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La sussistenza del principio di territorialità

Dal principio della coesione discende il principio criterio della territorialità, nel senso che l’intento non è solo preservare l’esistente, ma è favorire uno sviluppo di tutti i territori in armonia con il resto del Paese. La coesione comporta criteri, norme, politiche che possano rimuovere le disuguaglianze di sviluppo, incrementare le opportunità di crescita e di inclusione sociale dei cittadini e promuovere la coesione economica fra i territori.

In fondo, c’è armonia in un Paese quando non c’è diseguaglianza, ma quando c’è coesione, nel senso di uguaglianza territoriale, uguaglianza delle opportunità, senza disparità fra i territori.

Il principio criterio della territorialità trova fondamento nella coesione, che trae fondamento e legittimazione dalla Costituzione (art. 119, co. 5 e art. 3, co. 2) e dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (art. 174), che richiedono “interventi speciali” per promuovere uno

“sviluppo armonico” (Trattato) e per “rimuovere gli squilibri economici e sociali”

(Costituzione).

È sicuro che il Trattato europeo, sui cui si fonda la concorrenza, esplicita anche la necessità di uguaglianza in quella nozione importante che è la “coesione territoriale”, assieme alla tradizionale nozione “coesione economica e sociale”, all’art. 174 TUFE.

È fuori dubbio che, dal punto di vista dei principi costituzionali e fondativi dell’U.E., tra il livello normativo nazionale ed europeo, c’è armonia nell’intento di implementare un sistema che possa ridurre le distanze tra le diverse aree.

Pertanto, non è illegittima la previsione della clausola a favore della territorialità.

A questo punto, il criterio della territorialità è ragionevole e non viola, in modo non proporzionato, i principi di libera concorrenza e di massima partecipazione, di matrice anche eurounitaria, perchè trova legittimazione anche il criterio ratione loci.

È evidente che le clausole, prevedibile nei bandi di gara, attuative del criterio di localizzazione territoriale, contenute nelle diverse disposizioni di legge e, di seguito, regolamentari che danno attuazione al principio, non possano incidere negativamente sulla par condicio della procedura, consentendo la partecipazione a qualsiasi concorrente che abbia i requisiti di ammissione ex lege.

In una procedura ad evidenza pubblica, secondo la prevalente giurisprudenza, il criterio della territorialità è illegittimo quando viene posto come requisito di partecipazione, violando così il principio di tassatività e tipicità delle cause di esclusione, il principio del favor partecipationis ed il principio della par condicio tra i concorrenti, e non quando venga posta come requisito di esecuzione del contratto.

Essendo inerente ai requisiti richiesti all’operatore, vige, trattandosi di un requisito speciale attinente alla capacità tecnico-professionale, il principio di tassatività e tipicità delle cause di esclusione.

Di conseguenza, la stazione appaltante, ex art. 83, d.lgs n. 50 del 2016, può prevedere altri ed ulteriori requisiti di natura speciale rispetto a quelli stabiliti dalla legge, non sussistendo un’effettiva lesione dei principi di par condicio e di massima partecipazione alle gare.

Il Consiglio di Stato, Sez. V, con la recente sentenza n. 605 del 2019, specifica l’illegittimità di una clausola di territorialità se essa impone ai fini della partecipazione, oneri assolutamente incomprensibili o manifestamente sproporzionati ai caratteri della gara o della procedura concorsuale, e che comportino sostanzialmente l’impossibilità di accedere alla gara.

Pertanto, la clausola della territorialità non si deve trasformare in un criterio immediatamente escludente.

Il ragionamento è che le linee guida dell’Anac consentono la valutazione di profili di carattere soggettivo, qualora permettano di apprezzare meglio il contenuto e l’affidabilità dell’offerta e di valorizzare caratteristiche ritenute particolarmente meritevoli, richiamando le disposizioni di cui all’art. 95, co. 6, lett. e) e g), d.lgs. n. 50 del 2016 ed indicando altresì che il peso del punteggio maggiore in ragione della specificità, in sede di valutazione, deve essere proporzionale all’oggetto.

L’art. 95, co. 6, d.lgs. n. 50 del 2016, prescrive che i criteri di valutazione del miglior rapporto qualità/prezzo devono essere oggettivi e connessi all’oggetto dell’appalto, al fine di assicurare il rispetto dei principi di trasparenza, non discriminazione e parità di trattamento.

In base al principio di separazione tra requisiti di partecipazione e criteri di aggiudicazione, declinazione del principio più ampio dell’apertura alla massima concorrenza, i criteri soggettivi possono costituire elementi di qualificazione dei concorrenti, ma non possono invece essere utilizzati per selezionare l’offerta, essendo allo scopo espressamente finalizzati i criteri di valutazione dell’offerta che devono essere oggettivi.

In linea generale, infatti, i requisiti soggettivi prescritti da una stazione appaltante per individuare i concorrenti ammessi alle gare mirano a stabilire una soglia minima di affidabilità del potenziale aggiudicatario. Una volta riconosciuta l’astratta idoneità dei concorrenti, questi sono posti in una situazione di assoluta parità ed il contratto deve essere affidato al soggetto che presenta l’offerta oggettivamente migliore, da valutare alla stregua di parametri oggettivi, attinenti al valore intrinseco dell’offerta presentata.

