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Alcune suggestioni gemistiane torneranno con una continuità straordinaria nella meditazione di Marsilio Ficino, tuttavia gli storici della filosofia del Rinascimento sono stati generalmente molto cauti a riconoscere manifestamente in Pletone una delle fonti più importanti di Ficino. Se per un verso appare chiaro che la genealogia intellettuale stabilita da Pletone sia una delle fonti principali per l’elaborazione della prisca

theologia di Ficino, tuttavia si è largamente insistito sull’incompatibilità di fondo tra i

sistemi filosofici di questi due filosofi, dal momento che Pletone nutriva interessi eminentemente politici e teorizzava un credo politeista, mentre Ficino invece si disinteressava di politica e perseguiva il tentativo di conciliare Platone con la teologia cristiana. Esiste pertanto un acceso dibattito che riguarda la reale portata dell’influenza di Gemisto Pletone su Marsilio Ficino.

Secondo il più autorevole studioso del pensiero filosofico di Marsilio Ficino, Paul Oscar Kristeller, tra la filosofia di Ficino e quella di Pletone non ci sarebbero grandi rapporti. Come dichiara infatti sin dalla prime pagine del suo famoso testo su Ficino, The Philosophy of Marsilio Ficino, l’influenza diretta di Pletone su Ficino sarebbe meno tangibile di quello che si potrebbe pensare: essa si limiterebbe esclusivamente all’elaborazione della prisca theologia, cioè all’idea che esista una tradizione di teologia antica che è iniziata con Zoroastro ed Ermete, ed è continuata con Orfeo, Pitagora, Platone e i Platonici (=i neoplatonici)153. Ma per Ficino questi teologi antichi sono poi i precursori del cristianesimo, mentre invece Pletone usa il platonismo per decristianizzare totalmente la filosofia e la teologia154.

Studi più recenti, come quelli di Eugenio Garin, di Cesare Vasoli, di Brigitte Tambrun e di Sebastiano Gentile, hanno invece ipotizzato una filiazione diretta tra il platonismo bizantino di Pletone e il platonismo di Marsilio Ficino.

Secondo gli studi di Gentile, parrebbe legittimo supporre che Ficino non avesse ereditato da Gemisto soltanto la teoria della prisca theologia, ma si fosse lasciato guidare dal filosofo bizantino anche nell’iter degli studi e delle traduzioni155. Anzi,

secondo l’interpretazione storiografica di Gentile, lo studio dei testi platonici e le prime traduzioni dal greco di Ficino sarebbero avvenute “secondo un ordine particolare, che sembra riflettere l’idea, ripresa proprio da Gemisto, della derivazione della filosofia

153 Cfr. Kristeller, P.O., The Philosophy of Marsilio Ficino, New York, 1943, p. 15 (trad. it., Il

pensiero filosofico di Marsilio Ficino, Sansoni, Firenze, 1953).

154 Ibid., p. 27.

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platonica dagli scritti antichissimi dei prisci theologi”156. Infatti, come abbiamo visto, il giovane Ficino fa precedere alla versione di Platone quella degli scritti dei teologi antichissimi, in particolare di Zoroastro e Orfeo, seguiti poi da Ermete Trismegisto. L’influsso di Gemisto su Ficino appare dunque più tangibile di quanto non si voglia generalmente credere.

Bisogna poi ricordare, come ha sottolineato per primo Eugenio Garin, che sembrano esistere “sottili scopi di propaganda politica” che collegherebbero in qualche modo l’opera di Ficino a quella di Pletone157. L’interpretazione di Garin si basa su un testo che è stato largamente discusso: il Proemio a Plotino, che Ficino dedicò a Lorenzo de’ Medici nel 1490158. In esso Ficino ripercorreva le tappe della propria “missione platonica”, facendola risalire a un episodio lontano nel tempo: Ficino tornava al 1439, al Concilio di Firenze, e all’incontro tra Cosimo de’ Medici e il filosofo bizantino Giorgio Gemisto Pletone.

In questo famoso testo, Ficino racconta come Cosimo de’ Medici, il padre della Patria, all’epoca del Concilio, avesse frequentemente ascoltato il filosofo bizantino Giorgio Gemisto, il quale, come un secondo Platone, discuteva dei “mysteria Platonica”. Cosimo era rimasto affascinato da quanto affermava Gemisto ed era stato come ispirato a concepire la restaurazione in Firenze di una nuova “Accademia”:

“In quel tempo in cui sotto il Pontefice Eugenio [IV] si teneva a Firenze il concilio tra i Greci e i Latini, Cosimo il grande, padre della patria per deliberazione del Senato, ascoltò frequentemente un Filosofo greco, di nome Gemisto e di soprannome Pletone, che, quasi come un secondo Platone, disputava dei misteri Platonici, e dalla fervente bocca di costui fu così intimamente toccato, così animato, che indi concepì con un pensiero elevato proprio l’Accademia, che avrebbe poi partorito nel tempo opportuno”159.

