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La legge delega

§ 2.1 IL PERCORSO VERSO LA RIFORMA

2.1.3 La legge delega

Finalmente, in seguito ad un lungo iter legislativo durato 2 anni138, si giunge alla promulgazione della legge 6 giugno 2016, n. 106, recante “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”. La ratio è quella di tratteggiare i principi cui il Governo nei successivi dodici mesi si dovrà attenere nel redigere i decreti legislativi. L’art. 1, comma 2, stabilisce che, attraverso la delega ed i relativi decreti, si agisca in relazione a quattro tematiche fondamentali:

• revisione della disciplina del Titolo II del Libro I del Codice civile in materia di associazioni, fondazioni e altre istituzioni di carattere privato senza scopo di lucro;

• riordino e revisione organica della disciplina speciale e delle altre disposizioni vigenti relative agli enti del Terzo settore, compresa la disciplina tributaria applicabile a tali enti, mediante la redazione di un apposito Codice;

• revisione della disciplina in materia di Impresa Sociale;

• revisione della disciplina in materia di Servizio Civile nazionale

Prendendo in considerazione la parte di natura tributaria, il riordino della disciplina e delle varie forme di fiscalità di vantaggio seguono dei principi e dei criteri esplicitamente previsti dalla Legge delega, tra i quali:

• revisione complessiva della definizione di ente non commerciale ai fini fiscali, anche relativamente alle finalità di interesse generale perseguite dall’ente;

• razionalizzazione delle agevolazioni fiscali;

• riforma dell’istituto del cinque per mille, con l’obiettivo di rendere pubblico l’utilizzo delle somme devolute con tale strumento;

• razionalizzazione dei regimi fiscali di favore concessi al mondo del non profit;

• introduzione di misure per la raccolta di capitale di rischio e, più genericamente, per il finanziamento dell’intero Settore;

• assegnazione di immobili pubblici inutilizzati.

Prima di entrare nello specifico, ciò che si nota maggiormente dalla semplice lettura della delega è l’ampiezza e la pluralità dei contenuti, “che sembrano intervenire simultaneamente sull’intero universo degli enti del Terzo settore, e forse andare anche oltre, affrontando contestualmente una miriade di problematiche e questioni”139.

138 Il 10 luglio 2014 il Consiglio dei Ministri ha varato il disegno di legge delega per la riforma del Terzo settore, presentato

alla Camera il 22 agosto e approvato il 9 aprile 2015. Passato al Senato il 13 aprile, dopo una pausa durata quasi un anno l’approvazione in seconda lettura è avvenuta il 30 marzo 2016. Successivamente, in data 25 maggio 2016, la Camera ha approvato il testo definitivo, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 18 giugno 2016, n.141

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Effettivamente, l’analisi della legge n. 106/2016 fornisce innegabili elementi di complessità. Nello specifico, vi è una complessità oggettiva connessa agli obiettivi normativi, di cui si può sicuramente menzionare l’ampia varietà e la simultanea incidenza sui profili civilistici, amministrativi e fiscali. Vi è, poi, una complessità implicita inerente all’oggetto della Riforma. Invero, prima dell’introduzione della Legge delega spicca la mancanza di una definizione stessa di Terzo Settore e del relativo perimetro soggettivo e oggettivo di quanti ne fanno parte140. Tuttavia, come si è avuto modo di vedere nel capitolo precedente, a tali carenze non è corrisposta una contestuale carenza di disciplina. Viceversa, affianco alle esigue disposizioni civilistiche si è stratificata nel corso degli anni una normativa di carattere speciale, disorganica ed essenzialmente di natura fiscale. Questo ha reso impervio trovare caratteristiche comuni, attraverso le quali fondare l’identità di ciò che non apparteneva né al mercato, né alla sfera pubblica.

A riguardo, uno degli aspetti più innovativi ed interessanti del testo della delega è, senz’altro, l’intento di adottare una definizione di Terzo Settore univoca. La legge in analisi non si limita, infatti, a replicare il tipico richiamo, “in senso negativo”, agli enti che agiscono senza finalità lucrative, bensì adotta come criterio principale quello del lucro soggettivo, andando a qualificare gli enti del Terzo Settore (in seguito anche ETS) come “il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi”. Tuttavia, la definizione risulta essere fortemente estesa, con caratteri più descrittivi che definitori, e per tale ragione “poco fruibile per individuare esattamente gli enti del terzo settore”141.

