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Come abbiamo visto, accanto alla Platonis opera del 1484, Ficino pubblicava, nel 1496, anche un proprio libro di Commenti a Platone. Spiega Ficino nel Proemio a quest’opera, dedicato a Niccolò Valori, le ragioni della “Disposizione dei Commenti”:

“Il Commento al Simposio certamente da tanto tempo non solo è stato pubblicato, ma anche divulgato qua e là. Ora invero, a noi sembra che siano cinque i commenti che da principio bisogna mettere in ordine senza interruzione: nella disposizione dei quali, se seguiamo l’ordine di tutte le cose, sarà primo il Commento al Parmenide, per così dire realmente primo, trattando evidententemente dell’unico principio di tutte le cose. Secondo, quello al Sofista, che disputa dell’essere e del non essere. Invece, deve andare dietro questi libri metafisici e divini il “fisico” Timeo. Pertanto, l’esposizione del Fedro tenga il quarto posto. Il Fedro infatti mescola cose divine con cose fisiche e umane. Abbia il quinto posto la narrazione sul Filebo”300.

Dalla disposizione dei commenti e dalle ragioni addotte da Ficino si evince in modo manifesto l’impianto neoplatonico che Ficino andava sostanzialmente ad accettare. L’interpretazione neoplatonica di Platone infatti si basava essenzialmente sull’analisi del Parmenide: se nel medio platonismo il dialogo di Platone più studiato era stato il Timeo, con il neoplatonismo l’attenzione si concentrò sul Parmenide, letto in una luce particolare. Il primo ad adottare una lettura “metafisico-gerarchica” del dialogo fu indubbiamente Plotino, che associò strettamente le sue tre ipostasi alle ipotesi del

Parmenide. Per Plotino, infatti, le caratteristiche delle tre ipostasi potevano essere

300 Prooemium Marsilij Ficini Florentini in commentaria in Platonem sua, ad Nicolaum

Valorem, prudentem optimumque civem, in Ficino, Opera, p. 1124: “Commentarium quidem in

Symposium, tamdiu non solum editum est, sed passim etiam divulgatum. Nunc vero quinque nobis perpetuo commentaria in primis disponenda videntur: in quorum dispositione, si sequimur ordinem universi, primum erit in Parmenidem, tanquam revera primum, de ipso videlicet uno rerum omnium principio tractans. Secundum in Sophistam de ente disputans, et non ente. Hos autem libros metaphysicos atque divinos Timaeus physicus sequi debet. Quartum vero locum teneat expositio Phoedri. Phoedrus enim divina cum Physicis humanisque permiscet. Quintum autem enarratio habeat in Philebum”.

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desunte dalla descrizione contenuta nel Parmenide, nel quale si alludeva a un progressivo incremento di molteplicità: uno, uno-molti, uno e molti301.

In Enneadi V,1,8 si legge che all’uno della prima ipotesi, che è l’Uno in senso proprio, corrisponde l’Uno-Bene; all’uno della seconda ipotesi, che è l’uno-molti, corrisponde l’Essere-Intelletto; all’uno della terza ipotesi, che è uno e molti, corrisponde l’Anima. Se poi Plotino abbia esteso questo tipo di interpretazione alle rimanenti ipotesi del dilogo, è difficile dirsi; è sicuro però, che ciò fu fatto dai suoi successori. Per Porfirio la gerarchia del reale era ripartita secondo le nove ipotesi del dialogo. Secondo Proclo, poi, esse sono cinque: le prime cinque, sotto il presupposto che l’Uno esiste, affermano l’esistenza di tuttti gli altri gradi di realtà, mentre le ultime quattro, sotto il presupposto che l’Uno non esiste, si limitano a negare l’esistenza di altre realtà. Dall’Argumentum ficiniano al Parmenide, vediamo come Ficino sembra accogliere l’interpretazione di Proclo:

“Lo stesso Parmenide il vecchio…ascende all’Uno che esiste sopra gli intellegibili e sopra le idee, e adduce, a questo riguardo, nove ipotesi: cinque delle quali contemplano l’eventualità che l’Uno esista, quattro l’eventualità che l’Uno non esista; per tutte, ricerca le rispettive conseguenze. E queste supposizioni conducono (ad ammettere) che l’Uno è triplice e non invece duplice. L’Uno, infatti, sottoposto a questa considerazione, si rivela non essere doppio, ma triplice: al di sopra dell’essere, nell’essere, dopo l’essere.