156 Ibid., p. XXV.

157 Garin è stato il primo a sottolineare come la rinascita del Platonismo a Firenze nascondesse in

realtà “sottili scopi di propaganda politica”. Vedi: Garin, E., Ritratto di Marsilio Ficino, «Belfagor», 6, 1951, pp. 289-301 (rist. nel volume Medioevo e Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 1976); ID., Rinascite

e rivoluzioni, op. cit.; ID., L’età nuova, Napoli, 1969; ID., Il ritorno dei filosofi antichi, op. cit; ID., La cultura filosofica a Firenze nell’età medicea, in Idee, istituzioni, scienze ed arti nella Firenze dei Medici,

a cura di C. Vasoli, Firenze, 1980; ID., Marsilio Ficino e il ritorno di Platone, in Marsilio Ficino e il

ritorno di Platone studi e documenti, op. cit. Ma vedi anche: Vasoli, C., Il mito dei “prisci theologi” come “ideologia” della “renovatio”, op. cit.; Gentile, S., Introduzione, op. cit.

158 Marsilij Ficini Florentini in Plotini Epitomae, seu Argumenta, Commentaria et Annotationes.

Ad magnanimum Laurentium Medicem patriae servatorem Prooemium, in Ficino, Opera, pp. 1537-1538.

159 Ibid.: “Magnus Cosmus Senatus consulto patriae pater, quo tempore concilium in Graecos

atque Latinos sub Eugenio Pontifice Florentiae tractabatur, Philosophum graecum nomine Gemistum, cognomine Plethonem, quasi Platonem alterum de mysterijs Platonicis disputantem frequenter audivit, ex

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Ficino spiega poi che proprio a tale scopo Cosimo avrebbe scelto un bambino, il giovane Marsilio, figlio del suo medico personale Diotifeci, perché si facesse esecutore di tale progetto. A tal fine Cosimo si sarebbe preso cura del giovane Ficino e della sua educazione, procurandogli i manoscritti greci di Platone e di Plotino, affinché tentasse di restaurare la filosofia platonica:

“Mentre quel gran Medici covava in qualche modo un tanto grande disegno, destinò me, ancora bambino, il figlio del suo sceltissimo medico Ficino, a una tanto grande opera: e a questa stessa si dedicò giorno dopo giorno. In seguito, fece in modo che io avessi non solo tutti i libri greci di Platone, ma anche quelli di Plotino”160.

Tuttavia, prosegue Ficino, Cosimo avrebbe voluto che la missione di tradurre in latino i testi della scuola platonica, non cominciasse dalla traduzione di Platone, ma da quella degli scritti attribuiti a Ermete Trismegisto:

“Dunque, dopo questi fatti, nell’anno 1463, quando io avevo trent’anni, mi incaricò di tradurre in un primo tempo Mercurio Trismegisto, infine Platone. In pochi mesi, mentre egli era ancora in vita, condussi a termine Mercurio. Quindi, cominciai anche Platone”161.

La veridicità dell’aneddoto raccontato da Ficino nel Proemio a Plotino non viene data unanimamente per scontata: in particolare desta perplessità l’incontro tra Cosimo e Gemisto al Concilio di Firenze, e il legame che ci sarebbe tra questo avvenimento e la nascita dell’Accademia Platonica di Firenze. A questo riguardo è stato osservato che all’epoca del Concilio, Ficino non aveva che sei anni, ma soprattutto è stata ancora una volta messa in rilievo l’incompatibilità di fondo che esiste tra la speculazione di Pletone e quella di Ficino.

Tuttavia l’inaspettato richiamo a Gemisto, un autore che Ficino aveva accuratamente evitato di citare nei suoi scritti, con una sola eccezione fino ad allora (nel Capitolo Primo del Libro XV della Theologia Platonica intitolato “Cinque questioni

cuius ore ferventi sic afflatus est protinus, sic animatus, ut inde Academiam quandam alta mente conceperit, hanc oportuno primum tempore pariturus”.

160 Ibid.: “Deinde dum conceptum tantum magnus ille Medices quodammodo parturiret, me

electissimi medici sui Ficini filium, adhuc puerum tanto operi destinavit: ad hoc ipsum dedicavit in dies. Operam praeterea dedit, ut omnes non solum Platonis, sed etiam Plotini libros graecos haberem”.

161 Ibid.: “Post haec autem anno millesimo quadringentesimo sexagesimo tertio, quo ego

trigesimum agebam aetatis annum, mihi Mercurium primo Termaximum, mox Platonem mandavit interpretandum. Mercurium paucis mensibus eo vivente peregi; Platonem tunc etiam sum aggressus”.

