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1. Due dei tanti volti a confronto Desideria e Dolores

1.1 Di 'migranti' e 'immigrati'

Durante gli ultimi quattro anni ho vissuto quella che definirei un'“esposizione” costante alle principali dinamiche che caratterizzano la vita di numerosi immigrati a Bologna. Ciò è dipeso certamente dagli interessi di ricerca che mi hanno spinto a certi luoghi, situazioni e problematiche ma anche e soprattutto da scelte personali di condivisione della quotidianità con persone che stavano -che in alcuni casi stanno- sperimentando la migrazione in Emilia-Romagna. Sto cercando in tal senso di mostrare come i confini tra ciò che è ricerca (intesa come sguardo scientifico) e ciò che è amicizia, famiglia, vita (al di là della ricerca) siano spesso permeabili. Sto cercando anche di dire che in questi anni ho scelto di accompagnare qualcuno nel colloquio da un avvocato, nell'analisi di una strategia per evitare un'espulsione dal territorio italiano; o di studiare una maniera di accesso sostenibile a cure mediche non accessibili. Ho scelto di facilitare la redazione dei documenti -a tratti incomprensibili- necessari alla domanda di un permesso di soggiorno34; o di condividere la ricerca affannosa di un'occupazione per poter soddisfare i requisiti di tale richiesta in questura35. Ho scelto, ancora, di partecipare a confronti sulla propria condizione lavorativa che non si limitavano a far emergere lo sfruttamento subito ma entravano come la lama di un coltello nelle percezioni di una vita di gran lunga meno degna rispetto a quella su cui il progetto migratorio era stato costruito. Ebbene, in tutte quelle circostanze non intendevo esplicitamente fare ricerca, eppure certe mie esperienze hanno contribuito a formare lo sguardo con cui ho osservato (anche) la migrazione dall'America latina.

La percezione che ho avvertito con più frequenza nel corso di questi anni è che l'attuale condizione storico-politica italiana costringa un numero considerevole di persone a una

33 Tema affrontato in maniera più articolata nel quarto capitolo.

34 La normativa italiana in materia di immigrazione non comunitaria prevede due grandi tipi di permessi di soggiorno: permessi a durata limitata (dai tre mesi ai due anni) per motivi di studio, lavoro, familiari e permessi Ce di lungo periodo (acquisibili dopo un periodo di permanenza ininterrotta di almeno cinque anni; il possesso (previa verifica) del livello A2 del Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue e la conoscenza degli elementi fondamentali dell'ordinamento costituzionale italiano).

35 Organo del Ministero degli Interni che in ogni capoluogo di provincia svolge compiti di polizia e pubblica sicurezza.

condizione di perenne sospensione tra il potere e il non potere; tra il fare e il non fare; tra il cedere e il resistere; tra la possibilità di restare e la necessità di partire. E lo fa in maniera violenta, senza alcuna “cura”.

Le procedure burocratiche sono generalmente percepite come complesse e quasi per nulla “accompagnate”. Le attese sono snervanti. Uno dei luoghi che credo rappresenti quanto sto provando a trasmettere sono gli uffici immigrazione delle questure. L'esempio a me più noto è quello di Bologna. Al di là del fatto che manchi una struttura accogliente, nonostante la necessità di trascorrervi molte ore, così come manchi personale multilingue, strumento indispensabile per un certo tipo di servizio, ho più volte rilevato l'assenza di un'organizzazione che permetta una qualsiasi forma di dialogo, di comprensione, di inclusione. Non c'è possibilità di fare domande o di ricevere chiarimenti; non c'è modo di dialogare con l'ufficio, se non inviando una e-mail la cui risposta arriva -quando arriva- dopo diversi mesi. È possibile prendere un appuntamento soltanto attraverso il sito web della questura; non c'è alcuna maniera di negoziare la data e l'orario, né è possibile avere un qualche confronto faccia a faccia rispetto ai documenti da presentare. In sintesi, se non si possiedono gli strumenti per capire quanto è scritto nella pagina web (informazioni per altro non sempre esaurienti), o non si hanno le risorse sociali o economiche per garantirsi un supporto, si è quasi automaticamente condannati a sbagliare, e ritornare e poi sbagliare ancora. Ciò genera un notevole dispendio di tempo, di denaro, di energie, di benessere. Provo a descrivere, attraverso le parole di un prezioso testimone, quella sensazione di costante instabilità, da me rilevata in questi anni innumerevoli volte: “Non è il sistema che ti manda via. È una forma di violenza più sottile.36 Ti rende la vita così difficile; ti esasperano a tal punto che a un certo punto non ce la fai più e decidi tu di rinunciare. Sei continuamente esposto allo scadere del tempo. Non puoi fermarti mai; non puoi riposarti mai. La testa 'frulla' in continuazione. Se non sei in regola con il pagamento delle tasse, o se ci sono problemi col contratto di lavoro, o se non guadagni sufficientemente rispetto ai parametri richiesti, entra in crisi la possibilità di rinnovare i documenti. Le notti trascorrono senza dormire, perché sai che questa diffusa disoccupazione causata dalla crisi, su di te avrà un effetto diverso, non solo economico, ma esistenziale. Questo si ripercuote sugli affetti, sulle relazioni. Tutto sembra essere perennemente appeso a un filo, ogni aspetto della vita. Se per esempio hai un permesso di soggiorno di pochi mesi, anche la tessera sanitaria prevederà un'assistenza di pochi mesi, e tu ti ritrovi a perdere ore anche solo per capire dove andare, con chi parlare, se ti devi rivolgere alle persone di sempre o se devi andare altrove.

