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Con la stampa nel 1484 della Platonis opera omnia, con la traduzione latina, con gli Argumenta e i Commentarii, Marsilio Ficino riapriva dunque all’Occidente la possibilità di leggere l’altro grande maestro dell’antichità. Il ritorno di Platone, tra i fatti salienti della nuova cultura, può davvero essere interpretato, come ha scritto Garin, “come una rivoluzione filosofica e religiosa che si fa preludio alla rivoluzione astronomica e scientifica in senso pieno”343. “Lo spirito di lui vivente nei suoi scritti migrò da Bisanzio a Firenze”, scrisse Ficino nella dedica a Cosimo dei primi dieci dialoghi: era una rinascita, ”Divinitus profecto videtur effectum, ut dum Plato, quasi renasceretur”344.

Tuttavia, come abbiamo visto, si faceva avanti un Platone finalmente completo, ma decisamente di parte e orientato in una prospettiva neoplatonica. Con l’accento posto sul Simposio e la filosofia dell’amore, sul Parmenide interpretato da Proclo, sull’Uno e sulla necessaria integrazione plotiniana di Platone, sulle radici ermetiche e caldaiche del platonismo, Ficino illustrò, commentò e soprattutto impose una precisa interpretazione di Platone, in Occidente. Il Platone ficiniano si trova appunto tra la sapienza dei Veteres theologi e le spiegazioni dei Platonici. Platone è da sempre per Ficino il filosofo che porta a compimento l’antica teologia dei prisci, ed è saldamente inserito in questa tradizione derivata da Zoroastro, dagli Oracoli, dai Pitagorici, dagli Egizi. Nello stesso tempo, Ficino insiste sull’importanza dell’interpretazione plotiniana di Platone: Plotino non è altro che Platone che sotto la maschera di Plotino dice quello che non aveva scritto nei suoi dialoghi345; Plotino “denudò la Teologia da questi velami: e per primo e solo, come testimoniano Porfirio e Proclo, penetrò per volere divino gli arcani degli antichi”346.

Ficino aveva collocato il suo Platone in tale prospettiva: Platone è il filosofo che porta a compimento ed esprime in forma piena l’antica teologia. Di essa gli epigoni e gli interpreti genuini furono i neoplatonici, fra i quali segnatamente Plotino “sagacissimo

343 Cfr. Garin, E., Marsilio Ficino e il ritorno di Platone, op. cit., p. 3.

344 v. Ad magnanimum Laurentinum Medicem patriae servatorem, Proemium in Plotinum, in

Marsilii Ficini Florentini in Plotini Epitomae, seu Argumenta, Commentaria et Annotationes, in Ficino, Opera, p. 1537.

345 Ibid.: “Platonem ipsum sub Plotini persona loquentem”.

346 Ibid.: “Plotinus tandem his Theologiam velaminibus enudavit: primusque et solus, ut

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interprete”347. La storia di tutto il platonismo egli la incarnò bene nella metafora di un Demone, il quale “Platonem quidem prius afflavit, deinde vero Plotinum”348. Quest’unico Demone non spirò soltanto in Platone e in Plotino, ma era stato presente in tutti i filosofi-teologi dell’antichità. Per tutti questi motivi parlare del ritorno di quel Platone è, come ha affermato Garin, “parlare di Ficino”, ossia

“di quella straordinaria biblioteca di pensatori che egli mise insieme, illustrò e commentò e impose in una precisa interpretazione della tradizione filosofica, del nesso filosofia-religione, del filosofo sacerdote e mago, in un grande progetto di riforma spirituale”349.

