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Il futuro delle scorie tra interesse nazionale ed effetto nimby: la democrazia nucleare prima di tutto

Le scorie nucleari italiane meritano di ritornare (in futuro) in un luogo sicuro nel territorio italiano.

In Italia i centri che producono e/o detengono rifiuti radioattivi sono centinaia: installazioni nucleari (4 centrali e 4 impianti del ciclo del combustibile), centri di ricerca nucleare, centri di gestione di rifiuti industriali, ospedali, centri del Servizio Integrato, ecc..

Per volume e livello di radioattività dei rifiuti prodotti, i principali centri nucleari italiani sono le otto installazioni nucleari in fase di smantellamento.

Il Deposito Nazionale permetterà la sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi prodotti nel nostro Paese con un significativo incremento della sicurezza e ottimizzazione della gestione, risolvendo un problema che altrimenti ricadrebbe sulle generazioni future. In particolare si vuole porre freno al riprocessamento all’estero ed soprattutto, in Francia, che sino ad oggi, ha ospitato il nostro materiale radioattivo.

Proprio il 28 settembre 2015 si è concluso l’ultimo trasporto verso la Francia del combustibile irraggiato ancora presente nella centrale nucleare ‘Enrico Fermi’ di Trino (Vercelli).

Dall’impianto sono partiti, all’interno di contenitori speciali (cask), gli ultimi 23 elementi di combustibile che saranno riprocessati nell’impianto francese di La Hague23.

Nonostante la consapevolezza e la necessità di realizzare il deposito nazionale, in Italia la decisione di realizzare il sito unico delle scorie ha provocato già in passato molte proteste da parte dei territori locali interessati dagli impianti. Molto spesso le popolazioni, sebbene siano consapevoli dell’utilità delle infrastrutture nucleari, sono favorevoli alla realizzazione dell’opera purché non venga costruita nelle loro vicinanze, generando e alimentando il cd. “effetto Nimby”.

Come si ricorderà, il “caso italiano” ha avuto inizio quando nel 2003 il Governo italiano dell’epoca decise di poter risolvere la questione delle scorie radioattive, sparse in vari punti del territorio nazionale, attraverso la realizzazione del sito unico nazionale, con la decisione di

22 Si veda Reazioni alla notizia dell’eventuale scelta della Basilicata quale sede per lo stoccaggio di rifiuti nucleari, reperibile su https://www.ufficiostampabasilicata.it/attualita/reazioni-alla-notizia-delleventuale-scelta-della-basilicata-quale-sede-per-lo-stoccaggio-di-rifiuti-nucleari/.

23 Cfr. Décret n. 2007–742 du 7 mai 2007 portant publication de l’accord entre le Gouvernement de la République française et le Gouvernement de la République italienne portant sur le traitement de 235 tonnes de combustibles nucléaires usés italiens, signé à Lucques le 24 novembre 2006.

realizzare il sito nel piccolo Comune di Scanzano Ionico nella provincia di Matera, in Basilicata (cfr. il Decreto Legislativo denominato “Decreto Scanzano Ionico”). Contemporaneamente a questa vicenda, parlamentare e governativa, tre regioni italiane, Calabria, Basilicata e Sardegna, dichiararono il loro territorio denuclearizzato: si trattava di una normativa regionale volta ad impedire il deposito ed il transito delle scorie radioattive nel loro territorio. Siffatto Decreto appariva illegittimo di fronte ad una dichiarazione di territorio denuclearizzato orientata ad una tutela maggiore e più ampia. Fu proprio con la sentenza n. 62/2005 che la Corte Costituzionale metteva un punto fermo sulla questione, decidendo che la normativa regionale, anche se in melius, doveva ritenersi recessiva nel caso fosse riconosciuta priorità al “preminente interesse nazionale”; in pratica, la salute degli abitanti di tutta la Nazione veniva decisamente prima del diritto alla salute degli abitanti di singole Regioni e di autonomi territori. Tuttavia, la complessità normativa del caso Scanzano Ionico e le proteste delle popolazioni locali continuarono e si amplificarono a tal punto da riuscire a fermare ed arginare la realizzazione del sito unico, rinviando purtroppo solo di qualche decennio il problema.

È in questo quadro che deve essere letta la pubblicazione della CNAPI, ovvero dei nuovi siti idonei ad ospitare il deposito nazionale che, come si è detto, giunge dopo 5 anni da quel termine ultimo fissato dall’Unione Europea.

