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Disciplina tributaria

§ 1.5 QUADRO ATTUALE DELLA LEGISLAZIONE ITALIANA

1.5.4 Disciplina tributaria

Anche il legislatore fiscale si è visto costretto ad adeguarsi a questa evoluzione, introducendo discipline specifiche volte a costituire regimi speciali di tassazione, già di base concessi agli enti non commerciali di cui agli articoli dal 143 al 150105 del D.P.R. n.917/1986.

A livello tributario la normativa stabilisce la seguente classificazione106: • enti non commerciali (Testo unico delle imposte dirette);

• organizzazioni non lucrative di utilità sociale (L. 4.12.1997, n.460);

• associazioni sportive dilettantistiche, associazioni senza scopo di lucro, pro loco (L. 16.12.1991, n.398; art.25 L. 13.05.1999, n.133; art.37 Collegato fiscale alla legge finanziaria del 2000; art.90 legge finanziaria per il 2003; varie circolari Ministero delle finanze).

Relativamente al fondamentale concetto di ente commerciale o non commerciale, si fa riferimento alla definizione dettata dall’art.73, Tuir, lettere b) e c), opportunamente riportata in seguito:

“1. Sono soggetti all’imposta sul reddito delle società: […]

b) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali;

c) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, i trust che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale…”.

Da tale definizione si comprende come nessun rilievo assuma, ai fini della qualificazione dell’ente non commerciale, la natura del soggetto, l’assenza dello scopo di lucro e la rilevanza sociale delle finalità perseguite. Invero, la distinzione viene compiuta seguendo un criterio sostanziale, cioè il tipo di attività principale svolta, richiedendo l’analisi delle caratteristiche dei singoli soggetti, caso per caso, al fine di inserirli nell’una o nell’altra tipologia. Tale criterio è risultato dunque il più idoneo, secondo il legislatore, per differenziare il regime di rilevazione e misurazione del reddito, prevedendo due meccanismi impositivi divergenti.107

Qualora l’ente non profit svolga in via principale o esclusiva un’attività di tipo commerciale, il suo trattamento non potrà che essere quello previsto per le società di capitali e per i soggetti ad essi assimilati. In caso contrario, il trattamento risulterà essere quello previsto per gli enti non

104 RAGGHIANTI S., COLOMBO G., Enti non commerciali e onlus, Milano, 2000, p.51

105 Come si vedrà nel secondo capitolo, con l’entrata in vigore del D.Lgs. n.117/2017 l’articolo 150 verrà meno per gli

enti non commerciali

106 BERETTA S., op.cit, p.56

107 CASTALDI L., Onlus: detenzione di partecipazioni societarie ed esercizio di attività commerciale, in Enti non profit,

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commerciali. Nello specifico, secondo l’art. 75 del Tuir, alla prima categoria di enti si applica la disciplina degli artt. 81 e seguenti, mentre alla seconda si applica quella degli artt. 143 e seguenti. In realtà, pur rilevando che entrambe le qualificazioni siano teoricamente possibili, per le organizzazioni non profit la disciplina di maggiore interesse è quella che riguarda gli enti non commerciali. Ciò perché, in virtù delle peculiarità del settore non profit, questi enti si qualificano quasi esclusivamente come non commerciali.

In questo quadro, risulta decisamente importante definire i criteri in base ai quali individuare l’oggetto principale dell’attività di tali enti. Prima della riforma del 1998108, l’art.87, comma 4, Tuir, disponeva che “l’oggetto esclusivo o principale dell’ente è determinato in base all’atto costitutivo, se esistente in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata, e in mancanza, in base all’attività effettivamente esercitata.”