Se il primo Quattrocento aveva visto in Platone la ricerca libera, la critica socratica, la fondazione dei valori morali e politici, le leggi e la giustizia, lo Stato secondo ragione, il Platone che trionfò con Ficino fu un’altra cosa. All’origine dell’opera del Bruni e dei Decembrio c’era il primo insegnamento del Crisolora, e il “loro” Platone non era quello del Ficino. Il filo che sembra legare i discepoli di Crisolora è morale e politico. Sullo sfondo, infatti, si agitavano le tempeste politiche e i grandi eventi storici: la riunificazione della cristianità nel ’39, contro il pericolo musulmano e come difesa di una civiltà in crisi; poi, dopo il ’53 e la caduta di Costantinopoli, il dramma degli esuli greci. L’ellenismo e il ritorno all’antico sono quasi il segno di un riscatto nazionale, di rinascita e di rinnovamento, con uno spirito utopico tipico del Quattrocento350.

Inoltre, l’aristotelismo prevalente negli Studi trecenteschi, che tendeva a ridurre tutta la cultura umana entro i confini di minuti problemi logici o nell’esperienza fisica polverizzata in osservazioni particolari, si era scontrato con più di una voce contraria a quell’orientamento conoscitivo contenuto nella fisica e nella logica, in nome di quelle che diremmo le discipline dell’uomo, le scienze morali. La conoscenza dell’uomo e il senso della vita e, insomma, l’etica e la metafisica rappresentano nel primo Quattrocento il campo proprio della filosofia. L’ansia di una Stato razionale, il disegno di una “città guidata dal nocchiero esperto e non dalla ciurma ubriaca”351 sono i temi che prevalsero nella prima metà del secolo, temi e problemi tanto diversi da quelli che emergeranno dopo l’avvio delle grandi polemiche tra platonici e aristotelici, ma anche

347 v. Exhortatio Marsilii Ficini Florentini ad auditores in lectionem Plotini et similiter legentes,

in Ficino, Opera, p. 1548.

348 Ibid.

349 Cfr. Garin, E., Marsilio Ficino e il ritorno di Platone, op. cit, p. 5.

350 Garin, E., Platonici bizantini e platonici italiani del Quattrocento, op. cit., pp. 96-100. 351 Cfr. Garin, E., Marsilio Ficino e il ritorno di Platone, op. cit., p. 6.

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delle grandi speranze unitarie, che fecero seguito al Concilio di Firenze. Come ha affermato E. Garin,

“Il Platone che trionfò con Ficino fu altra cosa…Incarnò l’ideale della missione sacerdotale e riformatrice del filosofo, fu l’espressione esemplare di una tradizione filosofico-religiosa unitaria dalle origini remote. L’unità del tutto, l’armonia universale, la centralità dell’uomo, l’animazione e la vita del cosmo, l’amore e la bellezza, la musica dei mondi, la pace religiosa fra i popoli: tutti i grandi temi e le aspirazioni di una stagione eccezionale della civiltà si possono ritrovare nel platonismo ficiniano”352.

“Quel Platone - come ha affermato ancora Garin - è davvero il solenne maestro che nella Scuola d’Atene prende il posto di Aristotele per indicare, al di là del mondo naturale, un altro livello della realtà”353. Il Platone di Ficino appare prima di tutto come il Platone teologo, ma come abbiamo brevemente visto, il Platone ficiniano è ricco di temi. Scrive Ficino nel Proemio alla Platonis opera omnia, dedicato al Magnifico:

