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Giorgio Gemisto Pletone, personalità di spicco della filosofia bizantina del XV secolo, nato a Costantinopoli intorno al 1360 e morto a Mistra nel 1452, visse durante la crisi dell’Impero bizantino, che si sgretolava sotto l’avanzata turca, e mise il proprio pensiero e la propria conoscenza al servizio di un progetto politico che rinnovasse il decadente impero123. Il notissimo volume del Masai e quello più recente del Woodhouse hanno ben delineato i dati essenziali della sua biografia, e sembra importante collocare precisamente il pensiero di Pletone nel suo contesto bizantino, prima di domandarsi come e perché i Latini ne fecero una figura emblematica. Occorre notare, infatti, che questo pensiero audacemente indipendente dal cristianesimo si colloca in un momento particolare e unico della filosofia bizantina.

Pletone ebbe una formazione culturale doppia: i suoi primi studi sono costituiti da una paideia classica e si sa che egli frequentò il maestro Demetrius Kydones che era stato sia un filosofo che un uomo di Stato, un buon conoscitore di Platone, ma anche di Tommaso d’Aquino, un convertito al cristianesimo; sappiamo che in seguito Pletone soggiornò alla “Corte dei Barbari”, ad Adrianopoli, presso un giudeo di nome Elisha (Elissaios), che viveva alla corte dei Turchi e s’interessava soprattutto di filosofia ellenica, vale a dire “pagana”.

Al suo ritorno a Costantinopoli, Pletone iniziò a insegnare filosofia mentre cominciò per lui una lunga carriera come consigliere politico alla corte di Manuele II,

123 Su Pletone vedi principalmente: Masai, F., Pléthon et le Platonisme de Mistra, Paris, 1956;

Woodhouse, C.M., George Gemistos Plethon. The Last of the Hellenes, Oxford, 1986. Vedi inoltre: Kieszkowski, B., Studi sul Platonismo del Rinascimento, Roma, 1936, pp. 13-36; Anastos, M.V., Pletho’s

calendar and Liturgy, op. cit., pp. 183-305; Masai, F., Le problème des influences byzantines sur le platonisme italien de la Renaissance, «Bulletin de l’Association G. Budé. Lettres d’Humanité», 12, 1953,

pp. 82-90; ID. et Masai, R., L’Oeuvre de Georges Gémiste Pléthon, «Acadèmie Royale de Belgique. Bulletin de la Classe des Lettres et des Sciences Morales et Politique», V serie, 40, 1954, pp. 536-555; Garin, E., Studi sul Platonismo medievale, Firenze, 1958, pp. 153-188; Vasoli, C., Il mito dei “prisci

theologi” come “ideologia” della “renovatio”, op. cit., pp. 11-50; ID., Umanesimo e filosofia nella cultura italiana del tardo Quattrocento: Marsilio Ficino e Giovanni Pico. 1. La rinascita platonica e i maestri bizantini, in Storia della Filosofia diretta da Mario dal Prà, Vol. VII: La filosofia moderna dal Quattrocento al Seicento, Milano, Vallardi, 1975, pp. 95-105; Gentile, S., Introduzione. Le “Epistole” e l’opera del Ficino, in M. Ficino, Lettere, op. cit.; ID., Giorgio Gemisto Pletone e la sua influenza sull’umanesimo fiorentino, in Firenze e il Concilio del 1439. Convegno di Studi: Firenze 29 nov.-2 dic. 1989, a cura di Paolo Viti, Firenze, Olschki, 1994, pp. 813-832; Tambrun, B., Marsile Ficin et le “Commentaire” de Pléthon sur les “Oracles Chaldaique”, «Accademia. Revue de la Societè Marsile

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che lo inviò a Mistra nel Peloponneso, e indi del figlio di questi, il despota di Morea Teodoro II. A Mistra, Pletone svolse la propria carriere politica, amministrativa e giudiziaria, mentre a partire dal 1427, divenuto proprietario di un vasto dominio nel Peloponneso, ne divenne l’amministratore. Nel frattempo, il resto dell’impero bizantino viveva una crisi profonda e andava in pezzi davanti all’avanzata dei Turchi: poche le città rimaste fedeli all’imperatore, tra queste Costantinopoli, qualche roccaforte sul Mar Nero, tra cui Trebisonda, poche isole e, soprattutto, buona parte del Peloponneso, che i despoti di Morea, che erano i figli dell’Imperatore Manuele II Paleologo, tentavano di riconquistare pezzo dopo pezzo.

