Deonomastica panziniana fra antonomasia, tendenze enciclopediche,
1. Panzini, che in genere individua correttamente l’origine delle voci deonimiche, non dedica ad esse nessuna riflessione organica, né nella Grammatica italiana né nel
2.3 Il DM documenta anche l’uso metaforico di svariati etnonimi.
DM1 attesta per la prima volta (cfr. DI) l’uso estensivo di Krumìro (da DM2 è
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Meno attuale un’altra p.a. in DM1, la «bella parola che ha sapore di romanzo» fata morgana, il «fenomeno ottico dovuto alla rifrazione della luce, per cui appaiono nell’orizzonte false imagini di paesaggio» (s.v. Miraggio). L’espressione, riportata dal GRADIT s.v. Fata come “di uso comune”, deriva dal francese, cfr. EMILE LITTRÉ, Dictionnaire de la langue Française, Paris, Librairie Hachette et C.ie, 1873-77, s.v. Morgane: «Fée Morgane, château de la fée Morgane, nom donné au mirage qui, sur la côte d’Italie, fait voir au-dessus de la mer des châteaux, des palais, des villes, etc». Il dizionario del Littré è disponibile on-line al sito http://francois.gannaz.free.fr/Littre/accueil.php.
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In DM8 l’esponente è semplicemente Padreterno, chiosato «chi si ritiene infallibile, onnipotente». La designazione antonomastica per «l’alta burocrazia centrale» è semplicemente «i padreterni»; l’aggettivo «romani» fu cassato da Migliorini prima nel suo esemplare di lavoro, poi in DM8, probabilmente per prudenza.
37 DM1, Avviso al lettore, p. XXXVII. Nella seconda edizione Panzini promette fin dal sommario del frontespizio di includere le «parole omesse», smaschera egli stesso il piccolo trucco ed espone il nuovo criterio di inclusione: «omettere un così grande numero di voci, la più parte di valore scientifico, sarebbe stato un offendere l’integrità del lavoro. […] Ho fatto così: quelle parole di cui è necessaria la registrazione perchè meno intese, e con ragione ricercate, sono state dichiarate nel corpo del Dizionario stesso, tenendo conto del fatto fisiologico, etimologico e storico nel modo più breve, adatto e decoroso, così che il libro possa senza offesa essere letto da ogni ceto e da persone di ogni età. Certe altre parole, specialmente plebee e di gergo, furono omesse per molte considerazioni, questa specialmente, che la persona che ne fa ricerca ne sa anche il significato, ed è abbastanza ingenuo in tale caso lo spiegare» (DM2, Prefazione, p. XIII).
riportata la «grafia più comune, crumiro»):
[1905] Krumìro: nome di tribù berbere, antichissime […]. Questa parola ha avuto una ben curiosa fortuna: da principio indicò queste tribù, le quali con la loro ribellione, diedero pretesto alla Francia di occupare la Tunisia. Fu usata poi in Francia in occasione di sciopero, come termine ingiurioso; di lì passò a noi per indicare quegli operai i quali rompono la legge dello sciopero, ed accettando di lavorare secondo i patti rifiutati dagli altri operai, contribuiscono a rendere meno efficace la lotta che il Lavoro manuale muove al Capitale […].
Il seguito della lunga voce riferisce dettagli più recenti della «ben curiosa fortuna» del nome di queste tribù berbere; in DM7 non manca la precisazione «voce decaduta col fascismo». Anche l’astratto crumiraggio (s.v. Krumìro) è p.a. in DM1 (cfr. DI).
DM2 è la prima attestazione anche per la metafora «di gergo francese, giunta a noi
per la solita via del giornalismo» (DM2-DM4) dell’etnico
[1908] *Apache: nome di popolo indigeno dell’America del Nord […]: famoso per astuzia, agilità, ferocia. Per estensione del gergo francese, il teppista parigino. [1935] Voce di molto consumo nell’80038.
DM3 è la prima attestazione (cfr. DI) dell’uso figurato di Portoghese: «nel gergo
teatrale si dice di chi entra in teatro a scrocco, senza pagare, usando vari sotterfugi»; solo in DM6 è riportato il noto aneddoto a proposito dell’origine del modo di dire: «Fu un Papa che concesse a tutti i portoghesi ingresso gratis nei teatri di Roma, in compenso di bellissimi doni inviati dal re del Portogallo»39. Tipicamente panziniana la conclusione: «Poi diventarono portoghesi anche i romani e gli altri». Migliorini in appendice cita fin dal 1950 s.v. Portoghese i derivati portogheserìa e portoghesismo.
DM1 è una delle prime comparse anche dell’uso figurato, con connotazione
pesantemente negativa, dell’etnico turco40, pur se con la precisazione – più umoristica che politically correct - che la Turchia «non è essa sola a godere» di amministrazioni scadenti:
[1905] Governo turco!: e, più spesso, giustizia turca! per governo pessimo, burocratico; per giustizia
venale o lenta: antonomasia a cui la Turchia potrebbe rispondere che non è essa sola a godere tale
privativa41.
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DI riporta come anno di comparsa della voce il 1913 (Garollo), di cinque anni successivo a DM2. Come
aggiunto da Migliorini nell’esemplare della Crusca e poi in DM8, la paternità della voce è del giornalista Victor Moris, che la coniò nel 1902.
39
Offre una spiegazione completamente diversa OTTAVIO LURATI, Fare il portoghese: un gioco di parole,
non un eterostereotipo, in RIOn, XV (2009), 2, pp. 482-84.
40
GDLI riporta solo la locuzione cose turche, da Maschere nude di Pirandello.
41 Sul bistrattato etnonimo turco, cfr. OTTAVIO LURATI, Miti e polemiche su nomi di luoghi e di
nazioni/popoli. Il caso di Francesi, Turchi ed Ebrei, in RIOn, XVI (2010), 1, pp. 45-57, in particolare alle
pp. 49-53; è una rassegna cronologica di modi di dire basati sul turco come emblema del «nemico brutale e miscredente che si opponeva alle opzioni culturali e al senso religioso dell’Europa» (p. 50) e sull’«estraneità alla vita turca e sul suo venir interiorizzata come una realtà remota, strana» (p. 52).
Forse ha qualche connessione con la pessima gestione ottomana anche la connotazione negativa connessa con il nome Egitto, voce del DM dal 1905: «spesso, ribattendo sgarbatamente scuse o affermazioni altrui, si ripete l’altrui parola con l’aggiunta d’Egitto, che nega e riprova; modo familiare». DM4 tenta una spiegazione: «forse l’Egitto come luogo a noi remoto per tempo, luogo, costume»42. Tutt’altro che lusinghiera anche l’analogia alla base della v. Ottomanizzare, presente nell’appendice miglioriniana fin da
DM8: «ridurre (un paese) in condizioni di tutela economica e finanziaria, com’era nei
suoi ultimi anni l’Impero Ottomano».
Di poco preceduto da attestazioni carducciane (e, per l’astratto, del Chiarini a proposito di Carducci, cfr. GDLI)43 l’uso metaforico di
[1905] Filistèo: [...] si dice di chi è grettamente attaccato alla tradizione; nemico e pauroso del nuovo; rinchiuso nel cerchio delle idee acquisite. Suona spregiativamente e si dice per lo più parlando di scrittori, artisti, ecc. Se ne è fatto anche l’astratto in filisteismo. Il senso neologico della parola ci provenne dal tedesco (v. Philister);
DM1 è la p.a. lessicografica italiana per il prestito integrale Philister («il borghese
pacifico, un po’ gretto, un po’ rustego, misoneista»), che merita un lemma specifico.