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4. Quando a migrare sono le donne

4.1 Donne e dinamiche transnazionali

Una parte sostanziale della letteratura contemporanea che guarda ai processi migratori tenta di enfatizzare come essi si costruiscano sulla stretta connessione di equilibri locali e dinamiche globali. Coloro che migrano, insieme alle proprie reti socio-familiari, sono agenti di processi storici, economici, socio-culturali che producono trasformazioni nei paesi di partenza come in quelli di destinazione. Secondo Salih (2005: 153) «i migranti contemporanei con la loro organizzazione transnazionale dell'esistenza mettono in atto nuove cartografie dello spazio sociale», essendo essi coinvolti in una rete di legami che attraversano una molteplicità di confini nazionali. Essi legano «località distanti in un unico campo sociale, dando forma ad appartenenze e identificazioni multiple che attraversano più contesti locali», ove le percezioni del tempo e dello spazio vengono continuamente riviste, e le relazioni interpersonali modulate attraverso una tensione costante tra presenza e assenza.

Con transnazionalismo ci si riferisce dunque al processo dinamico mediante il quale coloro che migrano “tengono insieme” i mondi di partenza e di approdo; “transnazionale” è la vita di chi parte come quella di chi “resta”. Tale riconfigurazione vuole superare le tradizionali categorie di “immigrato“ ed “emigrato” spesso assunti come individui coinvolti in un viaggio unidirezionale e monodimensionale; vuole superare inoltre approcci push and pull (fattori di spinta/attrazione) classici e visioni assimilazioniste (recisione di legami e appartenenze) (Ambrosini, 2007), nel tentativo di produrre un «vocabolario meno essenzialista e capace di tradurre la complessità delle esperienze migratorie contemporanee superando la schematicità dei modelli bipolari che hanno dominato gli studi sulle migrazioni fino agli anni Ottanta» (Riccio, 2007: 17). Tale prospettiva tenta dunque di restituire un ruolo di agente a coloro che migrano, enfatizzando la variabilità delle forme con cui le macro-dinamiche, vincolate alla mobilità generata dalla globalizzazione, vengono interpretate e praticate a livello soggettivo e contestuale. Diversi autori rilevano come il transnazionalismo non sia un fenomeno recente, ma una nuova prospettiva (Portes, 2005): numerosi processi migratori del passato possedevano, infatti, caratteristiche transnazionali; tuttavia è il ruolo assunto dalle nuove tecnologie e dai trasporti in epoca post-industriale e post- moderna (Salih, 2005) ad aver contribuito notevolmente a una riconfigurazione in chiave transnazionale dell'idea di spazio, di vicinanza, di quotidianità.69 Contemporaneamente la servizi di mediazione nell'ambito domestico e di cura da parte di servizi del privato sociale si veda Ascione, 2012. 69 Si pensi al ruolo di internet; all'utilizzo di programmi che permettono di realizzare video-chiamate;

letteratura rileva come ancora oggi non tutte le migrazioni siano transnazionali, o meglio, come il transnazionalismo, lungi dal rappresentare una dinamica totalizzante, possa interessare, più o meno parzialmente, alcuni aspetti della vita del migrante (Ambrosini, 2007). Alcuni autori sostengono che a fare da sfondo alla transnazionalizzazione delle migrazioni contemporanee ci sia una crisi di luoghi e istituzioni moderne come lo stato-nazione, nei suoi aspetti culturali, economici, istituzionali; e di categorie identitarie che evocano appartenenze vincolate a singoli territori piuttosto che a un ordine complesso, sovrapposto e disgiunto (Appadurai, 1991). In tal senso il transnazionalismo, in una molteplicità di cause, di forme, di effetti, di fratture «si concretizza nel rifiuto della logica dell'assimilazione a uno Stato, e contemporaneamente, in una strategia volta a lottare contro, o più spesso ad arginare, gli effetti dell'esclusione e della fortificazione delle barriere» (Salih, 2005: 154).

Tale riconfigurazione teorica è utile alla comprensione di alcuni elementi emersi nel corso di questa ricerca; elementi vincolati agli effetti – tangibili, consistenti – che le dinamiche transnazionali possono avere nelle vite quotidiane. Ed è utile a ripensare il contesto locale dell'Emilia-Romagna e di Bologna alla luce di dinamiche ambivalenti di apertura e chiusura; di transnazionalizzazione e compartimentazione socio-culturale (Riccio, 2013).