E’ allora che Pletone, in due Memorie124, elaborò le basi socio-economiche per una ristrutturazione dell’esercito che doveva assicurare un’efficace difesa del territorio. Secondo Pletone, l’esercito avrebbe dovuto divenire nazionale e dunque senza mercenari; la popolazione sarebbe stata divisa in due principali parti, una, dedita alla produzione, avrebbe pagato le tasse per il mantenimento dell’esercito nazionale, mentre gli amministratori, gli archontes, avrebbero pensato a dirigere lo Stato: un progetto di riforma che si opponeva evidentemente agli interessi degli arconti locali, i toparchia, grandi proprietari terrieri125.

A questo periodo risale anche la composizione di una voluminosa opera, nota come il Trattato delle leggi, che doveva contenere il progetto di riforma dello stato teorizzato da Pletone, ma che, secondo la ricostruzione storiografica di Masai, non era destinata alla pubblicazione e doveva circolare solamente all’interno di una cerchia ristretta di pochi amici scelti, una sorta di fratria di «neo-Elleni»126. Ne sarebbe prova il fatto che lo stesso accusatore di Gemisto, il nuovo patriarca di Costantinopoli, Giorgio Scholarios Gennadio, venne a completa conoscenza di questa opera solo dopo la morte del filosofo e grazie all’intermediazione della principessa Teodora, moglie del despota Demetrio127.

Allora (verso il 1460, dopo la morte di Pletone), Scholarios condannò al rogo l’opera e scagliò una pesante accusa di paganesimo nei confronti di Pletone. La parte dell’opera che contiene i dettagli della legislazione positiva fu data al rogo. Tuttavia, per

124 Memorie del Peloponneso, in Georgius Gemistos Plethon, Opuscula de historia graeca,

Leipzig, ed. Maltese, 1989.

125 Su queste riforme vedi Masai, F., Pléthon, op. cit., pp. 66-101. 126 Ibid., p. 300 e sgg.

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essere in grado di sostenere la propria accusa di politeismo contro Pletone, Scholarios conservò tutta la parte metafisica, che doveva assicurare la costituzione politica128.

Il Trattato delle leggi, in effetti, espone in dettaglio un pantheon estremamente strutturato e gerarchizzato: il mondo divino comprende una molteplicità di dei, una molteplicità organizzata, che dipende dall’unico dio. Sembra che Pletone si rifaccia alla teoria platonica delle Idee, soprattutto secondo l’interpretazione di Proclo, che tendeva a considerare le Idee stesse come divinità; nello stesso tempo, Pletone cerca di reintegrare nel mondo divino le gerarchie angeliche formulate dallo Pseudo-Dionigi l’Areopagita, ma più in generale, il Trattato delle leggi è sembrato una sorta di semplificazione della

Theologia platonica di Proclo129.

Per comprendere perché un cristiano bizantino del XV secolo preconizzasse l’abbandono puro e semplice del cristianesimo e il ritorno all’ellenismo, bisogna ricordare, con Brigitte Tambrun, che tradizionalmente a Bisanzio il mondo politico umano era considerato come l’immagine del mondo divino: l’imperatore era l’immagine di Dio sulla terra e i bizantini avevano la tendenza a quasi-divinizzare i loro amministratori. Dunque, Pletone ritiene che il monoteismo, e soprattutto il monoteismo trinitario, non offra un buon modello per il mondo politico: il basileo non può occuparsi personalmente di tutti gli affari, i progetti e le amministrazioni; al contrario, è necessaria una vasta amministrazione centralizzata, gerarchizzata e ben organizzata, che permetta di governare efficacemente l’impero130.

