: tanta erat viri tanti erga suos clementia, in omnes tanta modestia: itaque nec ego quidem, quasi nec vates aggredi Plotinum aliquando cogitavi”.

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sa con quali, non mi incitò, quanto piuttosto certamente mi infiammò a tradurre Plotino”382.

Lo spirito di Cosimo attraverso Pico si manifestava a Ficino, in modo che, dopo Platone, traducesse pure Plotino, ossia “Platonem ipsum sub Plotini persona loquentem”383. Tutto questo viene da Ficino volutamente sottolineato, per ribadire con

più veemenza il tema interpretativo di fondo: la divina provvidenza, volendo omnes pro

singulorum ingenio ad se mirabiliter revocare, dispose una pia philosophia:

“Pertanto, grazie alla divina provvidenza che vuole mirabilmente attirare a sé tutti davanti all’ingegno dei singoli, accadde che nascesse una sola pia filosofia, dovunque concorde con sé stessa, sia presso i Persi sotto Zoroastro, che presso gli Egizi sotto Mercurio: che fosse in seguito allevata sotto Orfeo e Aglaofemo presso i Traci: che ancora crescesse poi sotto Pitagora, presso i Greci e gli Italici: infine invero che venisse consumata dal Divino Platone, ad Atene”384.

Con Platone dunque la rivelazione dei divini misteri era conclusa, ma, secondo il costume degli antichi, occultata:

“Era poi costume degli antichi Teologi nascondere i divini misteri con numeri e figure matematiche e con finzioni poetiche: affinché non fossero temerariamente resi comuni a chiunque. Plotino, pertanto, denudò la Teologia da questi velami: e per primo e solo,

382 Ibid.: “Verum interea Cosmus, quod vivens olim in terra reticuit, tandem expressit, vel potius

impressit, ex alto. Quo enim tempore Platonem Latinis dedi legendum, heroicus ille Cosmi animus heroicam Ioannis Pici Mirandulae mentem nescio quomodo instigavit, ut Florentiam, et ipse quasi nesciens quomodo, perveniret. Hic sane quo anno Platonem aggressus fueram natus, deinde quo die et ferme, qua hora Platonem edidi Florentiam veniens, me statim post primam salutationem de Platone rogat. Huic equidem Plato noster inquam, hodie liminibus nostris est egressus: tunc ille et hoc ipso vehementer congratulatus est, et mox nescio quibus verbis, ac ille nescit quibus ad Plotinum interpretandum me non adduxit quidem sed potius concitavit”.

383 Ibid.

384 Ibid.: “Itaque non absque divina providentia volente videlicet omnes pro singulorum ingenio,

ad se mirabiliter revocare, factum est, ut pia quaedam philosophia quodam et apud Persas sub Zoroastre, et apud Aegyptios sub Mercurio nasceretur, utrobique sibimet consona: nutriretur deinde apud Thraces sub Orpheo atque Aglaophemo: adolesceret quoque mox sub Pythagora apud Graecos et Italos: tandem vero a Divo Platone consumaretur Athenis”.

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come testimoniano Porfirio e Proclo, penetrò per volere divino gli arcani degli antichi”385.

Ficino vede dunque dichiaratamente in Plotino il continuatore di Ermete e Zoroastro, Orfeo e Aglaofemo, Pitagora e Platone: colui che ha saputo tradurre in linguaggio filosofico le loro immagini386. L’esegesi di Plotino diventa una lettura in

trasparenza dei misteri originari, che Plotino ha liberato dai vincoli poetici.

Il risultato di questa concezione della storia della pia philosophia, sarà quello di contrapporre la filosofia intesa come perenne commento platonico, alla scolastica aristotelica, approdata con Alessandro d’Afrodisia e Averroè a una empietà radicale: “Noi dunque con impegno ci siamo applicati a tradurre e a spiegare i teologi più vecchi con l’aiuto di Platone e di Plotino: affinché grazie a questa teologia, che sta venendo alla luce, i poeti smettano di annoverare empiamente le azioni e i misteri della pietà alle loro favole: e affinchè i Peripatetici in gran numero, e cioè i filosofi quasi tutti, riconoscano che non si deve giudicare la religione, almeno quella comune, così come si giudicano le favole dei vecchi. Infatti, quasi tutto il mondo occupato dai Peripatetici è diviso principalmente in due sette: l’Alessandrina e l’Averroica. I primi certamente pensano che il nostro intelletto sia mortale, gli altri sostengono invero che sia unico. Ma entrambe le parti del pari negano tutta la religione dalle fondamenta: e soprattutto, dal momento che sembrano negare la divina provvidenza presso gli uomini, entrambe le parti ancora si sono allontanate anche dal loro Aristotele: il cui pensiero oggi pochi capiscono, fuorché il nostro sublime complatonico Pico, con quella pietà che una volta fu di Teofrasto e di Temestio, di Porfirio e di Simplicio, di Avicenna e, recentemente, di Pletone”387.

