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Nella prima opera che Ficino pubblicò a stampa, il De Christiana religione (in una doppia versione, prima in volgare toscano e poi in latino)187, vengono chiarite nel modo più esplicito “le ragioni di fondo della sua accettazione del mito della prisca

theologia e del significato che intendeva attribuirgli”188.

Nel De christiana religione, il filosofo, che aveva assunto il carisma sacerdotale da pochi mesi, aveva denunciato lo stato di decadenza in cui si trovava la religione, decadenza che a suo giudizio era dovuta alla separazione che si era consumata tra

religio e philosophia. Tema dominante del De Christiana religione, è dunque la

rivendicazione della necessaria convergenza che deve istaurarsi tra la sapientia e la

pietas. Ficino ricorda, com’è noto, che nell’antichità ebraica i profeti non furono solo

uomini di religione, ma anche filosofi; che il sacerdozio egiziano fu sempre attribuito a sapienti; che i padri della saggezza greca furono custodi di un’arcana filosofia; che alle origini del cristianesimo i santi furono uomini di dottrina.

L’unità intrinseca di filosofia e religione era una saldatura che, secondo Ficino, esisteva nelle epoche antiche presso le grandi civiltà. Ficino è certo che la separazione della pietas dalla sapientia, che si era consumata negli ultimi secoli, aveva avuto conseguenze gravissime, determinando la decadenza di entrambe: la filosofia era diventata strumento di empietà e la religione era affidata a uomini rozzi e privi di dottrina189.

Dunque l’appello alle dottrine dei prisci theologi serviva per rivendicare l’unità e ristabilire l’antica identità di philosophia e religio, per restituire ai sapientes la loro funzione di amministratori delle conoscenze umane e dei mysteria divini, per rivendicare il pieno diritto per il filosofo di trattare le res divinae, come nell’antichità, quando insieme sacerdoti e sapienti indagavano le causae rerum e ordinavano il culto religioso190.

187 De Christiana Religione et fidei pietate liber, Florentiae, 1474.

188 Vasoli, C., Il mito dei “prisci theologi”come “ideologia” della “renovatio”, op. cit., pp. 40-

41.

189 Vasoli, C., Ficino e il De christiana religione, in ID., Filosofia e religione nella cultura del

Rinascimento, Napoli, Guida, 1988, pp. 30-31; Saitta, G., La filosofia di Marsilio Ficino, Messina,

Principato, 1923, p. 9 e sgg.

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Ficino, aspirando ad una continuità ideale con Pletone, avrebbe cercato dunque di riaffermare la missione sacerdotale e riformatrice della filosofia. Occorreva, infatti, restituire alla religione il suo carattere di dote universale di tutti gli uomini, unendola ad una filosofia, come quella dei prisci e dei Platonici, capace di avvicinare anche i non addottrinati ai più segreti e divini misteri. Il filosofo fiorentino intese appunto dimostrare che la religione può essere illustrata e resa più solida proprio dal ritorno alle fonti di una verità comune di cui sarebbe stata depositaria appunto una lunga tradizione di filosofi-teologi, assai affine a quella proposta da Gemisto.

A Jano Pannonio, che aveva dubitato in una sua lettera del carattere divino di queste teologie originarie191, Ficino rispondeva esaltando il carattere storico e religioso insieme del suo lavoro rivolto alle filosofie antiche. Non si tratta, egli afferma con decisione, del frutto di pura curiositas, ma di una renovatio antiquorum, in cui il richiamo alla prisca theologia intende in realtà sanare le sterili contrapposizioni presenti nelle scuole filosofiche e specialmente intende contrapporre l’unità religioso-filosofica della tradizione platonica ai profondi dissidi che vedono gli aristotelici dividersi in alessandrinisti e averroisti192.

Ficino indicava nel ricorso all’analisi storica l’unico modo per non cadere nella filosofia dogmatica e naturalistica: la ricostruzione della prisca theologia forniva gli argomenti per congiungere indissolubilmente filosofia e fede: così diceva a Lorenzo nel

Proemio all’opera platonica:

“Magnanimo Lorenzo, la divina provvidenza, che si occupa vigorosamente di tutte le cose e ne dispone con grazia, stabilì non solo di fortificare la religione santa con i Profeti, le Sibille e i maestri sacri, ma anche di ornarla in qualche modo e in particolare della nobile Filosofia: affinché la pietà, l’origine di tutti i beni, avanzasse sicura alla fine in mezzo a tutti i professori di sapienza e di eloquenza, così come presso i servi si acquieta al riparo. Bisognava, infatti, che la religione (che è la sola via che conduce alla felicità) non fosse comune solo agli uomini più rozzi, ma anche ai più acuti. Di conseguenza, con questa guida tutti possiamo pervenire alla beatitudine, in grazia della

191 Joannes Pannonius Marsilio Ficino, in Ficino, Opera, p. 871. 192 Marsilius Ficinus Joanni Pannonio, in Ficino, Opera, p. 871-872.

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quale siamo nati, e possiamo lavorare con uno studio comune per conseguirla più facilmente e più sicuramente”193.

Ma mentre Pletone con il suo richiamo ai prisci theologi aveva tentato di decristianizzare totalmente la religione, Ficino non intendeva certamente far risorgere le antiche fedi pagane, né assumere nei confronti delle istituzioni della Chiesa cattolica la dura condanna pronunziata da Gemisto. Oltre tutto, come ricorda Cesare Vasoli, “Firenze non era Costantinopoli o Mistra; né la Chiesa di Roma era…minacciata da un nemico ormai invincibile. Al contrario…essa conservava ancora l’autorità e la forza necessarie per mantenere il primato indiscusso del proprio magistero”194.