Il fatto che a darmene testimonianza siano state soprattutto donne è stato esplicitamente messo in relazione dai miei interlocutori al fatto che io stessa fossi donna, fattore che ha in certi casi facilitato, in altri inibito (mi riferisco alle ridotte testimonianze su certi temi da parte di uomini) il confronto.70

L'elemento più palese è connesso al ruolo di madri e di mogli che si articola “da un lato all'altro del mare”. Il carico di lavoro per poter far fronte agli obblighi economici nei confronti delle famiglie; le ansie quotidiane per la diffusa disoccupazione si misurano con l'esigenza di dover apparire allegre, serene, rassicuranti, disponibili con i familiari lontani. È stata riportata molte volte una sensazione di ambivalenza per il non sentirsi né qui né lì e contemporaneamente la sensazione di essere radicati in entrambi i luoghi (Giuffrè, Riccio, 2012). Il legame con i familiari rimasti nei paesi di origine è spesso caratterizzato da comportamenti protettivi, per cui vengono a essere celate, a loro, le reali condizioni di difficoltà in Italia, da un lato per non destare preoccupazioni che sarebbero ingigantite dalla lontananza. Questo tuttavia va ad alimentare quelli che sono gli immaginari stereotipati della migrazione, che – se nei paesi di partenza resistono – puntualmente vengono delusi all’arrivo di un qualche familiare (Capello et al., 2013).

all'immediatezza delle comunicazioni favorita dai social-network; alla diffusione di compagnie di trasporti low-cost; ai servizi di spedizione di denaro.

70 C'è inoltre da dire che l'interesse specifico per la Malattia di Chagas, filo rosso dell'intera ricerca, ha orientato a un maggiore coinvolgimento delle donne sia su problematiche socio-sanitarie generali che specifiche come appunto l'infezione che può essere trasmessa (anche) da madre ha figlio.

A un livello molto generale è possibile dire che la ricerca ha lasciato intravedere come chi è arrivato in Italia da diversi anni ha contratti lavorativi stabili e il progetto di restare. Tuttavia sono molte le testimonianze di chi, avendo trascorso in Italia molto tempo, specie se è riuscito a comprare una casa nel paese di origine, ipotizza un rientro in quanto percepisce il momento storico che l’Italia sta attraversando come svantaggioso, se comparato con la fase di crescita economica che stanno vivendo alcuni paesi dell'America meridionale. Sono comunque significativi i casi in cui si ha la sensazione che l’investimento della migrazione per chi è qui da decenni abbia consumato talmente tante energie che diventa difficile pensare di emigrare nuovamente, nonostante qui le aspettative iniziali siano state disattese (“Oramai...resto”).

Una sensazione diffusa è quella di aver fallito come madri, per aver lasciato i propri figli in mani altrui, e come mogli, per aver anteposto le necessità materiali all'unione fisica, emotiva, sentimentale. Ne derivano relazioni complesse e cangianti di dipendenza e di autonomia rispetto a chi “è rimasto a casa”. Il senso di colpa è sempre in agguato, così come le mutue recriminazioni (specie tra mogli e mariti) che caratterizzano momenti di fragilità, insicurezze, gelosie.

Altrettanto diffusa è la pressione esercitata da parte delle famiglie di origine che si ritrovano a crescere giovani adolescenti. Il “patto” migratorio era stato sancito quando quei figli erano più piccoli, nella speranza che gli equilibri economico-familiari si sarebbero ricomposti in tempi relativamente brevi. Quando però quei bambini diventano adolescenti, i nonni si sentono troppo avanti con l'età (o troppo giovani, impreparate nel caso si tratti di sorelle e cognate) per riuscire a “preservare” loro da pericoli sociali come l'insicurezza delle strade, il consumo di alcol e droga, le frequenti gravidanze in giovane età. Ciò alimenta una sensazione di impotenza nelle madri per non poter assistere fasi di vita complesse che potrebbero dar adito, nei figli, a scelte sbagliate. È in tal senso interessante rilevare come quanto viene percepito come scelta “sbagliata” o “pericolosa” o “auspicabile” cambi in seno all'esperienza migratoria; esperienza che forma lo sguardo e contribuisce a rivedere ruoli, aspettative, posizioni. Ciò alimenta in alcuni casi incomprensioni nel confronto con i familiari lontani.71 Il tentativo di trovare una maniera per portare i figli in Europa espone le donne a tutta una serie di riflessioni sul luogo più “sicuro” dove far crescere i figli. Sono state rilevate percezioni molteplici dell'idea di “sicurezza” (D'Aloisio, 2007; Cancellieri, Scandurra, 2012).72 In alcuni casi ci si sente più tutelati in Italia, ove le strade appaiono meno pericolose rispetto a quelle dei paesi di origine che invece espongono a

71 Mi riferisco, per esempio, al “destino” dei figli (sposarsi piuttosto che studiare etc). Mi sono stati riportati frequenti conflitti con i padri rimasti a casa o con i propri genitori (i nonni) causati da differenti visioni sul futuro e le possibili scelte da contemplare.

72 Uno dei temi che non è stato affrontato in maniera approfondita e che non sarà oggetto di analisi riguarda la percezione di (in)sicurezza vincolata all'immigrazione e alla criminalizzazione dell'immigrato nella società di accoglienza. Si veda tra gli altri Dal Lago, 1998, 1999; Rivera, 2003; Wacquant, 2000.

