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Osservazioni di sintesi e (tentativi di) generalizzazione

Dalle disposizioni imperative precedentemente richiamate, ossia dagli artt. 77, comma 1, e 78, comma 1, del T.U.E.L., nonché 3 e 97 della Costituzione, discende incontestabilmente la nullità, ai sensi dell’art. 1418, comma 1, del Codice civile, del patto recante la rinunzia ad opera dell’amministratore locale a parte dell’indennità di funzione prevista dalla legge. Un accordo negoziale non può spiegare effetti in contrasto con la legge e, ancor più, ovviamente con la Costituzione. Nell’ipotesi in cui l’amministratore pubblico, l’assessore comunale ad esempio, venisse convenuto in giudizio per la riscossione dell’indennità in parola, ben potrebbe far valere la nullità del contratto ex art. 1418, comma 1, applicando direttamente gli artt. 77, comma 1, e 78, comma 1, del T.U.E.L., in combinato disposto rispettivamente con gli art. 3 e 97 della Costituzione57.

Se quanto evidenziato vale per gli amministratori locali latamente intesi, a maggior ragione deve potersi affermare per chi si trovi a rivestire la carica di assessore comunale. In effetti, se, per esempio, un consigliere comunale venisse meno all’accordo politico di restituzione con il proprio partito di appartenenza potrebbe essere espulso dal partito medesimo, ma continuerebbe, in ogni caso, a mantenere la propria carica elettiva. Chi, invece, ricopra la carica di assessore nell’ambito di una giunta comunale sarebbe sottoposto ad una maggiore coartazione perpetrata, da parte del proprio partito, per il tramite dell’accordo di restituzione dell’indennità di funzione. Pare giocoforza immaginare che, laddove l’assessore non dovesse rispettare un siffatto impegno politico stretto con il partito di appartenenza, si esporrebbe ad un probabile atto di revoca da parte del sindaco.

Non deve, a questo proposito, dimenticarsi il carattere “precario” della posizione occupata dall’assessore comunale che rappresenta, pur sempre, un soggetto nominato dal sindaco sulla base di un rapporto di natura politica attribuito all’intuitu personae. Sicché se già a monte il soggetto designato a rivestire la carica di assessore non dichiarasse di aderire all’accordo di restituzione non verrebbe verosimilmente nemmeno nominato, d’altro canto, laddove a valle non lo rispettasse, verrebbe con tutta probabilità revocato58. In tale modo si determinerebbe un’evidente lesione dell’imprescindibile diritto all’indennità ex art. 77, comma 1, T.U.E.L., letto alla luce del principio di eguaglianza nonché del dovere di imparzialità (artt. 97 della Costituzione e 78 T.U.E.L.) che dovrebbero connotare la figura dell’assessore quale pubblico

56 Cassazione penale, sez. VI, 26 giugno 2013, n. 34086.

57 Per considerazioni simili si veda R. BIN, Ma mi faccia il piacere! La “multa” del M5S ai “ribelli”, in lacostituzione.info, 2017, p. 2.

58 Non pare difficile immaginare che l’adempimento dell’obbligo di restituzione potrebbe, addirittura avvenire,

“manu militari”, sotto minaccia e ricatto della revoca dalla funzione (di assessore comunale) rivestita.

amministratore vocato alla realizzazione dell’interesse pubblico, in particolare di quello della collettività comunale ex art. 3 T.U.E.L59.

Occorre ancora chiedersi – nel tentativo di allargare la visuale –, se sia possibile estendere gli esiti di detta ricerca anche ai membri dell’esecutivo nazionale ovvero delle giunte regionali.

Prima facie, si potrebbe essere portati a ritenere che rispetto a tali figure, stante l’assenza di disposizioni di legge specifiche – quali sono gli artt. 77 e 78 T.U.E.L. –, che costituiscano un limite (rigido) all’obbligo “coattivo” di restituzione in parola, valevoli anche per le due categorie summenzionate, un patto del genere potrebbe considerarsi non solo giuridicamente valido ed efficace ma altresì “giustiziabile”. In realtà, i presupposti giuridici su cui poggia la soluzione individuata per la categoria degli assessori comunali, cioè, per l’appunto, le menzionate disposizioni del T.U.E.L., ancorché espressamente previsti esclusivamente in relazione all’ordinamento degli enti locali, non rappresentano altro che espressioni particolari di disposti generali già consacrati in Costituzione.

