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4. Quando a migrare sono le donne

4.2 Tracce emotive e somatiche

La quotidianità, così come è emersa dal resoconto di numerose testimoni, espone a circostanze che paiono incidere in maniera significativa sul benessere e la qualità della vita. Le dimensioni

73 Un elemento che non si è avuto modo di approfondire riguarda appunto il contesto scolastico come possibile motore di integrazione da rileggere alla luce di testimonianze che rilevano l'esistenza di scuole di serie A e B (es. scuole professionali, ad alta frequenza di immigrati, non scelte da genitori italiani).

transnazionali di esistenza richiedono di essere quindi comprese anche alla luce di evidenze emotive e corporee di cui i racconti biografici sono pregni. Vivere in una continua esposizione al cambiamento, all'assenza, alla perdita produce una onnipresente sensazione di “nostalgia” che è tanto meno sopportabile quanto più il contesto di approdo presenta episodi di discriminazione e sfruttamento. Mi riferisco a una discriminazione i cui meccanismi sono velati; che non viene cioè il più delle volte esperita in maniera esplicita, ma emerge continuamente dalle narrazioni che ho raccolto in questi anni. La letteratura antropologica ha ampiamente reso manifesto come incisive relazioni di potere esistono anche in seno a quelle misure apparentemente non repressive che scandiscono le differenti posizioni sociali, lavorative, economiche, giuridiche e che sono rintracciabili nei sistemi del lavoro, della salute, degli apparati burocratici.

Basti pensare che sono stati riportati con grande frequenza accessi a servizi ospedalieri di urgenza per stati d'ansia che non si riuscivano ad arginare. Certamente la complessità delle circostanze affettive può essere meglio compresa se intrecciata agli enormi carichi lavorativi. Gran parte di coloro che si sono definite “badanti” lavora dalle dieci alle quattordici ore al giorno. Chi trascorre la notte con gli assistiti dichiara di non riposarsi quasi mai, a causa della frequente necessità di assistenza anche notturna. Chi invece ha la possibilità di rientrare a casa, non è esente da telefonate notturne che rompono il sonno conquistato a fatica – causa i “pensieri” – da parte degli assistiti “che ne hanno sempre una”. In teoria ogni badante dovrebbe avere due ore quotidiane di pausa che però non cadono mai a un orario fisso, motivo per cui è quasi impossibile organizzarsi e prendere impegni, sia pure una prenotazione medica. Inoltre le due ore di pausa ruotano di frequente intorno alle esigenze dell’anziano assistito (commissioni, spesa, farmacia).

Fisicamente il lavoro come badante è piuttosto duro. Sono stati rilevati con frequenza dolori osteo-articolari che non trovano soluzione. Dolores, per esempio, ha tre ernie nella colonna vertebrale; dice che le venivano giù le lacrime ogni volta che doveva sollevare la nonnina, un carico da 70 kg amplificato dalla resistenza che la signora ci metteva! Al pari di molte altre testimoni, Dolores dichiara l'impossibilità assoluta di prendersi qualche giorno di riposo o di evitare gli sforzi. Dichiara anche una certa incredulità con cui riceve, ogni volta, le indicazioni della sua dottoressa (medico di base); incredulità perché le sembra assurdo che un medico non abbia idea assoluta delle “maniere di vivere dei suoi pazienti”. La dottoressa le “dice quasi come un ordine” di stare a riposo, almeno per un mese, e di fare ginnastica, di andare in piscina, di fare riabilitazione. Dolores – torno a dire che il suo è un caso comune – finisce per prendere scatole di antidolorifici e antinfiammatori “come caramelle” che però hanno scarsa efficacia. È così stanca delle ramanzine decontestualizzate del medico che oramai cerca di passare dall'ambulatorio

di fretta, solo per portarsi a casa le prescrizioni, perché quel tipo di confronto alimenta un senso “di vergogna e di miseria”. Sono circa tre anni che Dolores ha questo dolore; a volte è così acuto che le sembra di perdere la vista. La stessa dottoressa le ha detto di andare al pronto soccorso quando si presentano degli stati acuti. A riguardo, è importante notare – emergerà con maggiori dettagli nei capitoli successivi – il vincolo che lega frequentemente la salute degli immigrati ai servizi sanitari di urgenza e a una gestione 'emergenziale' delle loro condizioni emotive e somatiche. Ciò è almeno in parte dovuto all'incapacità istituzionale di farsi carico delle cause strutturali che stanno alla base di certe manifestazioni di malessere.

