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Enti del Terzo Settore non commercial

§ 3.1 IL NUOVO QUADRO NORMATIVO

3.1.2 Enti del Terzo Settore non commercial

Strettamente collegato al tema della natura dell’attività, vi è quello della natura dell’ente. Come emerge dalla relazione illustrativa, la fiscalità degli ETS è stata concepita sulla distinzione tra attività commerciali e attività non commerciali e, conseguentemente, sulla base della natura dell’ente stesso. Per il legislatore delegato, tale distinzione risulta ideona a disciplinare differentemente la fiscalità degli enti che svolgono attività di carattere generale con modalità prevalentemente non commerciali. In tal senso, il quinto comma dell’art.79 individua e definisce specificamente il genus degli enti del Terzo Settore non commerciali, distinguendoli, contestualmente, dagli altri generici enti. Ai fini della disciplina del D.Lgs. n.117/2017, si considerano enti non commerciali gli enti “…che svolgono in via esclusiva o prevalente le attività di cui all'articolo 5 in conformità ai criteri indicati nei commi 2 e 3 del presente articolo.” Dunque, a prescindere dalle previsioni contenute nello statuto, gli ETS sono considerati di natura non commerciale qualora svolgano, in via esclusiva o prevalente, attività d’interesse generale in conformità ai criteri indicati ai commi 2 e 3 dell’art. 79 del CTS, indipendentemente dal fatto che vi sia o meno l’esercizio di attività di impresa. In altri termini, le entrate derivanti da attività non considerate commerciali, tenuto conto del valore normale delle cessioni e delle prestazioni svolte, devono superare, nel medesimo periodo d’imposta, i proventi delle attività svolte in forma d’impresa252, e delle attività diverse di cui all’art.6. Da qui l’importanza di stabilire preliminarmente, come si è cercato di fare, la natura dell’attività svolta.

Una volta attuata l’opportuna qualificazione tributaria, l’ETS, se commerciale, dovrà determinare il proprio reddito in base al principio di attrazione al reddito d’impresa di tutte le tipologie reddituali prodotte ovvero, se non commerciale, procedere alla sommatoria dei redditi fondiari, di capitale, di impresa e diversi, ovunque prodotti e quale ne sia la destinazione, secondo le disposizioni dell’art.8 del Tuir. Con riferimento alla diversa natura dell’ente, occorre sottolineare che, a differenza di quanto disposto all’interno del Tuir, “la decommercializzazione non è conseguenza della qualifica di ente non commerciale, bensì è tale qualifica ad essere influenzata dalla decommercializzazione253”. In relazione al descritto criterio della prevalenza, fondamentale ai fini qualificatori dell’ente, è rilevante notare che esso non risulti particolarmente alternativo rispetto a quello adottato sinora dall’art.149, comma 1, Tuir, per gli enti non commerciali. A tal proposito, il CNDCEC ha evidenziato, in sede di audizioni parlamentari, come il medesimo non appaia ottemperare in toto ai criteri direttivi contenuti nella legge 6 giugno 2016, n. 106. Effettivamente, la delega auspicava una “revisione complessiva della definizione di ente non commerciale ai fini fiscali connesso alle finalità di interesse generale perseguite dall’ente254”. Palese, pertanto, era l’intento di valorizzare il divieto di lucratività

252 Fatta eccezione per le attività di sponsorizzazione. 253 MAZZULLO A., op.cit. p.229

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soggettiva, dato dalla destinazione dei proventi al perseguimento della mission sociale, rispetto a quella oggettiva, data dall’economicità dell’attività commerciale svolta, mediante l’introduzione di un regime tributario di vantaggio connesso all’impatto sociale generato. Sembrava d’uopo, in altri termini, derogare alla classificazione su cui si fonda il sistema ordinario di tassazione del reddito degli enti collettivi previsto all’art.73 del Tuir, che dà enfasi esclusivamente alla natura dell’attività esercitata in via principale dall’ente stesso e che, in ragione di essa, distingue tra enti commerciali e non commerciali, ai soli fini delle regole di misurazione della base imponibile255.

La riforma, da questo punto di vista, sembra aver disatteso le aspettative, nella misura in cui la natura dell’ente risulta ancora legata a valutazioni quantitative, sia pure in un differente contesto di definizione dell’attività commerciale. Va detto però che, nell’ottica del legislatore delegato, le disposizioni in esame sono sostanzialmente modellate per enti di natura non commerciale, e “vanno lette in stretta correlazione con quelle disciplinanti l’impresa sociale256”. Dunque, preminente era

impedire che dei soggetti di fatto commerciali si potessero servire abusivamente della qualifica di ETS non commerciale. In proposito, è da segnalare positivamente la facoltà per l’ETS di svolgere un’attività di interesse generale in forma d’impresa, anche in via esclusiva o prevalente, senza che questo comporti la cancellazione dal RUNTS. Inoltre, qualora l’ente ritenesse di non poter più soddisfare i requisiti della decommercializzazione, svolgendo attività organizzata e corrispettiva con adeguati margini di risultato, potrà valutare l’opportunità e la convenienza ad assumere la qualifica di “impresa sociale”.