In particolare, se da un lato l’art. 77, comma 1, T.U.E.L. rappresenta la positivizzazione a livello di legislazione ordinaria delle tutele di rango costituzionale cristallizzate nell’art. 51 Cost., che già riconosce a tutti i cittadini (dell’uno o dell’altro sesso) condizioni di uguaglianza nell’accesso, non solo alle cariche elettive, ma anche agli uffici pubblici60. Dall’altro l’art. 78, comma 1, T.U.E.L. non fa altro che specificare, a livello legislativo, il precetto consacrato nella Carta fondamentale all’art. 97, fondato sui canoni di buon andamento e di imparzialità cui deve informarsi l’azione dei pubblici amministratori. Pertanto, ancorché a tale riguardo si necessiterebbe, ovviamente, di un’analisi maggiormente approfondita, capace di tenere in debita considerazione le peculiarità proprie di ciascuna figura (ministri e assessori regionali) e considerati tutti i limiti che un tentativo di approssimazione e generalizzazione necessariamente sconta, non pare azzardato sostenere che, se identiche risultano essere le premesse, necessariamente analoga dovrà essere anche la conclusione: e cioè la contrarietà a norme imperative e la conseguente nullità del patto (politico) di restituzione dell’emolumento spettante per l’esercizio della funzione svolta dal membro dell’organo di governo nazionale o regionale.

In definitiva non ci si può esimere dal riconoscere come un atto di autonomia negoziale, che abbia ad oggetto la rinuncia a quella fondamentale guarentigia costituita dall’indennità di funzione riconosciuta tanto ai membri “eletti” quanto a quelli “nominati” a ricoprire pubbliche funzioni, non solamente non sia “giustiziabile”, concretando una mera naturalis obligatio, ma sia, altresì, contrario tanto alla legge quanto alla Costituzione e pertanto irrimediabilmente nullo.

59 Art. 3 T.U.E.L. “Autonomia dei comuni e delle province”: «Le comunità locali, ordinate in comuni e province, sono autonome. Il comune è l'ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo. La provincia, ente locale intermedio tra comune e regione, rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo sviluppo. I comuni e le province hanno autonomia statutaria, normativa, organizzativa e amministrativa, nonché autonomia impositiva e finanziaria nell'ambito dei propri statuti e regolamenti e delle leggi di coordinamento della finanza pubblica. I comuni e le province sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite loro con legge dello Stato e della regione, secondo il principio di sussidiarietà. I comuni e le province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente. esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali.».

60 In senso adesivo, molto chiaramente, F. NARDUCCI - R. NARDUCCI, Guida normativa per l’amministrazione

Deve, da ultimo, evidenziarsi come la “prassi” della restituzione sin qui descritta paia il frutto di una pericolosa concezione: quella per cui lo scollamento tra classe politica e società civile non sarebbe causata dalle mancanze ascrivibili alla classe politica stessa, bensì dall’inadeguatezza dell’impianto costituzionale e delle sue garanzie. Proprio per questa ragione la risposta che viene fornita è non già quella fondata su di un tentativo di rinnovamento e di miglioramento del sistema partitico, bensì l’altra, più immediata (ma maggiormente “demagogica” se non, addirittura, “populista”61), dell’intervento ablativo di quegli istituti, quale l’indennità di funzione, che della struttura costituzionale rappresentano un elemento fondante. Non si tratta, tuttavia, di un modo adeguato a garantire la ricchezza e la vitalità del tessuto democratico del Paese, sembrando piuttosto un escamotage per strizzare l’occhio alle posizioni dirette a sfiduciare, sempre più, le forme di partecipazione dei cittadini alla vita politica nazionale. In tale cornice il ruolo dello studioso non può che essere quello di registrare la cristallizzazione di questa “prassi”

e di farla oggetto di una lettura critica, sottolineando le storture nonché le torsioni dei precetti costituzionali cui essa conduce.

