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Il valore delle linee guida dell’Anac

Con il d.l. n. 32 del 2019, convertito nella legge n. 55 del 2019, il c.d. “sblocca cantieri”, anticipando l’ennesima riforma del Codice degli appalti, si programma il superamento del sistema del c.d. “soft law”, cioè delle linee guida dell’Anac, in particolare di quelle vincolanti, che integrano la disciplina del Codice, fino all’entrata in vigore del regolamento unico degli appalti, che sarà di esecuzione, attuazione e integrazione del Codice.

Per quanto riguarda il regime transitorio, nelle more dell’adozione del regolamento, rimangono in vigore le linee guida e i decreti adottati in attuazione del Codice. Si tratta di un regime transitorio che perdura fino all’effettiva entrata in vigore del regolamento, anche qualora il termine dei centottanta giorni non venga rispettato dal Governo (circostanza in cui ci troviamo).

In ogni caso, il d.l. n. 32 del 2019 prevede un ulteriore disposizione sul regime transitorio prima dell’approvazione del regolamento unico: nelle more dell’entrata in vigore del regolamento, le linee guida e i decreti attuativi restano in vigore «in quanto compatibili [..] e non oggetto delle [..] procedure di infrazione nn. 2017/2090 e 2018/2273» avviate dalla Commissione Europea.

Fin dall’entrata in vigore della recente normativa, la stessa Anac, lamenta che tale previsione normativa cristallizza i contenuti delle linee guida e non le consente di apportare modifiche o integrazioni alle stesse, rendendole di fatto inapplicabili perché, in parte, non più coerenti con la fonte primaria di riferimento.

Il rischio è quello di una situazione di ulteriore incertezza, e in particolare il problema si pone in materia di appalti sottosoglia, oggetto di una revisione molto incisiva da parte del d.l. n. 32 del 2019.

Il periodo di incertezza è già molto lungo e non sembra destinato a definire in breve tempo, ancora in cui le linee guida dell’Anac rimangano, nei fatti e per la maggior parte di esse, inefficaci in quanto inapplicabili, in attesa del regolamento unico.

Anche se, essendo che alcune linee guida dell’Anac sono state, in parte, aggiornate nelle more dell’adozione del regolamento, come le linee guida n. 4/2016, in materia di affidamenti sotto soglia, non è da escludere del tutto la loro validità.

Le linee guida contribuiscono ad assicurare la trasparenza, l’omogeneità e la speditezza delle procedure e fornire criteri unitari, hanno valore di atto di indirizzo generale e consentono un aggiornamento costante e coerente con i mutamenti del sistema.

Se il quadro giuridico di riferimento, quello costituzionale e istitutivo europeo, è solido nel sostenere le norma a favore della territorialità, ora, si intende provare ad indagare sull’efficacia delle linee guida Anac, nello specifico e rispetto a questa fase transitoria, a partire dal potere che l’Anac esercita nei confronti delle stazioni appaltanti, o più in generale dal rapporto intercorrente tra la stessa Autorità di regolazione e le amministrazioni destinatarie di tali atti.

Quasi d’istinto si potrebbe osservare che il potere riconosciuto all’Anac di adottare linee guida rivolte alle amministrazioni pubbliche rinvii a un rapporto di organizzazione che comporta un certo grado di supremazia di un organo o di un soggetto rispetto ad un altro, ma che non trova una collocazione soddisfacente nello schema concettuale della gerarchia.

In prima battuta, sembra che si trattarsi di atti d’espressione di un potere assimilabile a quello di direzione, esercitato dall’Anac al fine di favorire la trasparenza nel settore dei contratti pubblici, la cui efficacia deve essere di valore minore rispetto a quella generalmente riconducibile alla categoria degli ordini. E ciò non solo per una certa contiguità semantica tra l’espressione “linee guida” e “atti d’indirizzo”, ma anche alla luce dei poteri di controllo e di vigilanza esercitati dall’Anac nei confronti delle stazioni appaltanti e degli esecutori di lavori pubblici, che danno generalmente luogo ad un legame organizzativo che per definizione si innerva tramite lo strumento della direttiva.

