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I decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri

3. I discostamenti dalla disciplina legislativa nell’emergenza sanitaria da Covid-19

3.2. I decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri

Il T.U. in materia di protezione civile prevede, quale strumento per la regolazione delle situazioni di emergenza, le ordinanze del Capo del Dipartimento della protezione civile. A tali provvedimenti si è fatto richiamo nella dichiarazione dello stato di emergenza del 31 gennaio 2020, come strumento diretto ad attuare gli interventi di cui all’art. 25, comma 2°, lett. a) e b) del decreto legislativo n. 1 del 2018. Tuttavia, a seguito di una formale dichiarazione dello stato di emergenza e di una prima ordinanza di protezione civile, per la concreta gestione dell’emergenza sanitaria, il Governo italiano si è avvalso di strumenti tipici dell’emergenza, in particolare del

decreto-legge e delle ordinanze di necessità e urgenza, con un inedito utilizzo dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il D.P.C.M. non viene di norma annoverato tra le fonti del diritto: in realtà si tratta di un atto amministrativo, che non ha forza di legge e che viene varato, di norma, per dare attuazione a disposizioni legislative. In quanto atto amministrativo, esso va soggetto al solo controllo (eventuale) da parte del giudice amministrativo. Ciononostante, nella sostanza, si ritiene appropriato definirlo un atto amministrativo atipico, che al fine di far fronte a una situazione emergenziale può sostituirsi alle fonti normative primarie, nonostante sia libero dai vincoli che l’ordinamento giuridico prescrive per quest’ultime.

La scelta di ricorrere a tale strumento per fronteggiare l’emergenza è stata oggetto di critica in dottrina, in quanto si nutrono seri dubbi sulla possibilità di limitare diritti costituzionalmente garantiti, mediante un atto amministrativo estraneo alla disciplina prevista. I diversi decreti presidenziali spingono la dottrina a chiedersi “se gli stessi possano ritenersi conformi al dettato costituzionale, dal momento che disciplinano materie rispetto alle quali è prescritta la riserva di legge sia essa assoluta o relativa”. La dottrina ritiene che, nella gestione dell’emergenza Coronavirus, sarebbe stato più opportuno inserire tali limitazioni direttamente mediante il decreto-legge, in considerazione del fatto che nasce appositamente per far fronte a casi straordinari di necessità e urgenza, ai sensi dell’art. 77 della Costituzione.

L’ambito normativo nel quale possono muoversi i D.P.C.M., per governare e gestire l’emergenza sanitaria, dovrebbe essere circoscritto dall’art. 77 della Costituzione che, in presenza di casi straordinari di necessità e urgenza, costituisce “il fondamento giuridico di atti normativi di rango secondario ed a mero contenuto esecutivo”, dal momento che l’ampia formulazione di tale articolo consente di ricondurre nel suo ambito fatti quali l’emergenza sanitaria in corso. Questa interpretazione delle fonti avrebbe evitato l’impiego di atti extra ordinem o in ogni caso li avrebbe ricondotti nel quadro di atti a mero contenuto esecutivo o attuativo, in osservanza del principio di legalità sostanziale e della riserva di legge. Si sarebbe evitata così la “valorizzazione del ruolo assunto dai D.P.C.M quali atti assimilabili alle ordinanze di necessità e urgenza, che di fatto hanno svuotato la natura e l’essenza del decreto-legge”.

L’utilizzo dei D.P.C.M., quali effettive misure della gestione dell’emergenza sanitaria, “ha finito per fuoriuscire tanto dal circuito democratico di un controllo politico quanto, nondimeno, da quel solenne luogo in cui viene costituzionalmente giudicata la legittimità delle leggi e degli atti aventi forza di legge, corrispondente al sindacato della Corte costituzionale”, ai sensi dell’art.

134 della Costituzione. Risulta semplice scorgere un vulnus al principio di legalità costituzionale dell’azione politica, poiché il Governo in casi straordinari di necessità e urgenza adotta, sotto la propria responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge e “non provvedimenti di delega, che conferiscono a soggetti terzi, oltretutto ad un organo monocratico come il Presidente del Consiglio, poteri d’emanazione di atti funzionalmente surroganti la ratio ed il ruolo degli stessi Decreti Legge”.

