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Prospettive di cambiamento

Dalla problematica evoluzione della giurisprudenza costituzionale che si è esposto, emerge chiaramente la necessità, già con riferimento al giudizio di ammissibilità delle richieste referendarie, di un profondo intervento legislativo, che contribuisca a ricondurre il giudizio stesso e, di conseguenza, l’istituto referendario in sé, entro quanto previsto dal disegno costituzionale e dalla successiva legislazione, costituzionale e ordinaria, di attuazione.

In effetti, una nuova pronuncia quadro che, sullo stile della sentenza 16 del 1978, ridefinisca, nella direzione di una razionalizzazione e snellimento, i limiti di ammissibilità del referendum abrogativo, non pare strumento idoneo a garantire il raggiungimento di tale risultato in via definitiva, alla luce dell’esperienza pregressa che ha mostrato come si sia sviluppata una giurisprudenza estensiva e particolarmente ambigua ed imprevedibile in materia benché fosse intervenuta in precedenza proprio la sentenza quadro del 1978 che avrebbe dovuto

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A. Morrone, Un istituto referendario che non c’è, in Quaderni Costituzionali, 2003, n.2

46 certamente garantire, al contrario, un certo self-restraint nelle valutazioni della Consulta.

È allora imprescindibile un intervento legislativo, quantomeno a livello di legislazione ordinaria, che da un lato introduca limiti di ammissibilità dei quesiti ulteriori rispetto a quelli sanciti dall’art.75, comma 2, Costituzione, alla luce proprio dell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale di ammissibilità, ma che dall’altro vada tuttavia a ricondurre entro confini maggiormente certi e ristretti la massa dei limiti sostanzialmente creati dalla giurisprudenza costituzionale, con l’obiettivo di eliminare le restrizioni più irragionevoli al diritto dei cittadini di esprimersi in sede di consultazione referendaria che sono state individuate dalla Consulta. In particolare, una disciplina che vincoli il sindacato della Corte nei termini di un maggiore self-restraint, soprattutto, come si è visto, nella interpretazione dei limiti espressi delle leggi tributarie e di bilancio, e nella applicazione dei limiti dalla stessa elaborati, attinenti alla formulazione del quesito, appare improrogabile. Ma soprattutto, è necessario, da un lato, che una nuova disciplina legislativa escluda espressamente la categoria delle leggi costituzionalmente necessarie dal novero delle leggi sulle quali non è ammesso referendum abrogativo, in quanto, oltre a costituire un limite di per sé estremamente ampio, potenzialmente in grado di abbracciare qualsiasi legge di attuazione di norme costituzionali, contribuisce in modo pregnante, come si è visto, alla distorsione sia della funzione dell’istituto referendario (legittimando referendum manipolativi e quindi, nella sostanza, propositivi), che dell’oggetto del giudizio di ammissibilità comportando l’appiattimento di quest’ultimo sulla verifica della legittimità costituzionale; dall’altro lato, che si superi normativamente anche il limite della chiarezza dell’intera operazione referendaria e quindi della univocità e evidenza delle intenzioni dei promotori, sia perché, come abbiamo analizzato, determina anch’esso

47 un inesorabile scivolamento del giudizio di ammissibilità verso la competenza principale del giudice delle leggi, sia per l’inevitabile incertezza degli strumenti dai quali dedurre lo scopo dell’abrogazione referendaria: stante infatti l’assenza di un obbligo giuridico del comitato promotore di motivare l’iniziativa, non necessariamente gli obiettivi del referendum sono oggettivate nel quesito, e allora le intenzioni dei promotori dovranno essere desunte da elementi labili ed approssimativi quali le memorie e la discussione avute di fronte all’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione in sede di controllo di legittimità della richiesta referendaria. E per quanto riguarda il rilievo, avanzato spesso in dottrina, in base al quale eliminando tali limiti si giustificherebbe di fatto l’introduzione, per effetto dell’abrogazione referendaria, di una disciplina legislativa potenzialmente incostituzionale, dobbiamo rispondere che questo è un fenomeno giuridicamente possibile nel nostro ordinamento costituzionale, che infatti ben ammette che il Parlamento possa approvare leggi incostituzionali, se del caso, dopo l’esercizio del potere di rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica (che, infatti, può avvalersi di tale facoltà una sola volta); e come in caso di approvazione di leggi incostituzionali da parte del Parlamento, così anche nel caso di una abrogazione referendaria a cui consegua una normativa di risulta in contrasto con la Costituzione, ben potrà dispiegarsi il sindacato, successivo, del giudice delle leggi che vada appunto a sanzionare la illegittimità costituzionale dell’effetto giuridico della consultazione popolare diretta. Consentendo così, da un lato, il pieno funzionamento dell’istituto referendario anche in settori fino ad oggi irragionevolmente esclusi, in via giurisprudenziale, dal suo ambito di operatività, e dall’altro la riconduzione del giudizio di ammissibilità entro i suoi naturali limiti funzionali e di oggetto, senza più dover assistere ad un sostanziale giudizio di costituzionalità preventivo, caratterizzato in non pochi casi, come si è visto, da vere e