Senza dubbio, c’è chi pensa che l’Uno o non esista affatto, o che in parte sia e in parte non sia.

Dunque, la prima ipotesi tratta se l’Uno esiste al di sopra dell’essere: che cosa da ciò consegua per l’Uno considerato in sé e per le altre cose.

La seconda, se l’Uno è una cosa sola con l’essere: in che modo sia per sè stesso e per le altre.

La terza, se l’Uno è posto al di sotto dell’essere: che cosa ne derivi a sé e alle altre cose. La quarta, se l’Uno si colloca sopra l’essere: in che modo ciò determini le altre cose, sia verso di loro, sia verso l’uno.

La quinta, se l’Uno è posto nell’essere: che cosa ciò determini le altre cose, verso loro stesse e verso quello.

La sesta, se l’Uno non è, ed è tale che in parte diviene e in parte non diviene: che cosa ne consegua per sè e alle altre.

La settima, se l’Uno non è, tale che non diviene in alcun modo: che cosa ne derivi per sé e per le altre cose.

L’ottava, se l’Uno non è, tale che in parte diviene e in parte non diviene: che cosa ne consegua alle altre cose per se stesse e per l’Uno.

301 Su questi argomenti vedi soprattutto: Allen, M.J.B., Ficino’s theory of the five substances and

the Neoplatonists’ Parmenides, «The Journal of Medieval and Renaissance Studies», 12, n. 1, 1982, pp.

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La nona, se l’Uno non è, tale che non diviene in alcun modo; che cosa patiscano le altre cose per se stesse e, infine, per l’Uno.

Parmenide tratta di tutte queste secondo i generi, ma soprattutto dichiara che l’unico principio di tutte le cose esiste e, posto quello, ne conseguono tutte le altre cose; negato quello, tutte le cose sono negate.

Così, posto l’Uno, nelle prime cinque ipotesi tratta i cinque gradi delle cose nell’ordine del reale. Nelle successive quattro, invero, esamina quante cose assurde, quanti errori e quanti mali seguano se si nega che l’Uno esiste.

La prima delle cinque ipotesi superiori disserta dell’unico e supremo Dio, in che modo crea e dispone gli ordini delle divinità inferiori. La seconda, dei singoli ordini degli dei, in che modo provengono da Dio. La terza, delle anime divine. La quarta, di quelle che sono poste vicino alla materia, in che modo sono prodotte dalle cause supreme. La quinta, della prima materia, in che modo la sua natura è esclusa dalle Idee e dipende dal primo Uno”302.

Ficino conosceva senza dubbio il lungo commento di Proclo al Parmenide: questo testo, sebbene incompleto, era stato tradotto nel XIII secolo da Guglielmo di Moerbeke per Tommaso d’Aquino303. Diversamente dagli altri dialoghi platonici, il

Parmenide giungeva dunque a Ficino già “preinterpretato”.

302 In Parmenidem vel de uno rerum omnium principio, vel de Idaeis, argumentum, in Ficino,

Opera, pp. 1136-1137: “Hinc iam ad unum quod super intelligibilia et ideas existit, ascendit ipse,

novemque de illo suppositiones adducit, quinque si unum sit, quatuor, si non sit unum, quaerens quid utrinque sequatur. Hae vero suppositiones a triplici unius, et duplici ipsius non esse partitione ducuntur. Unum quippe triplex superesse, in esse, post esse repertum, ipsum vero non esse geminae considerationi subijcitur. Aut enim nullo modo esse, aut partim esse, partim non esse quis cogitat. Prima itaque suppositio tractat, si unum super esse existit, quid circa illud ad ipsum, et alia sequitur. Secunda, si unum cum esse est, quomodo se habet ad seipsum, atque ad alia. Tertia, si unum sub esse ponitur, quid illi ad seipsum, aliaque contingit. Quarta, si unum super esse consistit, quomodo se habent alia et ad se, et ad unum. Quinta, si est illud unum quod eum esse locatur, quid alijs ad se, et ad illud accidit. Sexta, si non est unum ita ut partim sit, partim minime sit, qua se ratione ad sese, et ad alia habeat. Septima, si non est unum ita ut nullo modo sit, quo pacto se habeat ad seipsum atque ad alia. Octava, si non est unum ita ut partim sit, partim non sit, quid alijs ad se, et ad illud eveniat. Nona, si non est unum, ita ut nullo modo sit, quid alia ad sese, et ad illud denique patiantur. In ijs omnibus generatim intendit Parmenides potissimum hoc asserere, quod unum omnium principium sit, eoque posito, ponantur omnia, sublato autem interimantur. Itaque in primis quinque suppositionibus quinque rerum gradus posito uno in rerum ordine tradit. In quatuor vero sequentibus inquirit quot absurda, quot errores, quantaque mala ipso uno sublato sequantur. Prima ex quinque superioribus de uno, supremoque Deo disserit, quomodo procreat, disponitque Deorum sequentium ordines. Secunda de singulis Deorum ordinibus, quo pacto ab ipso Deo proficiscuntur. Tertia de divinis animis. Quarta de ijs, quae circa materiam fiunt, quomodo supremis causis producuntur. Quinta de materia prima, quemadmodum suapte natura specierum est expers, et a primo uno dependet”.