Il pantheon che Pletone aveva affidato al Trattato delle leggi doveva dunque servire come modello metafisico della società bizantina: un modello per regolare la ripartizione del potere tra l’amministrazione centrale, che veniva formata a Costantinopoli, e gli archontes locali, che avrebbero dovuto organizzare la produzione agricola, ma che al tempo di Pletone si rifiutavano totalmente di sottomettersi al potere centrale, al quale rivendicavano diritti in principio devoluti all’amministrazione centrale131.

Nei Consigli all’imperatore Emanuele e in quelli al despota di Morea Teodoro II132, Gemisto espose i principi cui tale stato avrebbe dovuto ispirarsi, principi che egli

128 Vedi Masai, F., Pléthon, op. cit., p. 393-404; Quanto resta del Trattato delle Leggi è

pubblicato in Pléthon, Traité des Lois, trad. par A. Pellissier, Paris, C. Alexandre, 1858 (rist. an., Paris, 1982).

129 Vedi il primo editore del Trattato delle leggi, C. Alexandre, Traité des lois, op. cit.

130 Cfr. Tambrun, B., Marsile Ficin et le “Commentaire” de Pléthon sur les “Oracles

Chaldaique”, op. cit.

131 Ibid.

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aveva formulato dopo un lungo e attento studio della storia, della filosofia e della geografia degli antichi. Le leggi, come per Platone, dovevano costituire l’anima dello stato, ma non meno importante era la forma di governo: si voleva un ritorno alla celebrata costituzione di Licurgo, che aveva fatto di Sparta la città più famosa della Grecia, unito al reggitore-filosofo di platonica memoria. La scelta doveva cadere dunque sulla monarchia, in particolare su di un principe virtuoso, ma coadiuvato da saggi consiglieri: insieme essi avrebbero dovuto elaborare il sistema legislativo e vegliare sulla sua applicazione. In particolar modo poi Gemisto ricordava che le buone leggi di per sé non sono sufficienti: la loro validità ed efficacia dipendeva dall’agire virtuoso di chi era preposto alla loro salvaguardia. A sua volta l’agire virtuoso doveva dunque trovare fondamento nel sentimento religioso.

E come dallo studio della storia greca Pletone aveva potuto individuare nel modello Spartano la costituzione migliore da seguire, così la lettura di Platone e dei discepoli di Zoroastro lo avevano convinto che la religione più pura e perfetta era quella che risaliva all’antichissima Persia. La teologia professata da Zoroastro, passata in Grecia tramite Pitagora, avrebbe fornito il nucleo essenziale della religione olimpica, che avrebbe trovato la sua prima e suprema espressione negli Inni Orfici. Questa era stata la religione della Grecia al tempo del suo massimo splendore e Gemisto si augurava il ritorno a quella religione “originale”, una forma di religione pura, ancora libera da tutte le superstizioni e gli apparati che affliggevano le religione rivelate: il Cristianesimo, sia bizantino che romano, e l’Islamismo.

Studio delle costituzioni e delle legislazioni antiche, meditazione sulla storia greca, questi i fondamenti della speculazione politica di Gemisto. Attraverso la ricerca delle fonti prime, originali e più valide delle istituzioni su cui fondare il vivere civile, Pletone tentava di dare basi solide al suo stato ideale: una repubblica di ispirazione platonica, fondata su un culto solare che riecheggiava elementi neoplatonici, gnostici e delle tradizioni mitraniche.

La riforma religiosa prospettata da Pletone, che si era fatto annunciatore della scomparsa delle religioni rivelate a favore di una rinascita del Platonismo, era dunque in realtà la parte più appariscente - quella che maggiormente aveva colpito i contemporanei e preoccupato le autorità ecclesiastiche – di un più ampio piano di riforme che investiva ogni aspetto della vita, dell’individuo e dello stato. Un piano di riforme, quello teorizzato da Pletone, che potrebbe sembrare utopistico, ma che, all’epoca in cui fu concepito, mirava concretamente alla creazione di uno stato greco indipendente.

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