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sull’anima”), assume un significato emblematico, che sembra alludere alla possibilità di una diretta influenza di Pletone su Cosimo.

Come ha illustrato Eugenio Garin, di questo documento - illuminante per comprendere l'interesse di Cosimo nei confronti delle filosofie antiche - sono da sottolineare tutte le espressioni: anzi, proprio “l’evidente inverosimiglianza” del singolare Proemio a Plotino trasforma il racconto in un “manifesto”162.

E’ Ficino stesso che ricollega, con forza, la propria opera con la presenza dei dotti bizantini a Firenze, e soprattutto con l’influenza di Giorgio Gemisto Pletone. Ora, ciò che più sorprende nel Proemio a Plotino è proprio l’insistenza con cui Ficino intende collegare la propria “missione di sacerdote cristiano della pia philosophia” all’anticristiano Pletone, facendo risalire a lui e al suo insegnamento la tradizione dei

prisci theologi, “disegnando una storia molto netta, e inquadrando il proprio pensiero e

la propria attività in un programma culturale e religioso tanto preciso quanto singolare”163.

Eugenio Garin si è interrogato sulle ragioni profonde di questa domanda di filiazione da parte di Ficino verso Pletone. Si è interrogato a giusto titolo sulle ragioni che spinsero Ficino, a un’età avanzata e ormai prete da più di quindici anni, a rivendicare l’eredità spirituale del campione del politeismo, dal momento che lui stesso aveva cercato di conciliare Platone e il cristianesimo, o piuttosto di utilizzare il platonismo per rinforzare il cristianesimo.

Ritorniamo dunque brevemente ai tempi del Concilio di Ferrara e Firenze, all’epoca in cui l’imperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo decise di accettare l’invito del pontefice romano a recarsi in Italia per il Concilio dell’Unione tra la Chiesa latina e quella ortodossa. Il Concilio di Firenze e Ferrara, che intendeva riunificare le chiese cristiane dopo secoli di separazione e ricomporre i rapporti tra i credenti a quattro secoli dallo scisma d’Oriente, celava in realtà motivazioni politiche: da parte bizantina c’era il bisogno di aiuti economici e militari contro l’avanzata turca, da parte romana c’era l’occasione di sfoggiare il proprio potere. Emerge dunque l’immagine del Concilio come ultima difesa di una civiltà in crisi, come il tentativo di riunificare la cristianità contro il pericolo musulmano: il Concilio si tenne mentre l’ultimo pezzo dell’Impero romano d’Oriente crollava sotto l’avanzata turca.

Sono molte le tracce che indicano nel Concilio di Ferrara e Firenze l’evento storico cui far risalire l’inizio di quella che molti autori hanno definito una translatio culturale, che va dall’est, in decadenza sotto l’avanzata turca, verso le sempre più ricche

162 Ibid., p. 8.

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città dell’ovest. Una translatio in cui la caduta di Costantinopoli, nel 1453, costituisce l’evento successivo. L’uno e l’altro evento portarono nelle città italiane più avanzate, più ricche e più colte, e questa volta a Venezia, Firenze e Roma si aggiungevano Padova, Pavia, Mantova, Ferrara e Bologna, i dotti bizantini insieme al proprio sapere e al proprio patrimonio di codici, tanto da potersi dire che la stagione più importante per la diffusione della cultura greco-romana e di quella ellenistica è legata alle due migrazioni alle quali abbiamo accennato. A seguito di questi due eventi, la presenza dei dotti bizantini in Italia divenne massiccia, mentre città ricche, fervide di attività e centri di cultura, sembrarono raccogliere e rinnovare in un momento di crisi storica l’eredità del mondo classico164.

164 Sul Concilio vedi principalmente: Quae supersunt actorum Graecorum concilii Florentini,

ed. I. Gill, Roma, 1953; Gill, J., Il Concilio di Firenze, trad. it di A. Orsi Battaglini, Firenze, 1967; Décarreux, J., Les Grecs au Concile de l’Union. Ferrara-Florence 1438-1439, Paris, 1970; Laurent, V.,

Les “Mémoires” du Grand Ecclésiarque de l’Église de Constantinople Sylvestre Syropoulos sur le concile de Florence (1438-1439), «Concilium Florentinum. Documenta et scriptores», ser. B, IX, n. 1,

Roma, 1971; Firenze e il Concilio del 1439. Convegno di Studi: Firenze 29 nov.-2 dic. 1989, a cura di Paolo Viti, Firenze, Olschki, 1994.

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9. Pletone al Concilio di Ferrara e Firenze del 1438-39: la composizione del