61 Appare illuminante rinviare sul punto agli efficaci contributi di G. U. RESCIGNO, Populismo (presunto, asserito, proclamato) e diritto costituzionale in Italia, in Ragion pratica, n. 1 del 2019, p. 273 ss.; E. BIALE, La sfida populista alla ragione pubblica, in Notizie di Politeia, n. 134 del 2019, pp. 64-69; A. LUCARELLI, Le aporie del populismo tra fenomenologia e categorie del costituzionalismo, in Rassegna di diritto pubblico europeo, n. 1 del 2020, 1, p. 165 ss.;

L’emergenza sanitaria da covid-19 alla luce della normativa vigente Camilla Damiani

Dottoressa in Giurisprudenza, Università degli Studi di Trieste

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. La disciplina legislativa dell’emergenza alla luce del Codice della Protezione Civile. – 3. I discostamenti dalla disciplina legislativa nell’emergenza sanitaria da Covid-19. 3.1. Il difficile rapporto Stato-Regioni. – 3.2. I decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri. – 4. Le criticità riscontrate nella gestione dell’attuale emergenza sanitaria.

Abstract [It]: L’attuale emergenza sanitaria da Covid-19 ha rappresentato una delle prime occasioni in cui la disciplina prevista dal Codice della Protezione Civile ha trovato concreta attuazione. Tra i vari rischi in relazione ai quali si esplica l’azione del Servizio nazionale di protezione civile rientra anche quello di carattere igienico-sanitario, che conferma indiscutibilmente la competenza e la responsabilità del suddetto Codice a governare l’attuale epidemia da Covid-19. Il presente elaborato si propone di esaminare la concreta gestione dell’emergenza Coronavirus alla luce della normativa vigente, ponendo l’attenzione sull’avvenuto discostamento dalla disciplina prevista dal Testo Unico della Protezione Civile.

L’intento del contributo è di porre in evidenza come, a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza del 31 gennaio 2020, e, in particolar modo, dell’ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 630 del 3 febbraio 2020, che dispone i primi interventi urgenti per fronteggiare l’emergenza, si sia venuto a creare un sistema di disciplina dell’emergenza sostanzialmente inedito rispetto a quello originariamente configurato dal decreto legislativo n.1 del 2 febbraio 2018.

Abstract [En]: The current health emergency from Covid-19 represented one of the first occasions in which the discipline provided by the Civil Protection Code has been concretely implemented. Among all various risks in relation to which the action of the National Civil Protection Service is carried out, health risks are also included, which unquestionably confirms the competency and responsibility of the aforementioned Code to control the current epidemic from Covid-19. This paper aims to shed a light on the actual management of the Coronavirus emergency in consideration of current legislation, focusing on the discrepancy from the regulations provided by the Consolidated Text on Civil Protection. The purpose of this contribution is to highlight how, following the declaration of the state of emergency of January 31, 2020, particularly, the order of the Head of the Civil Protection Department n. 630 of 3 February 2020, which provides the first urgent interventions to face the health crisis, a substantially new system of emergency discipline has been created compared to that of originally designed by Legislative Decree n. 1 of 2 February 2018.

1. Introduzione

La situazione emergenziale che il nostro Paese sta vivendo a causa della rapida diffusione del virus Covid-19 ha portato a innumerevoli problematiche, non solo sociologiche e umane, ma

In primo luogo, non si può prescindere dal significato del termine “emergenza”. Nell’accezione del linguaggio comune la parola “emergenza” indica “una circostanza imprevista, un accidente, un caso fortuito, uno stato di pericolo, una situazione critica, che richiede un intervento urgente ed immediato”. Come suggerisce la parola stessa, nel caso emergenziale, la situazione di pericolo “emerge” dallo stato di normalità; in tale campo semantico, tuttavia, sono ricomprese situazioni fattuali molteplici ed eterogenee.