Il via libera alla pubblicazione della Carta nazionale da inizio alla tanto attesa “fase di consultazione” dei documenti “segretati” sino ad oggi: una fase informata alla trasparenza che avrà una durata di due mesi, all'esito della quale si terrà, nell'arco dei quattro mesi successivi il c.d. seminario nazionale.

Per far fronte agli obblighi di trasparenza è stato pubblicato l’Avviso per la Consultazione pubblica per l’avvio della procedura per la localizzazione, costruzione ed esercizio del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e Parco Tecnologico, ex D.lgs. n. 31/2010. Nei sessanta giorni successivi alla pubblicazione (ex art. 27, comma 3 del D.lgs. n. 31/2010), le Regioni, gli Enti locali, nonché i soggetti portatori di interessi qualificati, potranno formulare osservazioni e proposte tecniche in forma scritta e non anonima secondo le modalità indicate sul sito depositonazionale.it.

Tutte le descritte attività sono svolte in conformità alle norme del Decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31 e s.m. e. i.. La relativa consultazione pubblica sarà svolta anche nel rispetto dei principi e delle previsioni di cui alla Legge 7 agosto 1990, n. 241 sul procedimento amministrativo, nonché della Direttiva n. 2/2017 della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione recante le Linee guida per la consultazione pubblica in Italia. Nel contempo la So.G.I.N. S.p.A. sarà tenuta a dare contestualmente avviso della pubblicazione dei suddetti documenti almeno su cinque quotidiani a diffusione nazionale.

Sarà questo "l'avvio del dibattito pubblico vero e proprio - ha spiegato il ministero dell'Ambiente - che vedrà la partecipazione di enti locali, associazioni di categoria, sindacati, università ed enti di ricerca, durante il quale saranno approfonditi tutti gli aspetti, inclusi i possibili benefici

In base alle osservazioni e alla discussione nel Seminario Nazionale, So.G.I.N. S.p.A aggiornerà la CNAPI, che verrà nuovamente sottoposta ai pareri del Ministero dello Sviluppo Economico, dell’Ente di controllo Isi, del Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. In base a questi pareri, il Ministero dello Sviluppo Economico convaliderà la versione definitiva della Carta, ovvero la c.d. CNAI, la Carta Nazionale delle Aree Idonee. La CNAI sarà il risultato dell’aggiornamento della Carta sulla base dei contributi emersi durante la consultazione pubblica: si auspica che si possa realizzare una procedura fortemente partecipata e trasparente, condotta coinvolgendo gli amministratori e i cittadini tutti, e al termine della quale potranno pervenire le candidature dei comuni24.

In questa cornice istituzionale, la priorità per il diritto dell’energia nucleare è ancora oggi quella di sviluppare la “cultura della sicurezza”, assicurando in primis la difesa e la protezione dalla radioprotezione e la salvaguardia dell’ambiente nei territori coinvolti dagli impianti.

Non vi può essere sicurezza nucleare senza trasparenza politica ed amministrativa, come non vi può essere accettazione sociale delle centrali e degli impianti senza informazione e partecipazione ambientale; sono l’informazione e la partecipazione che sconfiggono la paura, l’ignoranza e il relativismo che accompagna le scelte nucleari.

Dal punto di vista diacronico, l’esperienza francese nel settore del diritto nucleare risulta essere più che pioniera e può segnalarci alcuni suggerimenti utili a superare le criticità del nostro paese;

essa dimostra ed insegna che il Diritto dell’Energia Nucleare costituisca un modello per la governance ambientale e per la sicurezza nazionale. L’esperienza francese dimostra che la produzione di energia nucleare e la localizzazione degli impianti nucleari non possono assolutamente prescindere dai valori della democrazia, della sicurezza nazionale e della tutela dell’ambiente25.

Un Paese può vantare un elevato livello di democrazia nucleare se disporrà di un “programma nazionale” dettagliato e organico, oltre ad un assetto istituzionale che contempli anche un complesso di norme giuridiche in grado di garantire il dovere di informazione nucleare e il diritto di partecipazione alle scelte nucleari.

24 Attualmente le fasi della localizzazione del deposito sono 4:

- La redazione dei Criteri di localizzazione e CNAPI - L’Avvio Consultazione pubblica

- Il Seminario Nazionale - L’Approvazione CNAI

Oggi si è nella seconda fase, quella di inizio della consultazione pubblica, che dovrebbe aprire le porte alla democrazia nucleare in Italia: un processo di maturità delle coscienze e della cultura ambientale in grado di superare il negazionismo a priori, in grado di valutare con metodo scientifico le scelte ritenute più sostenibili per la gestione dei nostri rifiuti nucleari.