Ficino inoltre non intendeva comportarsi come Gemisto, che aveva rivelato le sue dottrine solo ad un piccolo gruppo d’amici scelti e oltretutto solo in forma orale: un comportamento del genere, infatti, sarebbe stato in pieno contrasto con le nuove possibilità di comunicazione offerte dalla rivoluzione tecnologica della stampa. Il che spiegherebbe perché il giovane Ficino si affannasse a presentare la sua rivendicazione della prisca theologia in una forma più moderata, e anzi, non nascose il proprio proposito di assumere il “compito pubblico” di annunciare un messaggio di rinnovamento: la via del ritorno alla “vera religio”. Con Ficino, Zoroastro ed Ermete Trismegisto, Orfeo e Pitagora, e poi Platone, Plotino, Porfirio, Proclo, Giamblico, insieme ai Padri della Chiesa e alle auctoritates scritturali, vengono assunti come “i veri rappresentanti di una docta pietas o pia philosophia che non sia più affidata alla povertà intellettuale di un clero illetterato o all’astrusa dottrina dei teologi scolastici”195.

Come ha affermato Cesare Vasoli, dunque, “la trasformazione del mito ideologico proposto dal bizantino in un tema tradizionale, già proposto da alcuni degli autori cristiani più familiari al Ficino sembrerebbe, dunque, evidente”196: Ficino

193 Marsilij Ficini Florentini in Commentaria Platonis ad Laurentium Medicem virum

Magnanimum. Prooemium, in Ficino, Opera, pp. 1128-1129: “Divina providentia, fortiter attingens

omnia, suaviterque disponens magnanime Laurenti, statuit religionem sanctam non solum prophetis et Sibyllis, sacrisque armare doctoribus, verum etiam via quadam, elegantique Philosophia singulariter exornare: ut ipsa pietas omnium origo bonorum, tam secura tandem inter omnes sapientiae, et eloquentiae professores incederet, quam tuta penes domesticos conquiescit. Oportebat enim religionem (quae unica est ad felicitatem via) non rudioribus tantum hominibus, verum etiam peritioribus communem fore. Qua quidem duce omnes ad beatitudinem, cuius gratia nati sumus, et ad quem consequendam communi studio laboramus facilius tutiusque pervenire possimus”.

194 Cfr. Vasoli, C., Il mito dei “prisci theologi”come “ideologia” della “renovatio”, op. cit., pp.

39-40.

195 Ibid., p. 42. 196 Ibid., p. 46.

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rielabora il tema proposto dal filosofo di Mistra in una forma “apparentemente più moderata di quella affidata a Le Leggi, ma, in sostanza, non meno efficace”197. Il filosofo fiorentino non mirava, come Gemisto, a rinnovare una religione non cristiana; Ficino intende piuttosto, come ha affermato Vasoli,

“cogliere i segni premonitori di una crisi religiosa imminente, per trasformare, con un sottile lavoro d’«intarsio», la teologia cristiana del suo tempo in un discorso sapienzale, sempre più ispirato dalle tradizioni esoteriche, dalle pratiche teurgiche e dal tema della «deificatio hominis» così dominanti nei testi platonici più frequentati da lui, come dal vecchio filosofo bizantino”198.

Ficino intese dunque conciliare il cristianesimo non solo con il platonismo, ma anche con il mito della prisca theologia, che veniva ad assumere il significato di fondamento di un’eterna sapienza nella quale si risolvono tutte le esperienze filosofiche e religiose, una religione filosofica che si poteva rintracciare in ogni stadio dell’umanità. In effetti, continua Vasoli, con Ficino ha inizio la lunga e varia tradizione del cosiddetto ermetismo cinquecentesco e seicentesco: una tradizione che della prisca

theologia, dello zoroastrismo e dell’ermetismo, si serve come argomento in favore della

propria interpretazione del cristianesimo, ortodossa o fortemente eterodossa ed esoterica199. Come si vede, con Ficino la prisca theologia sembra risolversi nell’accettazione di una sorta di religio naturalis una religio philosophica o pia

philosophia, che poteva considerarsi come un preparatio evangelica da risolvere nella

suprema contemplazione dell’Uno.

Con l’autorità di una presunta rivelazione antichissima, la prisca theologia non costituiva soltanto il tessuto unificante di fedi e dottrine diverse, ma anche il filo che legava i vari momenti della ricerca dell’uomo della verità universale200. Prendeva così forma la convinzione, favorita anche dai testi apocrifi, che la perennis philosophia fosse comune a tutta l’umanità e quasi connaturata alla mente umana: diversa nelle forme e nelle parole, ma non nella sostanza, rintracciabile presso tutti i popoli e fondamento della riunificazione spirituale di tutto il genere umano, essa costituisce il fondamento razionale del cristianesimo. Gli antichi saggi, che preannunciavano Platone, erano nello stesso tempo i rappresentanti dell’antica teologia e filosofia pagana, che, agli occhi di

197 Ibid., p. 40. 198Ibid., p. 43. 199 Ibid., p. 46.

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Ficino, si accordava interamente con il messaggio cristiano e giudaico. Questa tradizione unica, che è l’antica sapienza elaborata dagli antichi profeti è, come illustra Cesare Vasoli, “precorritrice, preparatrice e chiarificatrice della Parola cristiana”201. Ritornare a Platone significava dunque recuperare la forma perfetta, in cui l’unione tra la conoscenza e lo spirito religioso si era manifestata appieno: si tratta di un tema ricorrente nel De christiana religione, dove rinnovare la sapienza antica significava rinnovare il cristianesimo.

201 Cfr. Vasoli, C., Umanesimo e filosofia nella cultura italiana del tardo Quattrocento: Marsilio

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