Coerentemente, per gli enti commerciali ex art. 73, comma 1, lett. b) Tuir, “la scelta di collocarsi nell’alveo delle imprese sociali non dovrebbe comportare alcun problema di carattere fiscale in capo all’ente257”. Da tali considerazioni si evince chiaramente come l’intento del riformatore delegato fosse duplice: dedicare un regime di favore agli enti non commerciali, e fare dell’impresa sociale il polo attrattivo di tutti quei soggetti che svolgono attività commerciale prevalente, pur con i limiti derivanti dal reinvestimento degli utili nelle finalità di interesse generale.

Ciò chiarito, ove siano superati i limiti di cui sopra, è interessante chiedersi cosa accade nel caso in cui l’ente non commerciale dovesse perdere la relativa qualifica tributaria. Il codice, a riguardo, dispone che “il mutamento della qualifica opera a partire dal periodo d’imposta in cui l’ente assume natura commerciale258”.

255 Gli enti collettivi sono, infatti, soggetti passivi IRES se e in quanto capaci di produrre nuova ricchezza (lucro oggettivo),

essendo irrilevanti sia la destinazione impressa alla ricchezza prodotta, sia le finalità (ideali o socialmente rilevanti) dai medesimi perseguite.

256 CEOLIN M., Il c.d. codice del terzo settore (d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117): un’occasione mancata?, in Le nuove leggi civili

commentate, 1/2018, p.74

257 COLOMBO G.M., Passaggio da ente (non) commerciale a ETS o a impresa sociale: implicazioni contabili e fiscali, in

Cooperative e enti non profit, n.4/2018, p.4

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Alla luce di quanto precedentemente esposto, si rilevano alcune problematiche insite in tale formulazione. In primis, considerato che la prevalenza è determinabile solo al termine dell’esercizio, il passaggio comporta un conseguente effetto retroattivo. In secondo luogo, a seguito dell’introduzione del novellato comma 2-bis259, la valutazione circa la natura dell’ente non assume più valore solamente prospettico, ma anche retrospettivo, dovendo verificare se, in corso di almeno due esercizi, vi sia stato uno sconfinamento del pareggio tra costi e ricavi. Considerando che tali computi sono fatti a consuntivo, ne consegue che, in maniera fisiologica, l’ente in oggetto avrà contezza della perdita della qualifica in ritardo rispetto alla chiusura dell’esercizio.

In merito agli adempimenti previsti dall’art.87, comma 7, del Codice, si rileva che, entro tre mesi dall’accertamento dei presupposti per la qualifica di ente commerciale, tutti i beni ad esso appartenenti dovranno essere ricompresi in apposito inventario, con il contestale obbligo di tenuta delle scritture contabili in regime ordinario. Sono preclusi, inoltre, i regimi fiscali e le relative altre disposizioni applicabili unicamente agli ETSNC. Tuttavia, l’adempimento più oneroso consiste nella registrazione, con effetto retroattivo260, di tutte le operazioni comprese tra l’inizio del periodo d’imposta ed il momento in cui si realizza la perdita della qualifica, sempre entro tre mesi dalla rilevazione dei presupposti di cui sopra. Questo termine, considerando che il superamento è generalmente determinato a consuntivo e non progressivamente durante l’esercizio, risulta quantomeno ristretto. In aggiunta, l’ente dovrà provvedere all’iscrizione nel Registro delle imprese261, unitamente alla tenuta, ai fini civilistici, delle scritture contabili ex art. 2214 del Codice civile. Per quanto attiene alle erogazioni liberali a favore degli ETS, nonostante la perdita della qualifica di ente non commerciale, continueranno ad essere riconosciute ai donatori le detrazioni e le deduzioni di cui all’art. 83 del CTS, sempreché queste siano “utilizzate dall’ente commerciale per lo svolgimento dell’attività statutaria nel perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale”.

Da ultimo è da segnalare che, con decorrenza dall’entrata in vigore delle norme fiscali del medesimo Codice, con l’abrogazione del regime delle Onlus, alcuni regimi agevolativi IVA262 potranno essere applicati unicamente agli enti del terzo settore “non commerciali”, dovendo, di conseguenza, verificare la natura fiscale dell’ente in base all’art. 79 del CTS.

259 Ai sensi del comma2-bis dell’art. 79, “le attività si considerano non commerciali qualora i ricavi non superino di oltre

il 5% i costi relativi per ciascun periodo di imposta e per non oltre due periodi di imposta consecutivi”.

260 In deroga alla disciplina ordinaria

261 Continuerà, ovviamente, ad essere iscritto anche presso il RUNTS. 262 Art.10, commi 19, 20 e 27-ter e d.P.R. 633/1972

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