Tuttavia, poiché secondo la dottrina maggioritaria dell’epoca “la prevalenza del criterio formale avrebbe condotto a conseguenze abnormi e avrebbe facilitato gli abusi in quanto sarebbe stato sufficiente dichiararsi ente non commerciale per godere del trattamento e dei benefici riservati a questi ultimi109”, quel comma fu sostituito. Ad oggi, l’oggetto principale o esclusivo va individuato

nell’attività effettivamente svolta dall’ente, essenziale ai fini della realizzazione degli scopi per i quali è stato costituito.110 A tal proposito, l’identificazione degli scopi dell’ente si pone come antecedente essenziale all’accertamento dell’oggetto principale. Va da sé che rientrano nella definizione di enti non commerciali anche gli enti che svolgono un’attività commerciale purché in via secondaria. Riguardo ciò, due precisazioni si rendono opportune. Anzitutto, considerando che si tratta di enti non commerciali, le cui attività istituzionali risultano non produttive di reddito111, la normativa a loro dedicata non potrà che essere rivolta alle sole attività secondarie svolte dall’ente. Queste, a differenza dell’attività primaria, non si manifestano indispensabili alla realizzazione degli interessi dell’ente. Ciò non implica però che esse siano superflue o inutili, ma semplicemente che non rispondano alla ragione di esistere dell’ente. Secondariamente, gli articoli che disciplinano in modo differente tali attività secondarie sono relativi alle sole attività commerciali e alla loro idoneità ad essere considerate produttive di redditi. Tali norme sono state predisposte con diverse finalità e con diversi meccanismi, a seconda che vadano ad incidere proprio sulla fonte del reddito, si parla allora di de- commercializzazione, oppure sugli effetti, prevedendo esclusioni dalla base imponibile e regimi di forfetizzazione. In merito alla de-commercializzazione, essa risulta essere una tecnica piuttosto

108 “Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”

è stato pubblicato nel supplemento ordinario n.1/L alla Gazzetta Ufficiale n.1 del 2 gennaio 1998.

109 INTERDONATO M., Alcune osservazioni sul decreto di riforma del regime tributario degli enti non commerciali: attività

principale, attività prevalente e finalità antielusive, in Riv. dir. trib., fasc.3, 1998

110 Per tutte, Cass. 4.10.1991, n.10409

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atipica. La distinzione chiave, rispetto alla classica esclusione dalla base imponibile, è quella di ripercuotersi non tanto sull’effetto dell’attività, non includendola nell’imponibile, bensì sull’attività stessa, e quindi sulla fonte del reddito, privandola della caratteristica della commercialità. In questo modo viene a mancare la sua stessa capacità di essere fonte di reddito. Un discorso diverso deve essere invece fatto in merito all’esclusione, che non disconosce la natura commerciale della fonte di reddito, ma semplicemente ne ritiene irrilevante l’effetto impositivo.

Le ragioni a supporto dell’adozione di queste due agevolazioni sono fondamentalmente uguali: facilitare le organizzazioni non profit a procurarsi le risorse finanziarie di cui necessitano per soddisfare le attività per le quali sono nati.

Da ciò si evince quanto sia importante individuare le attività secondarie dell’ente, a causa del differente trattamento fiscale di cui sono destinatarie.

Una volta chiariti questi aspetti, volendo delineare solamente le caratteristiche principali della disciplina degli enti non commerciali, sembra coerente partire con l’art.143 del Tuir. Quest’ultimo attiene alla composizione del reddito complessivo, formato dalla sommatoria dei redditi fondiari, di capitale, di impresa e dei redditi diversi ovunque prodotti e quale ne sia la destinazione, ad esclusione di quelli esenti dall’imposta e di quelli soggetti a ritenuta alla fonte o ad imposta sostitutiva. Tale sistema poggia sul modello atomistico previsto per l’Irpef, dal quale sono esclusi i redditi di lavoro autonomo e di lavoro dipendente. Inoltre, per i medesimi soggetti non si considerano attività commerciali le prestazioni di servizi non rientranti nell’art. 2195 c.c., ovvero le attività minori rese in conformità alle finalità istituzionali dell’ente, senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di detta imputazione. Vi sono poi tutta una serie di disposizioni riguardanti specifiche esclusioni e deduzioni dalla base imponibile, detrazioni dall’imposta, regimi forfettari e obblighi contabili, dettate dall’intento di ridurre gli oneri fiscali gravanti sugli enti non profit come soggetti passivi d’imposta.

A tal proposito è importante ricordare che gli enti non commerciali di tipo associativo sono soggetti ad uno speciale regime tributario di favore relativamente alle attività rese all’interno della sfera associativa, in presenza di condizioni espressamente indicate dall’art.148 del Tuir.

