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La disciplina legislativa dell’emergenza alla luce del Codice della Protezione Civile Nell’ordinamento giuridico italiano, una parte rilevante del sistema di gestione del fenomeno

emergenziale ha carattere sub costituzionale e si sostanzia nel decreto legislativo n. 1 del 2 febbraio 2018, il c.d. Codice della Protezione Civile. Esso, pur presentando numerosi punti di novità, si pone in sostanziale continuità rispetto alla precedente disciplina, ossia alla legge n. 225 del 24 febbraio 1992, istitutiva del Servizio nazionale di Protezione Civile.

Il nuovo Codice di protezione civile, sulla scorta di quanto era già stato previsto dalla suddetta legge, delinea una struttura di governance delle emergenze improntata ai principi di previsione, prevenzione e pianificazione. L’intervento legislativo ha l’obiettivo, infatti, di potenziare l’azione di protezione civile, con particolare attenzione alle attività in situazioni di emergenza. A tal fine, riveste importanza fondamentale il Capo IV (artt. 23-30) rubricato “Gestione delle emergenze di rilievo nazionale”, che delinea una serie di fasi per la gestione delle emergenze nazionali.

Tra le svariate novità introdotte dal decreto legislativo n. 1 del 2018 vi rientra lo stato di mobilitazione. Esso, ai sensi dell’art. 23, può essere dichiarato in occasione o in vista di eventi di cui all’art. 7 del suddetto Codice e permette ai sistemi territoriali di mobilitare le proprie risorse e di chiedere il concorso delle risorse nazionali, anche prima della dichiarazione dello stato di emergenza. La dichiarazione dello stato di mobilitazione del Servizio nazionale della protezione civile viene deliberata dal Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Capo del Dipartimento e su richiesta del Presidente della Regione. A tal proposito, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri predispone la mobilitazione del Servizio nazionale a sostegno dei sistemi regionali interessati, attraverso il coinvolgimento delle colonne mobili delle altre Regioni e Province autonome e del volontariato organizzato di protezione civile, nonché delle strutture operative nazionali.

Qualora l’evento si tramuti in calamità, alla fase prodromica di mobilitazione può seguire la deliberazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale, ai sensi dell’art. 24 del Codice di protezione civile, che si articola su due livelli. Anzitutto, sulla base dei dati a disposizione e in raccordo con le Regioni e Province autonome interessate, il Dipartimento della protezione civile svolge una preventiva valutazione diretta alla verifica della sussistenza dei requisiti necessari a qualificare l’evento quale emergenza di rilievo nazionale, che richiede, ex art. 7, comma 1 lett c), di essere affrontata con interventi immediati, oltre che con mezzi e poteri straordinari. A seguito

proposta del Presidente del Consiglio, formulata anche su richiesta del Presidente della Regione ovvero della Provincia autonoma interessata. In secondo luogo, all’esito della valutazione dell’effettivo impatto dell’evento calamitoso, effettuata congiuntamente dal Dipartimento e dalle Regioni e Province autonome interessate, sulla base di una relazione del Capo del Dipartimento della protezione civile, il Consiglio dei Ministri individua, con propria deliberazione, le ulteriori risorse finanziarie necessarie per: il completamento degli interventi di soccorso e assistenza alla popolazione; il ripristino della funzionalità dei servizi pubblici, di gestione dei rifiuti e delle macerie e delle misure economiche di sostegno; nonché l’avvio degli interventi più urgenti per la tutela dell’incolumità. Laddove si verifichi, in seguito, l’insufficienza delle risorse destinate alle attività di completamento degli interventi di soccorso e assistenza alla popolazione, il Consiglio dei Ministri può adottare ulteriori delibere, sulla base di una relazione del Capo del Dipartimento della protezione civile, al fine di individuare le risorse finanziarie necessarie.

Ai sensi dell’art. 24 del Codice della protezione civile, il Presidente del Consiglio dei Ministri, con la delibera dello stato di emergenza, ne fissa la durata e ne determina l’estensione territoriale con riferimento alla natura e alla qualità degli eventi e, inoltre, autorizza l’emanazione delle ordinanze di protezione civile di cui all’art. 25.

Il decreto legislativo n. 1 del 2018 all’art. 25 prevede che, per il coordinamento dell’attuazione degli interventi resi necessari durante lo stato di emergenza di rilievo nazionale, “si provveda mediante le ordinanze di protezione civile, da adottarsi in deroga alla normativa vigente, nei limiti e con le modalità indicati nella deliberazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea”. Queste ordinanze rappresentano una particolare tipologia di ordinanze contingibili e urgenti, ossia atti amministrativi capaci di sospendere e derogare norme di livello primario. La loro natura giuridica è stata oggetto di dibattito dottrinale. La giurisprudenza costituzionale, dal canto suo, ne ha precisato la natura non normativa, ma amministrativa. Questi provvedimenti, tuttavia, a differenza degli altri atti amministrativi, hanno una natura amministrativa in senso tecnico, ma atipico, e costituiscono una evidente eccezione ai principi di tipicità e di nominatività, dal momento che il loro contenuto viene rimesso all’autorità che li emana.