Pertanto, in generale, partendo dalla logica della direzione, l’adozione delle linee guida avrebbe l’effetto di delimitare, lasciandolo tuttavia integro, il potere discrezionale esercitato dalle amministrazioni cui sono rivolte; di modo che, tutte le volte che queste ultime vogliano discostarsi dal contenuto delle linee guida, lo possono fare ma devono motivare puntualmente le ragioni della diversa scelta amministrativa.

In tal senso, però, ciò serve a spiegare solo le linee guida non vincolanti, rispetto alle quali la giurisprudenza amministrativa ha precisato che ferma l’imprescindibile valutazione del caso concreto, l’amministrazione potrà non osservare le linee guida, se le peculiarità della fattispecie concreta giustificano una deviazione dall’indirizzo fornito dall’Anac, ovvero se sempre la vicenda puntuale evidenzi l’illegittimità delle linee guida nella fase attuativa.

Diversamente, la natura vincolante di certe linee guida non lascia poteri valutativi nella fase di attuazione alle amministrazioni o agli enti aggiudicatori, che sono obbligati a darvi concreta attuazione.

Infatti, nonostante la giurisprudenza amministrativa abbia tentato di attenuare il rigore di una tale affermazione, puntualizzando che la vincolatività dei provvedimenti non esaurisce sempre la discrezionalità esecutiva delle amministrazioni, quel che conta rilevare è che il carattere vincolante delle linee guida comporta che in mancanza di un intervento caducatorio, da parte della stessa Autorità, in via di autotutela, o in sede giurisdizionale, le stesse devono essere osservate, a pena di illegittimità degli atti consequenziali.

Di seguito, ciò comporta di ipotizzare che le linee guida vincolanti siano espressione di un potere diverso da quello di direzione da cui si sono prese le mosse. Perciò, in tale caso, è lecito attendersi due diversi procedimenti di adozione, l’uno applicabile alle linee guida vincolanti e l’altro alle linee guida non vincolanti, o quantomeno un procedimento almeno parzialmente differente.

Difatti, se si parte dall’assunto che l’atto non è l’espressione precostituita di un soggetto privilegiato quanto, semmai, il prodotto della funzione, cioè del potere che si svolge all’interno di un procedimento, si capisce come ogni caratteristica dell’atto debba potersi spiegare alla luce del relativo procedimento di adozione.

Tuttavia, nel caso delle linee guida dell’Anac ciò non accade. Infatti, come si legge nell’art. 213, co. 2, d.lgs. n. 50 del 2016, l’Anac, per l’emanazione delle linee guida, si dota, nei modi previsti dal proprio ordinamento, di forme e metodi di consultazione, di analisi e di verifica dell’impatto della regolazione, di consolidamento delle linee guida in testi unici integrati, organici e omogenei per materia, di adeguata pubblicità, anche sulla Gazzetta Ufficiale, in modo che siano rispettati la qualità della regolazione e il divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalla legge n. 11 del 2016 e dal Codice degli appalti.

Dunque, l’approvazione di tutte le linee guida dell’Anac avviene all’esito di un unico, e singolare, tipo di procedimento, caratterizzato dalla partecipazione attiva dei soggetti cui le stesse sono rivolte.

Per quanto tale procedimento possa incrementare le probabilità di successo in termini di accettazione e condivisione delle scelte di merito adottate, il fatto che sia il medesimo tanto nel caso delle linee guida vincolanti quanto nel caso di quelle non vincolanti non manca, invero, di suscitare qualche perplessità, attesa la diversità di effetti dalle stesse prodotti.