Si può quindi pacificamente affermare che le associazioni di cui sopra costituiscano una specie del più ampio genere degli enti non commerciali.

Per quanto attiene invece alle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, sembra opportuno specificare che esse non sono una differente tipologia giuridica di organizzazione non profit, bensì una categoria del diritto tributario di cui fanno parte tutte le associazioni, i comitati, le fondazioni, le

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cooperative sociali, che perseguono esclusivamente finalità di solidarietà sociale e che rispondono a tutta una serie di altre caratteristiche, riportate nello statuto112.

Anche in tale disciplina si rinviene una norma di de-commercializzazione, ma il caso è differente. Per le Onlus, il primo comma dell’art. 150 stabilisce che non rappresentano attività commerciali le attività istituzionali svolte nel conseguimento di esclusive finalità di solidarietà sociale. Si tratta quindi di una de-commercializzazione che ricade strettamente sull’attività principale, senza riguardare le attività secondarie. In questo caso, infatti, il legislatore tributario agisce direttamente sull’attività principale poiché soddisfa un fine di utilità sociale particolarmente meritevole di protezione.

Dal momento in cui l’art. 150 decommercializza l’attività principale, le Onlus si qualificano come specie del genere più ampio degli enti non commerciali. Tuttavia, come la decommercializzazione di un’attività secondaria presuppone la sua commercialità, anche l’attività principale segue lo stesso ragionamento. Questo dimostra che anche se un ente è classificato come non profit, non gli è impedito la conduzione in forma commerciale neppure della sua attività istituzionale. In tal senso, “la collocazione della disciplina fiscale delle Onlus nel Capo dedicato agli enti non commerciali si potrebbe rivelare errata in quanto le Onlus potrebbero non essere necessariamente una specie del genere degli enti non commerciali113”. Ecco allora che “la normativa Onlus si spiega nella misura in cui la si interpreta come disposizione volta ad agevolare gli enti non profit commerciali114”. Infine, a conclusione del quadro normativo che si è voluto definire, menzione particolare va fatta per le associazioni sportive dilettantistiche, organizzazioni di persone tra loro legate per lo svolgimento dell’attività sportiva, dotate o meno di personalità giuridica, senza scopo di lucro e affiliate a federazioni sportive nazionali e ad enti nazionali di promozione sportiva riconosciuti dal legislatore. La disciplina loro dedicata si fonda, oltre che sull’art. 148 del Tuir, anche sulla l. 398/1991, trovando specificazioni in successive leggi, in particolare l’art. 90 della l. 289/2002 e l’art. 25 della l. 133/1999. La ratio corrisponde alla volontà di semplificare gli adempimenti contabili formali e sostanziali nella determinazione del reddito, in virtù della loro finalità diretta al soddisfacimento dei bisogni socialmente rilevanti, in questo caso di natura sportiva, rispetto a cui lo scopo di lucro costituisce solamente una finalità secondaria, strumentale al raggiungimento della prima.

Sempre nella stessa ottica, la disciplina della l. 398/1991 è stata estesa anche ad altri soggetti, pur se talvolta con alcuni limiti, quali le associazioni senza scopo di lucro e le pro-loco115.

112 VISCONTI G., Il quadro attuale della legislazione italiana sulle organizzazioni non profit, in Enti non profit, n.12, 2008 113 FICARI V., Brevi riflessioni su regime fiscale delle onlus e riforma delle imposte sui redditi, in Riv.dir.trib. n.6, 2003 114 COLOMBO G.M., RAGGHIANTI S., op.cit., p.106.

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Orbene, conoscere i riferimenti legislativi e i particolari regimi fiscali concessi a tutte queste organizzazioni assume particolarmente rilievo in funzione dell’entrata in vigore del D.Lgs. n.117/2017.

Infatti, come vedremo infra116, la nuova normativa non sostituisce quella precedente, ma vi si affianca determinando un regime speciale per i soggetti che scelgono, autonomamente, di parteciparvi attraverso l’iscrizione al registro unico del terzo settore, lasciando quasi completamente inalterata la disciplina per quei soggetti che non intendano o che per espressa previsione legislativa non possano entrare in tale settore.

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CAPITOLO 2