Considerato che le ordinanze contingibili e urgenti si caratterizzano per la necessaria conformità alle norme costituzionali e ai principi dell’ordinamento, la Corte costituzionale ne ha sancito i requisiti necessari, al fine di armonizzare il potere d’ordinanza con il sistema costituzionale:

anzitutto, secondo la Consulta, le ordinanze devono basarsi su una specifica autorizzazione legislativa diretta a circoscrivere il potere d’ordinanza, che ne indichi il presupposto, le finalità dell’intervento, la materia e l’autorità legittimata; devono avere un’efficacia limitata nel tempo ed essere munite di un’adeguata motivazione; possono derogare norme di leggi vigenti, ma oltre a contenere una specifica motivazione, devono indicare le norme cui si intende derogare; infine, il potere d’ordinanza incontra un limite invalicabile nel rispetto delle norme costituzionali, dei principi generali dell’ordinamento e nel rispetto della riserva di legge.

Le ordinanze sono uno strumento tipico del governo della protezione civile e nel contempo eccezionale rispetto all’ordinamento giuridico costituzionale, poiché si tratta sempre di provvedimenti che derogano alle leggi e che rappresentano “un residuato dei poteri che un tempo

erano nella piena disponibilità della pubblica amministrazione”. Il nuovo Codice, in modo analogo alla disciplina previgente, contempla due tipologie di ordinanze di protezione civile. La prima, disciplinata dall’art. 25, per il coordinamento dell’attuazione degli interventi da effettuare durante lo stato di emergenza; la seconda, prevista dall’art. 26, per favorire il rientro nell’ordinario a seguito di emergenze di rilievo nazionale.

Per quanto concerne le ordinanze di cui all’art. 25, esse possono essere adottate solamente previa dichiarazione dello stato di emergenza nazionale e il presupposto è costituito dal verificarsi (o l’imminenza) di eventi identificabili come “emergenze di rilievo nazionale”. In tal caso, le ordinanze che ne conseguono possono essere adottate in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e con le modalità indicati nella deliberazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea. La definizione pare, dunque, piuttosto ampia e inclusiva, ma ragionevole rispetto a un dato certo:

l’imprevedibilità degli eventi che possono verificarsi e la rischiosità degli stessi rispetto alla compromissione di diritti costituzionali, come la vita, l’integrità, la salute. L’art. 25, al comma 1° dispone, altresì, che le ordinanze devono essere emanate acquisita l’intesa delle Regioni e Province autonome interessate e, ove rechino deroghe alle leggi vigenti, è necessaria l’indicazione delle principali norme cui si intende derogare, oltre ad una specifica motivazione.

Tutte le ordinanze devono essere poi trasmesse, per informazione, al Presidente del Consiglio dei Ministri e alle Regioni o Province autonome interessate. Rimane assente, come in passato, il controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti.

Quanto al contenuto di tali provvedimenti, alla gestione del soccorso e dell’assistenza alla popolazione e al ripristino dei servizi pubblici e delle infrastrutture, con il T.U. in materia di protezione civile, si aggiungono la gestione dei rifiuti e delle macerie e, altresì, le misure volte a garantire la continuità amministrativa nei territori interessati, anche attraverso interventi di natura temporanea. Una novità rilevante attiene all’obbligo di disporre gli interventi, anche strutturali, al fine di ridurre il rischio residuo nelle aree colpite dagli eventi calamitosi, in coerenza con gli strumenti di pianificazione territoriale esistenti, per la tutela pubblica e privata incolumità. Questa precisazione è significativa non solo per quanto riguarda il passaggio alla fase della ricostruzione, ma anche per l’interesse a tutelare l’integrità della vita umana e quella dei beni materiali.

È in questa fase di ricostruzione che rientra la seconda tipologia di ordinanze della protezione civile. Esse devono essere emanate almeno trenta giorni prima della scadenza dello stato di emergenza di rilievo nazionale e sono volte “a favorire e regolare il proseguimento dell’esercizio delle funzioni commissariali in via ordinaria nel coordinamento degli interventi, conseguenti all’evento, pianificati e non ancora ultimati".

In riferimento all’aspetto soggettivo, quanto previsto dal Codice risulta poco chiaro e sistematico. Se dall’art. 25, infatti, si ricava che è il Capo del Dipartimento della protezione civile il responsabile principale per l’adozione delle ordinanze, dall’art. 5 emerge, invece, che il Presidente del Consiglio detiene i poteri di ordinanza in materia di protezione civile, nonostante li possa esercitare per il tramite del Capo del Dipartimento. Anche i commissari delegati hanno il

che “avverso le ordinanze di protezione civile e i consequenziali provvedimenti commissariali, nonché avverso gli atti, i provvedimenti e le ordinanze, la tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo sia disciplinata dal Codice del processo amministrativo”.

A fronte di tale quadro complessivo, è importante sottolineare come nel nostro ordinamento giuridico, salvo la deliberazione dello stato di guerra ad opera delle Camere ex art. 78 della Costituzione, l’unico stato di emergenza legislativamente disciplinato risulta essere proprio quello deliberato dal Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi del Codice della Protezione Civile.