Nella teoria giuridica, l’emergenza non è stata elaborata come un concetto unitario, ma solamente in ambiti particolari come specificazione di altri concetti giuridici, tra i quali rientrano lo stato di emergenza, gli organi straordinari, i poteri di emergenza. Sono due gli aspetti che qualificano l’emergenza giuridica: da un lato, l’inadeguatezza del diritto ordinario, a causa della sopraggiunta situazione emergenziale, dall’altro, la conseguente necessità di un urgente provvedimento sospensivo e derogatorio, che possa continuare a garantire gli interessi e valori protetti dall’ordinamento giuridico.

L’emergenza è da sempre oggetto di massimo interesse, testimoniato dai numerosissimi scritti e studi relativi a questo tema. Basti pensare al contributo di Carl Schmitt che formulò la teoria

“decisionista”, secondo la quale la capacità di decidere sullo stato di eccezione costituirebbe il connotato essenziale della sovranità stessa, o anche alla celebre elaborazione di Santi Romano, nella quale la necessità non viene intesa come mera situazione di fatto, ma assume la portata di vera e propria fonte del diritto. Anche l’Assemblea costituente fu chiamata ad occuparsi di tale tematica che, a seguito degli eventi di guerra e delle vicende che li determinarono, anche alla luce dell’esperienza della Costituzione di Weimar e all’art. 48 di essa, si dimostrò molto scettica sulla possibilità di prevedere in Costituzione specifiche norme inerenti allo stato d’eccezione.

Tra i Padri Costituenti vi era il timore che ciò potesse portare a situazioni connotate da incertezza, favorendo l’instaurarsi fin anche di regimi dittatoriali: tutto ciò avrebbe potuto comportare la sospensione di diritti fondamentali. I Costituenti italiani scelsero, pertanto, di introdurre solamente una sorta di “legislazione di urgenza”, disciplinando lo strumento del decreto-legge, di cui all’art. 77 della Costituzione, secondo cui al Governo, in casi di necessità e urgenza, compete l’esercizio straordinario della funzione legislativa, funzione legislativa sottoposta tuttavia ad un controllo da parte del Parlamento, da esercitare in sede di conversione dello stesso decreto legge.

Nella Carta costituzionale, oltre alla decretazione d’urgenza, vi sono disposizioni che in qualche modo possono avere un legame con situazioni straordinarie: l’art. 78 in materia di dichiarazione dello stato di guerra, fortunatamente mai applicato nel nostro Paese; l’art. 120, il quale prevede al secondo comma il potere dello Stato di sostituirsi a organi della Regione a fronte di pericolo grave per l’incolumità e la pubblica sicurezza; infine, vi è l’art. 126 che disciplina lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta, in forza di un pericolo derivante dalla Regione-apparato o dalla Regione-comunità.

A fronte di tale quadro complessivo è possibile notare che la Costituzione italiana, a differenza di altri testi costituzionali, non prevede alcuna disciplina generale in tema di emergenza. Fu la legge 24 febbraio 1992, n. 225, istitutiva del Servizio Nazionale della Protezione civile, a introdurre la disciplina del fenomeno emergenziale a livello di legislazione ordinaria,

successivamente ripresa dal decreto legislativo 2 febbraio 2018, n. 1, il c.d. Codice della Protezione Civile. Quest’ultimo si pone quale risultato di un iter legislativo avviato dalla legge delega 16 marzo 2017, n. 30 recante il riordino delle disposizioni legislative in materia di Sistema nazionale della protezione civile. Il legislatore italiano con la denominazione Codice della Protezione Civile ha inteso riformare una disciplina ampia che interessa “la governance delle emergenze ambientali, la gestione del rischio nazionale e la definizione degli interventi di protezione civile attraverso i principi di previsione, prevenzione e pianificazione delle emergenze”.

2. La disciplina legislativa dell’emergenza alla luce del Codice della Protezione Civile