furti, rapine, sequestri. D'altra parte, sono numerose le testimonianze di persone che si sentono meno sicure in Italia, dove mancano “la solidarietà e la cura” da parte di reti sociali e familiari: ci si sente soli, dunque insicuri. Le città europee appaiono più sicure grazie a una struttura di controllo istituzionale e non dovuto alle relazioni interpersonali, di cui si sperimenta continuamente la mancanza. Tale organizzazione strutturale è stata attribuita “ai tempi moderni”, “al progresso”, alla individualizzazione che caratterizza lo “stile di vita europeo”. Nel contesto di approdo, la frammentazione sociale e lo “spaesamento” acuiscono il senso di insicurezza; mancano punti di riferimento spaziali. Neanche il supporto tra connazionali, per quanto descritto come indispensabile, riesce a ridimensionare una diffusa percezione di solitudine e vulnerabilità. La questione è complicata dal fatto che non tutti i figli, laddove ci siano le condizioni materiali, sono disposti a migrare e a raggiungere le madri, cosa che alimenta nuove fratture sia in coloro che decidono di restare a casa, sia in chi subisce la decisione della migrazione contro la propria volontà. Circostanze altrettanto dolorose si manifestano quando, dopo una lunga migrazione, molte famiglie decidono di rientrare nei paesi di origine, esponendosi in alcuni casi a conflitti con i propri figli che intanto hanno costruito la propria quotidianità nel contesto di approdo e non vogliono metterla in discussione.

Me ne dà testimonianza, tra gli altri, Desideria, che, dopo una difficile crisi matrimoniale, decide di ripercorrere i propri passi e tornare in Colombia; scelta che sua figlia non sostiene in alcun modo e che espone entrambe ad alcune dinamiche estremamente dolorose. Dinamiche differenti ma per altri tratti simili a quelle vissute da Dolores, che si ritrova a vivere una relazione difficile, tesa, con Milagros, sua figlia. Dolores un giorno viene raggiunta dalla telefonata di un familiare che le comunica la morte improvvisa di suo marito e la necessità che Milagros, ormai sola, la raggiunga in Italia. Il suo arrivo, al di là delle difficoltà burocratiche ed economiche, è vissuto da Dolores in maniera traumatica, soffrendo a lungo la sensazione di non “ritrovarsi”; di non “riconoscersi”. Non si vedevano da nove anni. Milagros ha difficoltà nell'adattarsi alla sua nuova vita; alla nuova scuola, all'assenza di tutte le sue amicizie. Sta diventando sempre più silenziosa, ha smesso di mangiare, minaccia continuamente di lasciare gli studi.

Ho rilevato dalle parole di Dolores e di altre donne come, in seguito a lunghe distanze, l'arrivo dei figli comporti il tentativo di riprendere da dove “si è lasciato”, senza grande consapevolezza del tempo che intanto è trascorso. Questo talvolta produce la sensazione di essere “trattati come bambini” in figli che invece si sentono cresciuti. Non sempre, infatti, i surrogati materiali (regali, rimesse) con cui, nelle relazioni a distanza, si tenta di mantenere salda la relazione affettiva (Decimo, 2005) e il benessere familiare (Boccagni, 2009) riesce a garantire vicinanza. Ciò ha un impatto emotivo notevole.

Lo “sforzo” migratorio è spesso vincolato alla possibilità di garantire ai figli la possibilità di studiare. Emerge spesso come le madri guardino allo studio come a uno strumento di emancipazione, desiderando per i propri figli un “riscatto” sociale che talvolta si costruisce su elementi che trascendono le aspirazioni individuali dei figli. I figli dal canto loro non sempre ritengono che la propria felicità e gratificazione personale siano connesse allo studio e alla posizione economica, così come le madri desiderano. Tuttavia, differentemente da quanto riportato in altri contesti italiani (Quierolo Palmas, 2005, 2010), non sono state mai rilevate nel corso della ricerca difficoltà nell’inserimento sociale dei giovani, né testimonianze negative connesse alla scuola e in generale al contesto migratorio. I giovani hanno spesso descritto la complessità del cominciare una nuova vita ma con la consapevolezza di avere maggiore potenziale di integrazione rispetto ai genitori.73

Tornando alle donne, la medesima complessità relazionale riguarda altri vincoli affettivi parimenti “transnazionali”, come la consapevolezza, per esempio, di non accompagnare i genitori anziani nell'ultima fase della vita, o le dinamiche affettive con compagni e mariti. Nonostante i ricongiungimenti familiari siano una pratica diffusa, ho incontrato numerose donne sole che hanno manifestato grande consapevolezza di quanto la distanza possa incidere sugli affetti e “sgretolare” le relazioni. Tuttavia, nonostante le numerose contraddizioni74, l'idea di poter prima o poi ristabilire l'unione affettiva mi è sembrata essere al cuore del progetto migratorio. Una certa fiducia nei sentimenti viene perorata come una pratica di resistenza, come motore che permette di sopportare maggiormente la solitudine e la mancanza. Mi è sembrata significativa la caparbietà con cui una certa idea di 'amore' sia stata enfatizzata e difesa, insieme alla volontà di non arrendersi; di non permettere che i sentimenti sopperissero alle contingenze materiali. Con tale spirito ho visto affrontare tutta una serie di difficoltà anche da parte di coppie ricomposte che sperimentano, per esempio, orari inconciliabili, specie quando uno dei coniugi convive con i datori di lavoro: “facciamo i fidanzatini, ci incontriamo fuori o parliamo al telefono. Ma andiamo avanti, a modo nostro”.