Dall’efficacia dell’atto alla natura del rapporto, comporta, in realtà, che l’indagine sulla qualificazione formale delle linee guida dell’Anac possa non risolvere, totalmente, il problema dell’efficacia da riconoscere alle stesse, ma diversamente la qualificazione sostanziale, legata comunque ad una procedura volta alla massima partecipazione, e caratterizzata dal compito di dare esecuzione al principio della trasparenza, ex art. 97 Cost., risolve in senso positivo la questione.

Infatti, si rammenta che non vi è stata unanimità di vedute neppure su un elemento rispetto al quale sembrava poter regnare “l’accordo più perfetto”, vale a dire sull’efficacia vincolante dei regolamenti. E ciò alla luce del rilievo per il quale il regolamento sarebbe per sua caratteristica, estremamente variabile e condizionato nella sua efficacia ad una sorta di rinnovato patto di accettazione reciproca tra il soggetto che lo forma e coloro che vi si adeguano.

In questa prospettiva, il regolamento conterrebbe direttive, e perciò sarebbe in esso implicita la possibilità di adattamenti e di deroghe in relazione alla conoscenza e all’esperienza effettiva che esso dovrebbe comunque comprendere nell’ambito dei suoi significati normativi.

Il riferimento agli atti di indirizzo e, in particolare, all’efficacia da riconoscere alle direttive rinvia, a ben vedere, ad una questione ancor più controversa. Il destinatario della direttiva avrebbe soltanto l’obbligo “di tenerla presente e di non discostarsene senza motivo plausibile”;

in modo così da consentire il mantenimento di un certo equilibrio tra il potere di direzione assegnato all’autorità emanante la direttiva e l’autonomia del soggetto al quale la stessa si rivolge.

Non sono però mancate considerazioni di segno opposto, per cui la direttiva avrebbe carattere tendenzialmente vincolante, né posizioni intermedie alla luce delle quali la stessa lascerebbe una certa discrezionalità nella esecuzione, ma essa non potrebbe essere tanto ampia da ridurre la direttiva ad una raccomandazione non vincolante, né viceversa tanto limitata da contrarla in un ordine.

L’efficacia delle direttive è tanto più difficile da individuare se si consideri la significativa varietà di contenuti che le stesse possono recare. Anche se, in genere, le direttive contengono l’indicazione pura e semplice di fini da perseguire e, a volte, l’indicazione parziale dei mezzi per il loro perseguimento, abbondando altresì gli atti di indirizzo corredati da prescrizioni puntuali, istruzioni o, addirittura, norme regolamentari.

Dunque, si comprende come da tempo si segnali l’impossibilità di costruire una figura unica di direttiva e di direzione indipendentemente dalla diversità dei rapporti su cui si fonda. Sicché, più che fermarsi ad una valutazione delle direttive in se stesse, appare quindi necessario risalire al loro potere, che va a sua volta considerato nel quadro complessivo delle relazioni intercorrenti

tra gli organi o soggetti, che lo esercitano e nei cui confronti è esercitato, delle loro reciproche posizioni e interessi.

Il che, più che individuare un’opzione interpretativa riferibile alle sole direttive, rinvia al più generale criterio di inquadramento giuridico di ogni fonte produttiva di regole. Se si muove dall’assunto che per fonte debba intendersi non tanto l’atto quanto il potere che nell’atto si viene a concretare, risulta infatti chiaro come per tentare di comprendere natura ed efficacia dell’atto occorra interrogarsi sul potere originante l’atto.

In conclusione, traslare il contenuto giuridico delle linee guida dell’Anac, che pur rimangono ora efficaci, in un regolamento di un Ente territoriale, soprattutto nelle more del regolamento unico, con approvazione del proprio organo rappresentativo e di indirizzo politico, rinforza quella natura vincolante che non lascia poteri valutativi nella fase di attuazione alle amministrazioni o agli enti aggiudicatori, obbligadoli a darvi concreta attuazione.

Ciò non toglie l’auspicio che la territorialità, nel senso del sistema degli appalti a “Km 0”, trovi riscontro in apposite, ulteriori, e specifiche norme nel futuro regolamento unico, secondo quanto qui proposto.