“Per questo è bene esortare all’Accademia Platonica insieme a te, Platonico Lorenzo, tutti quelli che desiderano imparare e vivere bene. Costoro, infatti, da giovani conseguono ammodo e con facilità sia i precetti morali giocando, che l’arte del dividere [dialettica] scherzando giocondamente. Poi, da uomini, imparano abbondantemente bene la disciplina sia degli affari privati che di quelli pubblici. E da anziani, porranno la speranza nella vita eterna piuttosto che in quella mortale. Nei giardini dell’Accademia i poeti ascolteranno Apollo che canta sotto il Lauro. Gli oratori ammireranno declamare Mercurio, nel vestibolo dell’Accademia. Nel portico invece e nelle aule, i giureconsulti e i governanti delle città ascolteranno Giove stesso sancire le leggi, dettare i diritti e amministrare il potere. In queste stesse riposte dimore infine i filosofi riconosceranno Saturno, il contemplatore degli arcani celesti, come simile a loro. Ma dovunque sacerdoti e ministri di culto troveranno armi con cui proteggere strenuamente la pietà contro gli empi. In questo luogo, dunque, in questo luogo, vi prego, venite tutti quelli che coltivate le arti liberali, - qui quelle - e parimenti quelli che volete ottenere la libertà della vita, in questo luogo accorrete infine tutti quelli che l’ardore perpetuo infiamma a raggiungere la verità e a conseguire la beatitudine, qui si conseguono secondo i propri desideri la verità e la felicità, con l’aiuto di Dio”354.

352 Ibid., pp. 12-13. 353 Ibid.

354 Marsilij Ficini Florentini in commentaria Platonis ad Laurentium Medicem virum

Magnanimum. Prooemium, op. cit.: “Quamobrem iuvat una tecum Platonice Laurenti omnes, tum

discendi, tum bene vivendi cupidos, ad Academiam Platonicam cohortari. Hic enim iuvenes, vel inter iocandum praecepta morum, vel inter ludendum industriam differendi iucunde admodum, et facile consequentur. Hic viri etiam rei tum familiaris, tum publicae disciplinam abunde perdiscent. Hic senes pro mortali vita, vitam sperabunt eternam. In Academiae hortis poetae sub lauris canentem Apollinem audient. In vestibulo Academiae oratores spectabunt Mercurium declamantem. In porticu vero, et aula

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Dopo la pubblicazione dell’opera platonica, Ficino si procurò in ogni modo di diffondere la dottrina platonica, soprattutto attraverso il mezzo epistolare. In particolare, appaiono interessanti una lettera a Jano Pannonio del 1484 e una a Martino Uranio del 1489, nelle quali Ficino esponeva la propria visione della trama unitaria del

pensiero, come in un “programma” di ricerca e di liberazione filosofica. Nella lattera a

Martino Uranio egli afferma che esiste una duplice via per raggiungere la felicità: la via

philosophica e la via sacerdotia, l’una apertior, l’altra brevior. Il solo Platone seppe

unirle entrambe, congiungendo in sé l’influsso socratico insieme a quello mosaico: “Indice Deo et Deo duce consequeris eandem. Praesertim quia Plato noster una cum rationibus Pythagoricis atque Socraticis legem sectatur Mosaycam auguraturque Christianam”355. Ma accanto ai nomi di Platone, Pitagora e Socrate, Ficino aggiungeva una lista di sapienti che si sono mossi sulle orme di questi, dall’antichità al medioevo, fino ai suoi giorni: Dionigi Areopagita, Agostino, Giamblico, Proclo, Boezio, Apuleio, Calcidio, Macrobio, Avicebron, Al-Farabi, Enrico di Gand, Avicenna, Giovanni Duns Scoto, il Bessarione e il Cusano356.

Questo elenco di sapienti, appartenenti alla linea di conciliazione tra la via sacerdotale e la via filosofica alla verità, risulta del tutto simile nella lettera a Jano Pannonio, lettera che verrà in parte ripresa da Ficino nel Proemio alla versione delle