L’art. 95, co. 6, d.lgs. n. 50 del 2016, dispone in merito ai criteri di valutazione del miglior rapporto qualità/prezzo per cui devono essere oggettivi e connessi all’oggetto dell’appalto, mentre i criteri soggettivi possono costituire elementi di qualificazione dei concorrenti, ma non possono, invece, essere utilizzati per selezionare l’offerta perché non sono idonei ad evidenziarne le caratteristiche migliorative della qualità.

Il criterio della territorialità, pertanto, deve essere commisurato all’oggetto dell’appalto, anche se la lex specialis l’ha qualificato espressamente come un requisito di partecipazione, e non come d’esecuzione.

Pur rientrando tra i requisiti di partecipazione, risulta ictu oculi la violazione dei principi di favor partecipationis e par condicio qualora di fatto comporterebbe l’esclusione dell’impresa vittoriosa.

Diversamente, qualora il requisito fosse richiesto come requisito per la stipulazione del contratto ci troveremmo innanzi ad una richiesta legittimamente esigibile nei confronti dell’aggiudicatario definitivo, considerando che è in quel momento che si sarebbe realmente attualizzato l’interesse dell’amministrazione a che il contraente abbia a disposizione una struttura per assicurare la continuità del servizio.

L’Anac, fin dalla deliberazione n. 95, Adunanza del 7 novembre 2012, n. 2419/2012, precisa che la richiesta relativa alla territorialità va posta in essere solo quando esprima veramente ed in modo significativo elementi di eccellenza e, comunque, non può tradursi nell’ingiustificato privilegio accordato ad organizzazioni locali a discapito di altre che, pur non avendo sede legale nel territorio o non avendovi svolto servizi identici a quello oggetto di affidamento, possano aver effettuato servizi analoghi in realtà sociali vicine e simili, ovvero dichiarino l’impiego, nell’organizzazione e nell’espletamento del servizio, di operatori e dirigenti che possono vantare esperienze sul territorio.

Ancora, più di recente, il Tar Torino con la sentenza 16 luglio 2019 n. 811, afferma che la questione della legittimità della clausola della territorialità deve essere risolta, caso per caso, alla luce delle concrete caratteristiche della prestazione oggetto di gara.

In particolare, i requisiti di esecuzione della prestazione sono espressione dell’ampia discrezionalità di cui gode la stazione appaltante, rinveniente il proprio limite solamente nelle previsioni illogiche o sproporzionate in base all’art. 83, d.lgs. n. 50 del 2016.

La clausola di territorialità va considerata ragionevole, avuto riguardo alle specifiche caratteristiche del servizio da svolgere, pertanto non si tratta di una clausola inserita in violazione dei principi di libera concorrenza e di massima partecipazione, in quanto, comunque, deve consentire ai partecipanti di organizzarsi all’esito della vittoriosa partecipazione, senza obbligarli a sostenere anzitempo oneri.

In tal senso, interviene una norma rilevante, in materia di criteri di premialità per il rispetto di sostenibilità ambientale. Infatti, da ora in poi è possibile attribuire un maggiore punteggio alle offerte a minore impatto sull’ambiente e per beni e prodotti a chilometro zero o di filiera corta;

più peso attribuito al rispetto dei profili ambientali. È quanto prevede la legge di conversione in legge del decreto-legge fiscale 2019, che ha introdotto, fra l’altro, la norma che stabilisce anche la possibilità di inserire nei bandi di gara “il maggior punteggio relativo all’offerta concernente beni, lavori o servizi che presentano un minore impatto sulla salute e sull’ambiente, ivi inclusi i beni o i prodotti da filiera corta o a chilometro zero”.

La disposizione enfatizza il rapporto territoriale tra appalti e imprese, valorizzando l’elemento territoriale delle aziende, di fatto privilegiando gli appalti a chilometro zero.

La modifica all’art. 95, d.lgs. n. 50 del 2016, pone l’accento sugli stessi elementi citati per l’art.

83 anche nella fase di valutazione delle offerte presentate dai concorrenti stabilendo la possibilità di prevedere nel bando di gara criteri premiali, oltre che “in relazione al maggior rating di legalità e di impresa” anche con riferimento gli elementi già oggetto della modifica all’articolo 83, “anche qualora l’offerente sia un soggetto diverso dalle società benefit”.

Tale principio si traduce nella possibilità, da parte delle stazioni appaltanti, di premiare, in sede di valutazione delle offerte presentate per una gara d’appalto, le imprese che abbiano sede nelle vicinanze del cantiere. Vengono, in estrema sintesi, privilegiate tutte quelle aziende di prossimità rispetto al luogo di esecuzione dell’appalto.

La misura, nello specifico, è disposta dall’art. 95, co. 13, d.lgs. n. 50 del 2016, così come modificato dal d.l. n. 124 del 2019, convertito nella legge n. 157 del 2019, il quale prevede che le amministrazioni aggiudicatrici possano indicare nel bando di gara alcuni “criteri premiali” che intendono applicare alla valutazione dell’offerta, in relazione, ad esempio, a beni, lavori, servizi che presentano un minore impatto sulla sicurezza e salute dei lavoratori e sull’ambiente, ivi inclusi “beni o prodotti da filiera corta o a chilometro zero”.

L’effetto è quello di un’evidente apertura del d.lgs. n. 50 del 2016 all’utilizzo del criterio del

“Km 0”, potendo sostenere che il parametro della prossimità territoriale, criterio di declinazione della sostenibilità ambientale stimoli un reale e sereno confronto concorrenziale tra operatori economici.

Il principio criterio della territorialità diviene componente essenziale del sistema del public procurement, senza compromettere i principi di tutela della par condicio e della concorrenza.