36 Si vedano i concetti di violenza strutturale elaborato da Galtung (1969) e utilizzato ampiamente da Farmer (1999, 2004) che, differentemente dalla violenza diretta, si riferisce a quei meccanismi violenti ma silenti in quanto inscritti nelle stesse organizzazioni sociali, dunque naturalizzati e di sofferenza sociale (Bourgois 2008; Bourgois, Schonberg, 2011; Quaranta 2006b) che è l'effetto della modalità con cui l'organizzazione politico-economica esercita la propria influenza sui gruppi più vulnerabili.

Con un permesso di soggiorno breve, se già sei straniero, non ti affittano mica una casa! E anche se trascorrono degli anni, tu vivi sapendo che da un momento all'altro può accadere qualcosa che può farti perdere tutto. Fino all'espulsione. Basta poco per perdere i requisiti, sai? Specie in questo periodo. Possono espellerti. E tu, magari, hai qui tutta la tua vita; quella quotidianità che hai costruito anno dopo anno. Qui ci sono i tuoi sogni, i tuoi desideri, i tuoi amori; qui sei cresciuto e sei diventato uomo. Riconosci le strade, gli odori, le espressioni dei volti: sei a casa. I contributi del tuo lavoro; i frutti delle tue fatiche sono state tutte investite qui, giorno per giorno, ma il sistema può costringerti, per un semplice cavillo burocratico, ad andar via, a tornare in un posto dove senti di non essere più pienamente te stesso. Questo non accade sempre, intendiamoci, ma è una condizione costante di testa e di cuore che ti logora fuori e dentro il corpo, anche quando tutto sembra andare bene”.37

L'attuale crisi economica e le misure di austerità che caratterizzano anche il nostro paese, se non accompagnate da adeguate politiche di sostegno e di sviluppo, rischiano di avere un impatto particolarmente negativo sulle vite di chi è già fragile, oltre a incrementare il numero di coloro che si ritrovano per la prima volta a sperimentare una condizione di povertà. Un'analisi delle politiche economiche di Italia, Portogallo, Spagna, Grecia e Irlanda, rileva come si stia «determinando nei diversi paesi un circolo vizioso: i tagli alle spese operati con lo scopo di raggiungere gli obiettivi europei di riduzione del debito pubblico, stanno riducendo il livello dei consumi e determinano costi sociali elevati, legati al mancato accesso ai servizi da parte di una porzione significativa di popolazione, colpita da disoccupazione in aumento» (Caritas/Europa, 2012).

Tali circostanze che costringono all'emigrazione moltissime persone, ricadono innanzitutto su coloro che non hanno “paracadute”; che non hanno famiglie solide a cui affidarsi; che piuttosto devono continuare a garantire il sostentamento di familiari vicini e lontani; coloro che sono legittimati a restare (sia da parte del sistema di accoglienza che delle famiglie di provenienza) solo se possiedono un ruolo produttivo formale. Chi è in una posizione vulnerabile -italiano o straniero che sia- sente di dover vivere con la valigia sempre pronta, perché potrebbe essere necessario (ri)partire. Ne danno conferma anche i dati demografici che non testimoniano soltanto un crescente tasso di emigrazione di giovani italiani, ma una decrescente presenza degli stranieri in Italia che, dovuto alla crisi economica, scelgono già in partenza altre destinazioni di approdo o lasciano l'Italia alla ricerca di soluzioni più vantaggiose.38 Ciò genera nuove fratture, rinnovate