Tornando alle criticità della delega, appare utile evidenziare quelle attinenti al tema centrale dell’attività economica svolta dagli ETS. In relazione al nuovo approccio normativo, particolarmente interessante si rivela essere l’art. 2 lett. b), che segnala tra i principi generali cui dovranno trarre ispirazione i decreti legislativi quelli di “riconoscere e favorire l’iniziativa economica privata il cui svolgimento, secondo le finalità e nei limiti di cui alla presente legge, può concorrere ad elevare i livelli di tutela dei diritti civili e sociali”. L’art. 4, comma 1, lett. f), afferma invece la necessità di “individuare criteri che consentano di distinguere, nella tenuta della contabilità e dei rendiconti, la diversa natura delle poste contabili in relazione al perseguimento dell'oggetto sociale e definire

140 Tale denominazione si rinviene nell’art. 5 della legge n. 328/2000: “...al fine di favorire l’attuazione del principio di

sussidiarietà gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell’ambito delle risorse disponibii, promuovono azioni per il sostegno e la qualificazione dei soggetti operanti nel terzo settore anche attraverso politiche formative ed interventi per l’accesso agevolato al credito ed ai fondi dell’Unione europea”.

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criteri e vincoli in base ai quali l'attività d'impresa svolta dall'ente in forma non prevalente e non stabile risulta finalizzata alla realizzazione degli scopi istituzionali”.

Ecco allora che, se da un lato la delega sembra consentire e incentivare l’iniziativa economica privata, prevedendo il caso di associazioni e fondazioni che svolgano stabilmente e prevalentemente attività d’impresa142, dall’altro lato designa il Governo a stabilire opportuni vincoli in base ai quali l’attività d’impresa deve esser svolta in forma non prevalente e non stabile. Inoltre, come fa notare Mazzullo143, l’art.9, comma 1, lett. m), ribadisce il vincolo di non prevalenza delle attività connesse per le Onlus, “nonostante quest’ultima abbia avuto origine proprio a seguito dell’esigenza di privare una parte sostanziale delle attività economiche dal vincolo di non prevalenza che caratterizza gli enti non commerciali” di cui all’art. 73, comma 1, lett. c) del Tuir.

Un altro aspetto particolarmente problematico attiene invece alla revisione del Libro I del Codice civile. A tal proposito, emblematico risulta l’art.3, il quale esprime la necessità di una “revisione e integrazione della disciplina in materia di associazioni, fondazioni e altre istituzioni di carattere privato senza scopo di lucro, riconosciute come persone giuridiche o non riconosciute” e ancora il “riordino e necessario coordinamento delle altre disposizioni vigenti, compresa la disciplina tributaria applicabile a tali enti, anche mediante la redazione di un apposito testo unico recante la disciplina degli enti e delle attività del Terzo settore», compresa la “revisione della disciplina in materia di impresa sociale”, quest’ultima non oggetto del presente elaborato.

Dalla lettura di questa norma sembrava manifestarsi l’intenzione del legislatore di intervenire direttamente sul Codice civile e sulla legislazione speciale, al fine di predisporre un Testo Unico che riuscisse a contemplare al suo interno tutta la disciplina. Tuttavia, già nel testo della legge non risultava completamente chiaro il rapporto tra le varie normative previgenti. In particolare, non appariva comprensibile se al Codice civile sarebbe stata assegnata la disciplina generale delle organizzazioni e delle attività, riconsegnandoli un ruolo centrale, e alla legislazione speciale quella relativa alle caratteristiche specifiche dei singoli sistemi.

Sempre lo stesso articolo prevedeva la semplificazione e la revisione del procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica, al fine di ovviare alle problematiche che affliggono il sistema vigente, individuate da Pesticcio in “tempistiche lunghe, difformità nell’applicazione della normativa, discrezionalità eccessiva, carenza dei controlli, assenza di trasparenza e di pubblicità finalizzata a tutelare e garantire soprattutto i terzi che erogano risorse agli enti144”. La delega, in tal senso, sembra indirizzata alla realizzazione di un sistema più trasparente che contempli, almeno per enti di una certa consistenza patrimoniale, anche un obbligo di deposito dei bilanci.

142 Vedi art. 3, comma 1, lett. d), l. n. 106 del 2016 143 MAZZULLO A., op.cit. p.14

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Ben più critico appare invece il tema relativo alla predisposizione di un Registro unico del Terzo settore, per come la delega è stata scritta. Invero, se nella mera teoria la proposta appaia certamente interessante, nella pratica un’applicazione superficiale di tale principio potrebbe avere effetti pregiudizievoli, anche alla luce delle miriadi di registri tutt’oggi ancora attivi.

In tal senso, la maggior criticità, come ha fatto notare Maria Vita De Giorgi, attiene alle funzioni del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Infatti, ad esso spetta la vigilanza, il monitoraggio e il controllo sugli ETS, comprese le imprese sociali, e sulle loro attività, al fine di garantire l’uniforme e corretta osservanza della disciplina legislativa, statutaria e regolamentare, ad essi applicabile. Allo stesso Ministero competerebbe, inoltre, la promozione dell’adozione di adeguate ed efficaci forme di autocontrollo degli ETS. Ciò che lascia perplessi è, nello specifico, che “tale ampia attività dovrebbe essere svolta a costo zero per le amministrazioni competenti, le quali dovranno provvedervi nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica145”.