48 proprie segnalazioni di contrasto tra normativa di risulta e principi costituzionali (si pensi ai moniti rivolti dalla Corte al Parlamento con le sentenze n.15-17 del 2008, relativamente ad alcuni aspetti problematici della l. 270 del 2005 rispetto ai quali la dottrina aveva sottolineato profili di dubbia costituzionalità, a partire dall’assenza di una soglia minima per l’attribuzione del premio di maggioranza e dalla potenziale impossibilità di assegnare parte dei seggi: segnalazioni che pure, ovviamente, non hanno potuto tradursi in dichiarazioni di incostituzionalità, ma che comunque rendono ambiguo il ruolo che la Corte intende ritagliarsi in sede di giudizio di ammissibilità, non esimendosi evidentemente dall’atteggiarsi quale organo di consulenza tecnica del Parlamento.

Un discorso a parte, tuttavia, sembra debba esser fatto per i referendum in materia elettorale, i quali riguardano leggi disciplinanti la formazione di organi costituzionali o a rilevanza costituzionale, che possiamo individuare come le leggi costituzionalmente necessarie per eccellenza. In effetti, limitatamente a tali referendum, una disciplina legislativa e, conseguentemente, una giurisprudenza costituzionale che fossero del tutto permissivi in ordine alla loro ammissibilità, produrrebbero il risultato, inaccettabile, di consentire consultazioni referendarie che potrebbero eliminare quella disciplina legislativa minima idonea a garantire la formazione e, dunque, l’operatività di organi centrali per la vita della Repubblica, che debbono invece essere assicurati costantemente, in ogni tempo, anche nell’inerzia del legislatore. E tale conseguenza, sia detto per inciso, qualora il referendum riguardasse le leggi elettorali di Camera o Senato, e una volta che si optasse per una “liberalizzazione” dei referendum sulla generalità delle altre leggi costituzionalmente necessarie, determinerebbe altresì l’impossibilità dell’introduzione di una disciplina legislativa di adeguamento della normativa di risulta di questi ultimi che non garantisse quel livello minimo di tutela a

49 principi ed istituti costituzionalmente garantiti; compito che, evidentemente, non può che spettare al solo Parlamento.

Ebbene, per quanto riguarda la materia elettorale, pare allora di poter condividere l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale di ammissibilità, e quindi, per una volta, la necessità dell’esame degli effetti normativi dell’eventuale abrogazione referendaria. In una pluralità di pronunce la Consulta ha esplicitato il proprio convincimento in base al quale le leggi elettorali di organi costituzionali o a rilevanza costituzionale sono sottoponibili soltanto a referendum parziali, e che siano idonei, in base appunto ad un vaglio della normativa di risulta, a garantire comunque la piena operatività dell’organo elettivo, pur nell’inerzia del legislatore. Dunque, l’autoapplicatività, intesa come indefettibilità ed operatività, della disciplina risultante dall’abrogazione referendaria è considerata condizione necessaria per lo svolgimento del referendum elettorale, precludendosi invece la consultazione, in questa materia opportunamente, se gli effetti del referendum sono incostituzionali dal punto di vista, appunto, della mancata garanzia di funzionamento di organi costituzionalmente previsti. Tali orientamenti sono stati espressi a partire dalla sentenza n.29/1987, con la quale la Corte dichiarò l’inammissibilità del referendum abrogativo della legge elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura, proprio in quanto il quesito proponeva la caducazione totale della legge sulla costituzione dell’organo, argomentando in particolare che “l’organo a composizione elettiva formalmente richiesta dalla Costituzione, una volta costituito, non può essere privato, neppure temporaneamente, del complesso delle norme elettorali contenute nella propria legge elettorale”71

. Tali argomenti sono stati poi confermati nella sentenza n.47/1991, con cui è stata dichiarata l’inammissibilità dei quesiti relativi ai sistemi elettorali del Senato e dei Comuni proprio per

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50 l’”indefettibilità della dotazione di norme elettorali”72

, giustificandosi così – anzi, rendendosi necessitati – referendum parziali in materia. La giurisprudenza costituzionale pare qui condivisibile, a maggior ragione alla luce della sentenza n.32/1993 che, nel dichiarare l’ammissibilità del quesito sulla legge elettorale del Senato, va ad ammorbidire gli orientamenti iniziali, in quanto il via libera è dato benché la normativa di risulta possa “dar luogo ad inconvenienti” - in particolare per quanto riguarda gli effetti che il passaggio al sistema maggioritario semplice determina in caso di ricorso alle elezioni suppletive – in quanto questi aspetti non incidono “sull'operatività del sistema elettorale, né paralizzano la funzionalità dell'organo, e pertanto non mettono in causa l'ammissibilità della richiesta di referendum”; di modo che, a tali inconvenienti si potrà comunque porre rimedio con un intervento successivo del legislatore, che “potrà correggere, modificare o integrare la disciplina residua”73

.