37 M., tunisino, 40 anni.

38 Sono disponibili numerose fonti tra cui l'Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) (http://www.istat.it/it/archivio/110521) e i Dossier statistici annuali editi da Idos. Rispetto all'andamento dei flussi migratori negli ultimi due anni, si rileva che al 1° gennaio 2013 gli stranieri in Italia sono 4.054.000 (di cui 2.162.000 donne). L'incidenza della popolazione straniera sul totale dei residenti in Italia è del 7,4% con una distribuzione sul territorio molto disomogenea. L'Emilia-Romagna è la seconda regione, dopo la Lombardia, per numero di stranieri residenti ma presenta l'incidenza più alta d'Italia, pari all'11,2%. È da sottolineare che la crescita della popolazione,

sofferenze, ennesime fatiche.

Gran parte delle persone che però io ho incontrato in questi anni ha manifestato una qualche forma di resistenza a tale forza disintegrante. Chi più, chi meno; riuscendo a rimanere o cedendo all'idea di dover andare via; sapendo preservare una forma di benessere o lasciandosi andare alla sofferenza, tutti però hanno testimoniato di soffrire e criticare quell'immaginario secondo il quale lo straniero è, sempre e comunque, quello che “passa”; quello che non agisce, o non parla, o non ama, o non progetta “mai veramente”, a causa di quell'attitudine -naturalizzata, neutralizzata, legittimata- a transitare. Al contrario, in tanti hanno voluto a me manifestare il desiderio di “essere”, di “stare”; di sapere e volere costruire anziché passare, e in quanto tali di voler essere percepiti. È questo tipo di percezione; è questo tipo di rappresentazione che voglio onorare con questa mia scrittura.

È per questo che non riesco a utilizzare la parola migrante, termine politicamente corretto, adoperato in quasi tutti gli scritti italiani di scienze sociali e umane, e che intende trasmettere la natura dinamica, processuale della migrazione. A me tuttavia, tale participio presente dà l'idea di alimentare ulteriormente la tensione verso una condizione migratoria irreversibile e indefinita; di negare la storia, di ridurre la soggettività.39 Scelgo pertanto di utilizzare il termine immigrato, consapevole del fatto che solitamente lo si evita per le connotazioni politiche negative con cui viene spesso utilizzato nella sfera pubblica. Tuttavia il participio passato -accompagnato dalla preposizione di luogo in- mi sembra rendere giustizia a tutti quei percorsi che necessitano una meta di arrivo; quei percorsi che necessitano un'ancora solida. In tal senso scelgo di utilizzarlo, per posizionarmi politicamente nell'appello a un duplice diritto la cui erosione è alla base di una produzione costante di sofferenza e di malattia: il diritto a circolare liberamente attraverso confini geografici e politici, senza dover pagare il sogno di una vita dignitosa con l'oppressione, lo sfruttamento, la reclusione, la tortura; e specularmente il diritto a restare, a quella libertà con cui ogni donna e ogni uomo dovrebbe poter scegliere dove, quando, in che modo e con chi in- scrivere il proprio segno, la propria presenza, la propria storia in maniera indelebile.40

che dipende sia dalle nascite di bambini stranieri (circa 15% del totale di residenti, dato invariato negli ultimi 3 anni), sia dalle iscrizioni dall'estero, ha riportato una riduzione nei flussi di ingresso del 9,3%, dato per l'appunto vincolato allo scenario economico. Inoltre si è assistito a un aumento del 17,9% di cancellazioni di cittadini stranieri dalle anagrafi in concomitanza con la riduzione delle iscrizioni. Tali dati interessano in misura maggiore gli uomini. È inoltre ipotizzabile che la crescita di popolazione straniera registrata sia dovuta anche a una procedura introdotta nel 2012 volta all'emersione di lavoratori irregolari, che dunque siano stati “computati”come nuovi arrivi individui già presenti, anche se non regolarmente. Per un quadro più completo, dovrebbero essere anche contemplati coloro che hanno assunto la cittadinanza italiana (AA.VV., 2013). Vedi anche http://www.istat.it/it/archivio/110521

39 Trovo alcuni tratti comuni con il concetto di universalismo destoricizzato con cui Lisa Malkki (1996) si riferisce alla categoria di 'rifugiato'.

40 A questa scelta contribuisce anche l'utilizzo del termine da parte dei miei interlocutori. Nella maggior parte delle occasioni essi si sono definiti immigrati; in alcuni casi hanno utilizzato la parola spagnola inmigrantes. Solo coloro che avevano familiarità con un'accezione più politica del termine, dovuta probabilmente alla vicinanza a movimenti sociali, associazioni, sindacati, utilizzavano il termine migranti.