Enneadi, dedicato a Lorenzo de’ Medici nel 1490. Ed è qui importante la definizione

ficiniana degli autori della prisca theologia e il corpus di testi che Ficino verrà indicando: gli hermetica, gli Inni orfici e gli Oracoli caldaici; poi Platone, Plotino e Porfirio; Giamblico e i neopitagorici; Dionigi Areopagita e Atenagora d’Atene; Proclo e Damascio; Michele Psello, fino a ricongiungersi ai bizantini e a Giorgio Gemisto Pletone. In questo modo, Ficino poteva considerare se stesso come un nuovo anello di questa tradizione filosofica cominciata con gli antichi saggi, culminata in Platone e continuata attraverso le scuole neoplatoniche della tarda antichità, Sant’Agostino, i Platonici medievali greci e latini, fino alla sua età. Ficino fu pienamente consapevole di fare parte di una tradizione e si rese conto che questa tradizione, benchè di origine iurisconsulti civitatumque gubernatores, Iovem ipsum auscultabunt, sancientem leges, iura dictantem, imperia gubernantem. In ipsis denique penetralibus, philosophi Saturnum suum agnoscent, coelestium arcanorum contemplatorem. Ubique vero sacerdotes rerumque sacrarum antistites arma reperient, quibus pietatem adversus impios strenue protegant. Huc igitur, huc precor, omnes accedite, qui liberales colitis disciplinas, hic eas, et libertatem vitae pariter adepturi, huc denique cuncti concurrite, quos assequendae veritatis, et consequendae beatitudinis perpetuus ardor inflammat, hic aspirante Deo, veritatem ad votum, et felicitatem consecutur”.

355 Marsilius Ficinus Florentinus Martino Uranio Praenyngero, in Ficino, Opera, p. 899. 356 Ibid.

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antica, aveva avuto una esistenza più o meno continua nel Medio Evo. Si vede bene come questa tradizione meriti il nome di philosophia perennis. Il concetto di una tradizione filosofica, soggetta a molti cambiamenti e variazioni, ma fondamentalmente uniforme e continua è un concetto fondamentale per comprendere la storia della filosofia ficiniana e rinascimentale357.

Vi è, scrive Ficino, una teologia molto antica che influisce su Platone: essa è nata con Zoroastro in Persia e con Ermete Trismegisto nell’antico Egitto, è cresciuta nell’antichissima Grecia con Orfeo e Aglaofemo, diventando più grande con Pitagora, e infine raggiungendo la perfetta maturità in Atene con Platone:

“Pertanto, grazie alla divina provvidenza che vuole mirabilmente attirare a sé tutti davanti all’ingegno dei singoli, accadde che nascesse una sola pia filosofia, dovunque concorde con sé stessa, sia presso i Persi sotto Zoroastro, che presso gli Egizi sotto Mercurio: che fosse in seguito allevata sotto Orfeo e Aglaofemo presso i Traci: che ancora crescesse poi sotto Pitagora, presso i Greci e gli Italici: infine invero che venisse consumata dal Divino Platone, ad Atene”358.

Ficino insiste nell’affermare che tale speculazione proveniente dalle antichissime origini non è “favola”, ma autentica sapienza, manifestatasi “mathematicis numeris et figuris”. Indi, Plotino affrontò il simbolismo numerico, così superbamente esposto da Pitagora e da Platone, e penetrò in tutti gli “arcana vetereum”:

“Era poi costume degli antichi Teologi nascondere i divini misteri con numeri e figure matematiche e con finzioni poetiche: affinché non fossero temerariamente resi comuni a chiunque. Plotino, pertanto, denudò la Teologia da questi velami: e per primo e solo, come testimoniano Porfirio e Proclo, penetrò per volere divino gli arcani degli antichi”359.

357 Su questi argomenti vedi: Kristeller, P.O., Il Rinascimento e la tradizione medievale, in ID.,

Concetti rinascimentali dell’uomo e altri saggi, op. cit., pp. 81-133.

358 Marsilii Ficini Florentini in Plotini Epitomae, seu Argumenta, Commentaria et Annotationes,

op. cit.: “Itaque non absque divina providentia volente videlicet omnes pro singulorum ingenio, ad se mirabiliter revocare, factum est, ut pia quaedam philosophia quodam et apud Persas sub Zoroastre, et apud Aegyptios sub Mercurio nasceretur, utrobique sibimet consona: nutriretur deinde apud Thraces sub Orpheo atque Aglaophemo: adolesceret quoque mox sub Pythagora apud Graecos et Italos: tandem vero a Divo Platone consumaretur Athenis”.