Per concludere su questo punto, la giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di ammissibilità dei referendum elettorali pare ragionevole, bilanciando in modo condivisibile la garanzia del diritto degli elettori a pronunciarsi mediante consultazione popolare diretta anche in materia elettorale con l’esigenza pregnante di garantire la costante operatività di organi costituzionalmente previsti.

Effettuata tale precisazione sui referendum elettorali, si deve poi constatare che un ruolo decisivo nell’appiattimento del giudice delle leggi sulla sua competenza principale anche in sede di giudizio di ammissibilità è svolto dalla assoluta limitatezza e lacunosità della disciplina procedurale del giudizio in questione: la legge n.352/1970, di attuazione dell’istituto referendario, dedica infatti al giudizio di ammissibilità di fronte alla Corte Costituzionale soltanto un articolo, il 33, che si occupa di dettare soltanto una scarna regolamentazione di alcuni aspetti perlopiù formali del giudizio: il primo comma prevede la

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Corte Costituzionale, sentenza 47 del 1991 che richiama la sentenza 29 del 1987

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51 fissazione, da parte del presidente, del giorno della deliberazione in camera di consiglio non oltre il 20 gennaio dell’anno successivo all’ordinanza dell’Ufficio Centrale che dichiara la legittimità della richiesta; il secondo comma dispone la comunicazione della fissazione della data della deliberazione ai presentatori e al Presidente del Consiglio; il terzo comma prevede che non oltre tre giorni prima della data fissata per la deliberazione, i presentatori e il Governo possono depositare alla Corte memorie sulla legittimità costituzionale delle richieste di referendum; mentre il quarto ed il quinto comma si limitano a prevedere rispettivamente la forma della sentenza, da pubblicarsi entro il 10 febbraio, per la pronuncia sull’ammissibilità del quesito, e la comunicazione d’ufficio della sentenza, entro cinque giorni dalla pubblicazione, al Presidente della Repubblica, ai Presidenti delle due Camere, al Presidente del Consiglio, all’Ufficio Centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione e ai presentatori.

Ebbene, la totale insufficienza di tale disciplina procedurale, stante la totale assenza di norme integrative alla legge 352/1970 e benché peraltro questa non operi alcun rinvio in tal senso, conduce forzatamente la Consulta a fare applicazione delle norme procedurali contenute nella l.87/1953 sul funzionamento della Corte Costituzionale, che riguardano in verità le altre funzioni della stessa. Si può agevolmente concludere che l’introduzione di una disciplina procedurale puntuale ed esaustiva del giudizio di ammissibilità sarebbe fondamentale per evitare l’applicazione, in esso, di norme procedurali proprie del giudizio di costituzionalità, a cui la Corte è indotta naturalmente per essere la valutazione di costituzionalità delle leggi la sua competenza principale, da un punto di vista storico e quantitativo. Questo contribuirebbe senz’altro in modo decisivo a prevenire l’appiattimento del giudizio di ammissibilità su un controllo di conformità della normativa di risulta ai principi e alle regole

52 costituzionali caratterizzato dalla valutazione della ragionevolezza degli stessi risultati normativi dell’abrogazione referendaria74

.

Concludendo, gli interventi normativi che si sono qui caldeggiati avrebbero certamente dei risultati concreti rispetto agli obiettivi, da un lato, di segnare una discontinuità rispetto alla giurisprudenza di ammissibilità della Corte troppo spesso incoerente, imprevedibile ed eccessivamente estensiva nella individuazione dei limiti all’ammissibilità dei quesiti, e dall’altro di evitare una deriva del giudizio di ammissibilità verso una valutazione, nei fatti, di legittimità costituzionale della normativa di risulta, salve le precisazioni che si sono fatte rispetto ai referendum in materia elettorale.

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Cfr. A. Pertici, Il Giudice delle leggi e il giudizio di ammissibilità del referendum

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CAPITOLO TERZO

IL PROBLEMA DELLA PARTECIPAZIONE AI

REFERENDUM ABROGATIVI. LA QUESTIONE DEL

QUORUM STRUTTURALE