25 J.M. Pontier, E. Roux, Droit Nucléaire. Les déchets nucléaires, Presses universitaires d’Aix–Marseille, 2014. Sul punto si veda da ultimo V. Pepe, Energia nucleare, ambiente e democrazia: Italia e Francia a confronto, in federalismi.it – gennaio 2019, reperibile su https://www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm.

Prima di pensare alla Regione, al Comune o al singolo territorio (più idoneo secondo la scala di priorità) che dovrà ospitare il deposito nazionale, si dovrà assicurare la concreta partecipazione dei cittadini al dibattito pubblico sull’esempio francese.

E’ questa la prima sfida da vincere per il nostro paese se si vuole garantire la “democrazia nucleare” e ricercare un adeguato bilanciamento tra il preminente interesse nazionale alla realizzazione del deposito delle scorie e l’effetto Nimby di cui i territori locali si fanno ancora convinti sostenitori.

Democrazia partecipativa, sicurezza nucleare e tutela dell’ambiente sono i tre presupposti necessari che devono coesistere affinché si possa superare l’impasse nucleare legato al deposito nazionale che è iniziato nel 2003 con Scanzano, ha attraversato circa un ventennio tra ritardi e inadempimenti e che, all’orizzonte, si presenta come un percorso ancora irto di ostacoli non facili da superare.

Costruire la città, costruire l’immaginazione degli spazi urbani: il caso della Città di Trieste

Enrico Conte

Direttore Dipartimento Lavori Pubblici e Project financing, Comune di Trieste

Abstract [It]: La finalità del contributo che viene proposto nasce dalla constatazione che, a fronte della gravità delle conseguenze socio economiche derivanti dalla pandemia da Covid-19, i consueti strumenti utilizzati da chi, nei diversi comparti, si occupa delle Città non sono più sufficienti. Da oltre un decennio lo strumentario a disposizione delle Città (dopo la grave crisi economica del 2008) si era dimostrato inadeguato, tanto più perché intrecciato con una crisi di credibilità della classe dirigente del Paese. Ma non è solo questione di strumenti o di modelli: è questione di paradigmi culturali dei quali c’è necessità.

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Costruire l’immaginazione degli spazi urbani. – 3. L’importanza dell’arte pubblica. – 4. La prospettiva del Countryside. – 5. La città nell’era della riproduzione turistica. – 6. La Ferriera di Servola. – 7. Conclusioni e proposte.

1. Premessa

Tutto non sarà più come prima, si affrettavano a dire anche autorevoli commentatori, durante la prima fase della pandemia, spinti dalla constatazione che la crisi globale che ne sarebbe derivata avrebbe avuto natura epocale, si azzardavano a sostenere che niente sarebbe stato come ante Covid-19, come se il Paese potesse automaticamente attrezzarsi con nuove metodologie e nuovi modelli per fronteggiare la crisi post emergenza sanitaria, vissuta come un’apocalisse.

Uno sguardo meno frettoloso, congiunto con la constatazione che l’Itala richiede interventi strutturali, ha prodotto l’improvviso silenzio di chi riteneva che, con l’uso di una bacchetta magica, si sarebbe risolto ogni problema: quando servono, piuttosto, una prospettiva e una visione che aiutino a costruire quei paradigmi dei quali c’è necessità per un cambio d’ epoca.

Parafrasando le parole di un antropologo, Vito Teti, si potrebbe dire che “bisognerebbe assumere una concezione processuale, aperta, dinamica e relazionale, con un progetto a tutto campo che metta in gioco”.

Quando questo non accade, e l’approccio è solo ed esclusivamente normativo (generale e astratto), non accompagnato da un percorso in grado di innestare fenomeni di cambiamento e di innovazione sociale, le previsioni legislative (le migliori intenzioni) restano sulla carta, magari anche se di rango costituzionale.

Si pensi, quale fenomeno paradigmatico, al principio di sussidiarietà orizzontale contemplato ormai da venti anni dall’art. 118, comma 4 della Costituzione (Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale) applicato da pochi iniziati, come

accaduto per gli strumenti del project financing e dei PPP, anche perchè non adeguatamente conosciuti dalla PA intesa come sistema.

Gregorio Arena, nel suo ultimo appassionato libro “I custodi della bellezza” e Annalisa Marinelli, ne “ la città della cura” , provano a rilanciarlo partendo dalla constatazione che in questi anni sono comunque tanti gli esperimenti riconosciuti di cittadinanza attiva sul territorio, e lo fanno fornendo un quadro concettuale che non si esaurisce nell’individuazione degli strumenti, un regolamento comunale per l’amministrazione condivisa dei beni comuni e un fac-simile di patto di collaborazione, ma offrendo una visione che dovrebbe essere assunta da ogni decisore politico-amministrativo come base da cui partire e utilizzare per misurarsi con un altro modo di fare amministrazione, non autoreferenziato, innanzi tutto.