303 Procli Commentarium in Platonis Parmenidem, in Procli Philosophi Platonici: Opera

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Per Ploclo la veritiera interpretazione del Parmenide si era fatta strada attraverso le riflessioni di Teodoro di Smirne, di Siriano e di Plutarco. Il Parmenide veniva presentato da Proclo come il più importante e il più misterioso dei dialoghi platonici: secondo Proclo infatti la conoscenza di Platone in merito alle ipostasi, i gradi della realtà, sebbene sfiorata in molti altri dialoghi, era sistematicamente esposta in un solo dialogo, il Parmenide. Secondo Proclo dalla lettura del Parmenide si potevano desumere sistematicamente i cinque generi di enti: una gerarchia che da Dio attraverso l’Intelletto, l’Anima e le forme unite alla materia, raggiungeva la materia stessa.

Questa gerarchia rispecchia esattamente quella assunta da Ficino nella Theologia

platonica: cinque sono i gradi, secondo Ficino, per i quali avviene la discesa e la salita;

il ritorno procede dal Corpo attraverso la Qualità, l’Anima Razionale, la Mente Angelica e Dio304.

Per questi motivi dunque, nei Commenti a Platone del 1496 il commento al

Parmenide è il primo: esso è “per così dire realmente primo, trattando evidententemente

dell’unico principio di tutte le cose”305. In altre parole, Ficino leggeva nel Parmenide una preminenza rispetto agli altri dialoghi, dal momento che esso trattava non solo dell’Uno, ma soprattutto dei gradi di discesa e di salita all’Uno.

L’importanza di questa lettura sull’intero sistema filosofico ficiniano è immensa: questa gerarchia espressa da Ficino nella Theologia platonica, per la quale cinque sono i gradi per i quali avviene la discesa e la salita - il ritorno procede dal Corpo attraverso la Qualità, l’Anima Razionale, la Mente Angelica e Dio306 - poneva al centro del Mondo l’anima razionale, della quale l’uomo è partecipe. Com’è noto, l’anima, in Ficino, diventa la copula mundi, la cerniera che tiene unita tutta la creazione, senza la quale il mondo sensibile e quello intelligibile non avrebbero più modo di comunicare.

Era la dichiarazione sistematica e metafisica dell’importanza e della centralità dell’uomo nel cosmo che era stata al centro delle discussioni umanistiche. In questo modo, l’importanza data all’uomo, che era stata una delle caratteristiche del primo Rinascimento, trovò un’espressione filosofica più sistematica. Tuttavia, come rileva Kristeller, Ficino sviluppò una struttura filosofica e metafisica completamente assente nei primi umanisti: assegnò cioè all’uomo una posizione all’interno di un ben sviluppato sistema metafisico dell’universo, definendo e giustificando la dignità umana nei termini

304 Theologia Platonica, Libro III, cap. 2; Ficino, Opera, pp. 82-425.

305 Prooemium Marsilij Ficini Florentini in commentaria in Platonem sua, ad Nicolaum

Valorem, prudentem optimumque civem, op. cit.

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della sua posizione metafisica307. La dignità dell’uomo viene così definita e giustificata nei termini della sua posizione metafisica all’interno di un ben sviluppato sistema308: “l’animo nostro è divino”309.

Ficino non dedicò un trattato particolare a questo argomento, ma discusse ampiamente il problema nella sua opera principale, la Theologia platonica. Qui , Ficino ricostruisce la gerarchia neoplatonica, e segnatamente procliana, in modo tale che l’Anima Razionale, che è propria dell’uomo, venga a occupare il posto centrale dell’universo metafisico, al di sotto di Dio e delle Menti Angeliche e al di sopra delle Qualità e dei Corpi. Nella Theologia platonica Ficino afferma che l’anima “è il massimo miracolo fra tutti i miracoli della natura, è insieme tutte le cose”: l’anima è insomma la copula mundi.