385 Ibid.: “Veterum autem Theologorum mos erat, divina mysteria cum mathematicis numeris et

figuris, tum poeticis figmentis obtegere: ne temere cuilibet communia forent. Plotinus tandem his Theologiam velaminibus enudavit: primusque et solus, ut Porphyrius Proculusque testantur, arcana veterum divinitus penetravit”.

386 vedi Garin, E., Rinascite e rivoluzioni, op. cit., pp. 104-105.

387 Marsilij Ficini Florentini in Plotini Epitomae, seu Argumenta, Commentaria et Annotationes.

Ad magnanimum Laurentium Medicem patriae servatorem. Prooemium, op. cit.: “Nos ergo in Theologis

superioribus apud Platonem atque Plotinum traducendis, et explanandis elaboravimus: ut hac Theologia in lucem prodeunte, et poetae desinant gesta mysteriaque pietatis impie fabulis suis annumerare, et Peripatetici quamplurimi, id est, philosophi pene omnes amoveantur, non esse de religione saltem communi tanquam de anilibus fabulis sentiendum. Totus enim ferme terrarum orbis a Peripateticis occupatus in duas plurimum sectas divisus est. Alexandrinam et Averoicam. Illi quidem intellectum nostrum esse mortalem existimant: hi vero unicum esse contendunt. Utrique religionem omnem funditus aeque tollunt: praesertim, quia divinam circa homines providentiam negare videntur, et utrobique a suo etiam Aristotele defecisse: cuius mentem hodie pauci, praeter sublimem Picum complatonicum nostrum ea pietate, qua Theophrastus olim et Themistius, Porphyrius, Symplicius, Avicenna, et nuper Plethon interpretantur”.

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In definitiva, nel singolare Proemio a Plotino, “documeto essenziale” e “manifesto” del suo programma, Ficino, che sembra rendersi conto del cambiamento culturale in atto dai tempi del Concilio, consapevolmente e intenzionalmente rivendica una continuità ideale con l’opera dei dotti bizantini a Firenze, e soprattutto con Pletone, precisando un programma di riforma della filosofia che era al tempo stesso riforma religiosa. E’ Ficino stesso che si richiama all’influenza dei bizantini a Firenze, per collocare, entro una tradizione ben precisa e in un quadro storico molto netto, la propria missione di sacerdote cristiano della pia philosophia388.

Il Magnifico dunque era in realtà solo il continuatore dell’opera di Cosimo: era a quest’ultimo e al suo incontro con Pletone ai tempi del Concilio di Firenze, che Ficino, ormai alla fine della sua vita e della sua opera platonica, volle ricondurre l’origine della sua attività e “lo scopo della sua vita”. Si dovrebbe dunque considerare il racconto come un atto di riconoscimento da parte di Ficino nei confronti delle idee divulgate da Gemisto, un “atto tardivo e proprio per questo ponderato e volutamente compromettente”389. Era all'insegnamento di Gemisto, del quale Ficino si riconosceva continuatore, che andava riportata la difesa di una prisca theologia, l'idea di una

continuità nei secoli della vera filosofia platonica e lo stesso progetto di Cosimo de'

Medici di rifondare in Firenze l'Accademia di Atene.

Da questo momento in poi, gli autori di Ficino furono Porfirio, Proclo e Giamblico, destinati ad incontrarsi con lo pseudo Dionigi Areopagita e l’apologista cristiano Atenagora d’Atene. In essi, infatti, - secondo la lettura che ne dava Ficino - era giunta a compimento la prisca theologia, la sapienza antichissima, iniziata con Ermete e idealmente consolidata con Platone. Ficino vedeva Proclo, e allo stesso modo, lo pseudo Dionigi, nell’unità di una tradizione sapienzale e religiosa, che non viene mai smentita.

388 Cfr. Garin, E., Marsilio Ficino e il ritorno di Platone, op. cit., pp. 7-8. 389 Cfr. Gentile, S., Introduzione, op. cit., p. XVI.

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