359 Ibid.: “Veterum autem Theologorum mos erat, divina mysteria cum mathematicis numeris et

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In questo modo l’unitaria tradizione speculativa acquistava una nuova consapevolezza di sé. Tuttavia, nello studio di essa, non si poteva fare riferimento alle sole tappe rappresentate dal pensiero di Platone e di Plotino: occorreva risalire alle origini antiche. Pertanto, è indispensabile, secondo Ficino, un lavoro di recupero storico dei frammenti della sapienza teologale originaria, dimostrando che essa non è frutto del caso, del “fato”, bensì opera della provvidenza. Marsilio Ficino ritenne dunque suo compito farsi traduttore di una larga parte delle opere contenenti i frammenti della tradizione antichissima: la sua opera non si conclude infatti con la pubblicazione di tutto Platone, ma continua con la necessità di tracciare una storia unitaria e organica della verità filosofico-teologica nei popoli antichi.

Ficino tracciò anche lo schema sul quale condurre una rassegna storica di più ampio respiro che utilizzasse il lavoro di traduzione e di ristabilimento dei testi. La preoccupazione di indicare un itinerario da ripercorrere con gli strumenti storici, è presente nella lettera a Braccio Martello e nella Theologia Platonica360. Qui Ficino sembra ricollegarsi con i contenuti delle operette giovanili, preoccupate di elencare le sette dei filosofi greci. Nella Theologia Platonica è anche trattata, quasi a completamento degli schemi di derivazione, la storia dell’Accademia di Platone, che aveva conosciuto sei fasi. In riferimento al passaggio dalla prisca theologia alla scuola di Platone, così scrive Ficino:

“Quoniam vero ii omnes sacra divinorum mysteria, ne prophanis communia fierent, poeticis umbraculis obtegebant, factume est ut successores eorum alii aliter theologiam interpretarentur. Hinc turba platonicorum interpretum in sex Academias se divisit, quarum tres Atticae fuerunt, reliquae peregrinae. Atticarum vetus sub Xenocrate floruit, media sub Arcesilao, sub Carneade nova, peregrinam Aegyptia sub Ammonio, Romana sub Plotino, sub proculo Lycia. Verum cum sex fuerunt scholae platonicorum tres illae Atticae simul atque Aegyptia, quaecumque de animarum circuitu quam verba sonarent accipiebant; duae vero sequentes ipsam verborum faciem curiosius observarunt”361.

Nella storia del pensiero antico dunque il momento di maggiore fedeltà alla teologia platonica risulta proprio quello in cui si sviluppa l’eredità di Platone fuori dalla Grecia, a Roma con Plotino e in Licia con Proclo. In tal modo vengono segnati da Ficino il senso e la direzione dello sviluppo del pensiero, che procede nella valorizzazione sempre più consapevole del messaggio dei prisci theologi e che non si Theologiam velaminibus enudavit: primusque et solus, ut Porphyrius Proculusque testantur, arcana veterum divinitus penetravit”.

360 Marsilius Ficinus Braccio Martello, in Ficino, Opera, pp. 866-867; Theologia platonica de

immortalitate animorum, Libro XVII, cap. 1.

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distacchi dalla sua matrice sapienziale362. Nasce così, con Ficino, o per meglio dire con Ficino si afferma nell'ambito dell'umanesimo latino e con caratteri propri rispetto agli antecedenti greci e bizantini, la nozione di prisca theologia e con quella, l'interpretazione unitaria, in chiave filosofica e teologica, delle antiche mitologie pagane363.

362 Su questi argomenti vedi Malusa, L., Introduzione, op. cit., pp. 16-18. 363 Cfr. Garin, E., Il ritorno dei filosofi antichi, op. cit., pp. 74-75.

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