Da una parte sono tante le donne che, come Desideria, hanno raccontato di non avere problema alcuno nella fruizione dei servizi sanitari, essendo regolarmente iscritte all'anagrafe locale e disponendo di familiari e amici sempre disponibili per una delucidazione. La stessa Desideria ha affermato in più di un'occasione che “l'Italia ti consuma; che ci sono delle trappole burocratiche che ti spingono a fare come non vorresti. Ero contraria al matrimonio ma ho dovuto farlo di fretta. Ho sposato un italiano. Ora non faccio più file e non ho più quel tipo di preoccupazione. Ho ricominciato a dormire”.

Sono però di gran lunga più numerose le donne che, come Dolores, hanno dichiarato di non aver mai fatto una visita ginecologica in Italia; di non aver mai fatto il pap test o una mammografia; di aver fatto raramente delle analisi ematiche di routine. Non sanno dove e come prendere anticoncezionali e sono convinte che “per una visita specialistica sia sempre necessario pagare”. Dolores prende antidepressivi; tutte le sue conoscenti li prendono. “Sono necessari -dice-. Anche solo per riuscire a dormire, altrimenti poi non riesci a lavorare e non servi75 più a niente”. La gestione sembra essere il più delle volte, utilizzando le sue parole, “fai da te”: certe volte si esagera con le quantità; ci si impaurisce; allora si ridimensionano le dosi integrandole con soluzioni erboristiche come la valeriana e la camomilla.76 “Tristezza” e “nostalgia”, insieme a categorie come ansia, stress, depressione vengono utilizzate per descrivere come quel tipo di lavoro non lasci spazio alcuno alla socializzazione, alla costruzione e/o al mantenimento di relazioni sociali. In una fase della ricerca, con le colleghe del CSI, sono stati utilizzati questionari che contenevano domande su quali fossero i punti di riferimento cui ci si rivolgeva in circostanze

75 “Utile”, percezione utilitaristica del corpo e della persona. Tornerò sul tema nel quarto terzo capitolo. 76 È emerso in diverse occasioni come siano vive conoscenze, pratiche, memorie sull’esistenza e sull’utilizzo della medicina tradizionale, di cui è stata frequentemente affermata l'efficacia, specie da persone provenienti da Perù e Bolivia. “Da noi, anche i medici la usano”. La relazione con i servizi sanitari nel contesto di approdo è però differente. Qui è stata manifestata la consapevolezza di non poter condividere certe conoscenze con i professionisti sanitari che, mettendone in dubbio la legittimità, alimentano una sensazione di “vergogna”. Quando incontrati in ospedale, i miei interlocutori hanno quindi fatto grande attenzione a evitare tali argomenti in presenza di medici o infermieri. Il tema è stato parzialmente ripreso nel secondo capitolo. Tra gli elementi definiti tradizionali reperibili in Italia: violette per la tosse; sangue di drago (pianta o resina) per cicatrizzare ferite e ulcere o per il mal di stomaco; cartilagine di squalo usata come “antinfiammatorio, per dolori articolari, artrite, artrite reumatoide, alza le difese immunitarie”. Molti prodotti vengono inviati invece dai paesi di origine.

di difficoltà: la risposta più comune è stata: “me stessa”, “Dio”, “nessuno”. La sofferenza emotiva è stata collegata esplicitamente, dalle mie interlocutrici, a condizioni di vita tangibili, in uno sforzo evidente a mantenere le manifestazioni somatiche del disagio ben legate alle circostanze materiali di esistenza. Tra le righe si è manifestata una sorta di rammarico connesso all'idea dello sfiorire, di perdere gli anni migliori della propria vita attraverso tale necessario e doloroso logoramento.