Per di più, l’utilizzo dei D.P.C.M. nella gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 segnerebbe un’ulteriore anomalia nel sistema delle fonti dato il discostamento rispetto al modello

previsto dal decreto legislativo n. 1 del 2018. L’art. 5, comma 1° del decreto legislativo n. 1 del 2018 dispone, infatti, che “Il Presidente del Consiglio dei Ministri […] detiene i poteri di ordinanza in materia di protezione civile, che può esercitare, salvo che sia diversamente stabilito con la deliberazione di cui all’articolo 24, per il tramite del Capo del Dipartimento della protezione civile […]”. Si tratta di una affermazione significativa nella prospettiva costituzionale, perché risulta chiaro che la responsabilità per la protezione civile è di tipo politico e che la valutazione delle politiche di protezione civile risulta una delle attribuzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

La delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 ha disposto al punto 2 che “per l’attuazione degli interventi di cui all’articolo 25, comma 2, lettere a) e b) del decreto legislativo 2 febbraio 2018, n. 1, da effettuare nella vigenza dello stato di emergenza, si provvede con ordinanze emanate dal Capo del Dipartimento della protezione civile”. Si può notare così che se il Presidente del Consiglio avesse voluto emanare delle ordinanze avrebbe potuto farlo mediante lo strumento delle ordinanze del Capo Dipartimento della protezione civile e non nella forma di D.P.C.M. Dunque, il Codice della Protezione Civile, per quanto recente, alla prova dell’emergenza Coronavirus è stato di fatto accantonato, poiché la gestione dell’emergenza si è basata sull’utilizzo di diversi decreti-legge e molti D.P.C.M.

Dal momento che risulterebbe incauto considerare l’equipollenza tra D.P.C.M. e ordinanze di protezione civile, occorrerebbe domandarsi quale sia la precisa natura di questi strumenti inediti utilizzati nel caso di specie per la gestione dell’emergenza. Nel diritto positivo vigente, la legge che contempla i D.P.C.M. e ne costituisce il fondamento giuridico è il summenzionato decreto legislativo n. 1 del 2018, che li figura come direttive, quindi né atti di diretta ed immediata attuazione, né ordinanze contingibili ed urgenti. Pertanto, i D.P.C.M. ricevono una prima legittimazione nel Codice della Protezione civile, il quale attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri la facoltà di adottare direttive con cui dare gli indirizzi per lo svolgimento delle attività di protezione civile, al fine di assicurare l’unitarietà nel rispetto delle peculiarità dei territori, ai sensi dell’art. 5, comma 2°. Secondo detta normativa, tali provvedimenti si configurerebbero quali atti amministrativi generali di indirizzo, non incidenti su posizioni giuridiche soggettive attive. Tuttavia, alla luce di ciò, si tratta di atti ben lontani dai D.P.C.M.

previsti dal decreto-legge n. 6 del 2020, che incidono, innovando l’ordinamento giuridico, direttamente sulle libertà fondamentali. Nel caso di specie, i D.P.C.M., previsti dal suddetto decreto, per quanto previsti dal Codice della Protezione civile, trovano in realtà il proprio fondamento giuridico nello stesso decreto-legge, che dovrebbe costituire il “fondamento-attribuzione” del potere, a differenza della legge sulla protezione civile che ne costituisce il

“fondamento-riconoscimento”.

Un ulteriore elemento, che spinge a supporre come sarebbe stato da prediligere e adottare lo strumento del decreto-legge, attiene alla caratteristica della temporaneità dei D.P.C.M., in altre parole al fatto che gli stessi siano “a termine”. A tal riguardo sono due le ragioni: anzitutto, il lungo periodo di vigenza dei sessanta giorni, previsto per i decreti-legge, sarebbe stato più ampio rispetto ai vari termini contenuti nei diversi decreti presidenziali; inoltre, nel caso in cui vi fosse stata la necessità di reiterare il decreto-legge, essa sarebbe stata supportata da diversi presupposti

aventi natura straordinaria, poiché “la caratteristica peculiare dei decreti-legge è l’essere una fonte definibile come extra ordinem, in quanto con la decretazione d’urgenza la circostanza straordinaria di necessità ed urgenza costituisce essa medesima una vera e propria fonte del diritto”.

La situazione che si è concretamente realizzata durante l’emergenza Coronavirus è stata una notevole concentrazione di potere in capo al Presidente del Consiglio, secondo una riqualificazione inedita della sua responsabilità e delle prerogative di cui all’art. 95, comma 1°

della Costituzione. Esso si trova autorizzato ad apportare limiti consistenti alle libertà fondamentali dei cittadini su tutto il territorio nazionale, prescindendo dalla collegialità governativa e dal controllo del Capo dello Stato. È possibile notare, infatti, come inizialmente non vi sia stato intervento da parte di nessun altro organo costituzionale quale Presidente della Repubblica, Consiglio dei Ministri, Corte costituzionale, Parlamento. Pertanto, al fine di risolvere i problemi legati all’utilizzo dei D.P.C.M è stata proposta una modifica al decreto-legge n. 19 del 2020 mediante la legge di conversione 22 maggio 2020, n. 35. L’emendamento propone una nuova modalità di rapporto tra Governo e Parlamento in merito all’emanazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri. La legge di conversione inserisce all’art. 2, comma 1°

la previsione secondo cui il Presidente del Consiglio dei Ministri o un Ministro da lui delegato riferisce alle Camere il contenuto dei provvedimenti da adottare, al fine di tenere conto degli eventuali indirizzi dalle stesse formulati, tranne per i casi di estrema urgenza in cui la verifica parlamentare sarà successiva.