Tuttavia, sebbene i termini della cosmogonia ficiniana siano quelli neoplatonici, essi sono trasformati attraverso il principio dell’amore, che scompiglia la stessa cosmogonia neoplatonica: tra Dio e il mondo c’è una continua attrazione e un amore che non va in una sola direzione, dalle creature inferiori a Dio, ma anche da Dio verso le inferiori. Non è solo il mondo che tende verso Dio, ma è Dio stesso che ama il mondo. L’Anima diventa, nella speculazione di Ficino, il mediatore dell’amore tra il mondo intelligibile, Dio, e il mondo sensibile, la Natura, e la sua peculiarità sta nel fatto che guarda in alto verso i princìpi ideali, per trasmetterli in basso e forgiare con essi il mondo naturale. Tramite l’uomo, quasi come una “strozzatura”, le forme superiori si riversano sulle forme inferiori e le riordinano: è il concetto dell’ornamentum ficiniano; l’uomo è portatore di ornamentum nel mondo ed è suo compito irrorare la terra delle forme superiori.

E’ evidente dunque che, accolta l’interpretazione neoplatonica, e segnatamente procliana, Ficino avesse buoni motivi per considerare il Parmenide come un’opera essenzialmente teologica e fra tutte le più sublime:

“se (Platone) negli altri dialoghi ha superato di molto gli altri filosofi, in questo sembra che abbia superato se stesso e che abbia tratto quest’opera dall’intimo della mente di Dio e, per ispirazone divina, dal segreto sacrario celeste della filosofia. Chiunque si avvicini alla sacra lezione di questo dialogo, prima si prepari con la sobrietà dall’animo e la libertà della mente, poiché vedrà toccare i misteri dell’opera celeste. Infatti, con grande acutezza il divino Platone esamina come il principio unico di tutte le cose sia al

307 Kristeller P.O., Concetti rinascimentali dell’uomo e altri saggi, Firenze, La Nuova Italia,

1978.

308 Ibid., pp. 12-14.

309 Argumenta in Epistolas duodecim Platonis. Argumentum ad epistolam secundam, in Ficino,

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di sopra di tutte le cose e come insieme tutte le cose derivino da quello. In che modo l’Uno sia fuori e dentro tutte le cose, e come tutte le cose siano da quello, per quello e a quello. Gradualmente si eleva all’intelligenza dell’Uno, a ciò che è al di sopra della natura”310.

O ancora: “Sebbene Platone abbia sparso i semi di ogni sapienza per tutti i suoi dialoghi, nel libro sulla Repubblica ha raccolto tutto l’insegnamento della filosofia morale, nel Timeo tutta la scienza della natura, e nel Parmenide ha riunito l’intera teologia”311. E infine: “l’argomento di questo Parmenide è soprattutto teologico, la

forma invero principalmente logica”312.

310 In Parmenidem vel de uno rerum omnium principio, vel de Idaeis, argumentum, op. cit., p.

1137: “cumque in alijs longo intervallo caeteros philosophos antecesserit, in hoc tandem seipsum superasse videtur, et ex divinae mentis adytis intimoque Philosophiae sacrario coeleste hoc opus divinitus deprompsisse. Ad cuius sacram lectionem quisquis accedet, prius sobrietate animi mentisque libertate se praeparet, quam attrectare mysteria coelestis operis audeat. Hic enim divus Plato de seipso sublissime disputat, quemadmodum ipsum unum rerum omnium principium est, super omnia, omniaque ab illo. Quo pacto ipsum extra omnia sit, et in omnibus, omniaque ex illo, per illud, atque ad illud. Ad huius quod super essentiam est, unius intelligentiam gradatim ascendit”.

311 Ibid.: “Cum Plato per omnes eius dialogos totius sapientiae semina sparserit, in libris de

Republica cuncta moralis Philosophiae instituta collegit, omnem naturalium rerum scientiam in Timaeo,

universam in Parmenide complexus est theologiam”.

312 Marsilij Ficini in commentaria suum in Parmenidem. Materiam quidem Parmenidis

plurimum theologica, forma non Dialectica. Prooemium, in Ficino, Opera, p. 1124-1126: “Materia igitur

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