La Città, in questa prospettiva, diventa un “bene comune”, non solo per i suoi pezzi di territorio e i suoi beni materiali che richiedono una cura manutentiva nell’ interesse generale, ma come bene immateriale indistinto e da ripensare unitariamente, valorizzare, tutelare e proteggere, sulla falsa riga dei patrimoni riconosciuti dall’Unesco.

Provare ad uscire dal panorama asfittico, di esclusivo presente, composto dai timori e dalle paure dovute al virus invisibile nel quale si è precipitati, misurarsi con logiche di processo, partendo dalla consapevolezza di un necessario cambio di paradigmi culturali.

Lo scritto si colloca pertanto su un terreno di riflessioni multidisciplinari, mescolando una pratica dal basso (euristica) con l’utilizzo di concetti apparentemente astratti, ma che possano trovare ricadute nell’esperienza, su di un terreno dove si realizzano pratiche di incrocio tra materie diverse, l’urbanistica, i lavori pubblici, l’architettura, il paesaggio, l’estetica, il pensiero filosofico e sociologico, l’ambiente urbano e rurale, gli spazi destinati all’educazione.

Anche la recente legge n. 120 dell’11 settembre 2020 non sembra cogliere la vera posta in gioco e la necessità che, più che semplificare con nuove norme, è necessario dotare le PA di una visione aggiornata alla complessità dei problemi da risolvere.

Quelli messi in atto da Governi di ogni forma e colore, sostiene Sandro Amorosino “sono tutti meccanismi di deresponsabilizzazione che confermano la convinzione che la battaglia per la semplificazione continuerà ad essere persa sinchè ci si affiderà a cascate di norme semplificatrici senza deamministrativizzare molte attività e al contempo intervenire sulle strutture e sulla cultura delle amministrazioni”.

Lo scritto vorrebbe promuovere e stimolare riflessioni sulle trasformazioni in atto delle Città post pandemia, ma lo fa partendo da una esperienza, la rinascita, tutt’ora in corso, della Città di Trieste che viene proposta come espressione di una realtà di natura paradigmatica, perché attraversata, contemporaneamente, da due processi, la riconversione del Porto Vecchio(630 mila metri quadi di Magazzini liberty) e quella di un vecchia acciaieria, la Ferriera di Servola, spenta definitivamente dopo 120 anni di attività, simbolo di un’era industriale che si chiude, lasciando in dotazione un’ area da bonificare e da destinare allo sviluppo portuale (piattaforma logistica).

Un contesto territoriale, per quanto esposto, che sembra particolarmente adatto ad operazioni di rigenerazione urbana, nell’accezione che viene data in un recente DDL/Senato, il n. 1943: un complesso sistematico di trasformazioni urbanistiche, edilizie, ambientali e socio economiche, volte a favorire l’ integrazione sociale, culturale e funzionale degli edifici e degli spazi.

Si aggiunge a queste considerazioni una riflessione sul terreno della psicologia sociale: le trasformazioni, se hanno la pretesa di configurarsi come progetti di sviluppo, devono sì essere dettate dall’esigenza di soddisfare bisogni collettivi, ma devono prima di ogni cosa essere immaginate, come ricorda lo storico istraeliano Harari, da chi, nel pubblico, come nel privato, abbia voglia di mettersi in gioco, con intraprendenza, curiosità, laboriosità, capacità di assumersi i rischi.

“Il rimedio alla imprevedibilità della sorte – ci ricorda Hannah Arendt -- alla caotica incertezza del futuro è la facoltà di fare e di mantenere le promesse” .

Il filo conduttore dello scritto è dato da un pensiero integrato che guarda alla Città nel suo insieme, mantiene i piedi nelle cose-esperienza, mettendo in relazione spazi agli antipodi ma che fanno parte di un tessuto urbano considerato unitariamente, cerca di far dialogare un pensiero immaginario con il principio di realtà.

Vengono proposte alcune chiavi di lettura, per guidare nella percezione contemporanea del fenomeno urbano.

Il paragrafo 6, quello dedicato alla dismissione di una vecchia Ferriera, è curato dal giornalista Francesco De Filippo. Si chiude con una proposta aperta, volta a coinvolgere la Città: la creazione di una Officina-laboratorio per formulare un’idea-progetto al Sindaco in carica, con un esperimento di “resistenza vitalistica” , come la definisce Peter Sloterdi.