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Perché uno screening nazionale potrebbe non essere sufficiente

6. Visioni, percezioni e pratiche dell'emergenza

6.4 Perché uno screening nazionale potrebbe non essere sufficiente

Dalle indagini realizzate è emerso come la maggior parte dei programmi europei continui ad affrontare fenomeni come quello del Chagas attraverso un approccio disease-centred, centrato sulla singola patologia; approccio che ci pare essere incapace di affrontare circostanze socio-sanitarie complesse come quelle che abbiamo riscontrato nel nostro contesto.

Come è già emerso, abbiamo rilevato che sia i professionisti sanitari, sia i latinoamericani disponevano di poche informazioni sull'infezione; che i dati esistenti si basavano su stime di prevalenza poco affidabili, calcolate su banche dati differenti ed eterogenee nei singoli paesi endemici di provenienza. Inoltre, nonostante sia dentro che fuori dai servizi sanitari la presenza dei sudamericani fosse poco percepita, abbiamo rilevato non solo che la migrazione dall'America Latina fosse in aumento, ma anche che la presenza di soggetti privi di documenti fosse notevole, rappresentando una sfida per quelle statistiche con cui il Chagas poteva essere inquadrato (Di Girolamo et al., 2010). È già stato esplicitato infatti come i documenti di soggiorno in Italia siano vincolati al permesso di lavoro, e come l'instabilità lavorativa amplificata dall'attuale crisi economica imponga a molti immigrati un alternarsi anche repentino tra la condizione di regolarità e di irregolarità. Ne deriva che la loro “presenza” nelle statistiche ufficiali non sempre sia verosimilmente contemplata.

Una riflessione altrettanto pertinente riguarda il fatto che l'Italia, in comparazione con altri contesti europei, e dovuto probabilmente alla sua scarsa storia coloniale, manchi di una tradizione solida nel campo della medicina tropicale. Attualmente solo alcuni centri di riferimento sono in

135 Parte delle riflessioni presenti in questa sessione sono stati pubblicati all'interno di un numero speciale della rivista Eurosurveillance dedicato alla malattia di Chagas. Si veda Di Girolamo C., Bodini C., Marta BL., Ciannameo A., Cacciatore F. (2011), Chagas disease at the crossroad of international migration and public health policies: why a national screening might not be enough in AA.VV. (2011) Special Issue on Chagas Disease, Eurosurveillance, Volume 16, Issue 37, 15.

grado di realizzare il test per il T.cruzi, e mancano protocolli standardizzati (su cui tuttavia i centri di riferimento stanno lavorando) (Angheben et al., 2011; Anselmi et al., 2009). Ciò si traduce nel fatto che le attività implementate in Italia abbiano un'estensione geografica limitata, dunque gran parte della popolazione che vive in Italia resta esclusa.

Poiché la maggior parte degli operatori sanitari non sono formati né per sospettare né per cercare l'infezione tra la popolazione residente (italiana e straniera), gli strumenti diagnostici e terapeutici non sono di fatto accessibili o immediatamente disponibili, dunque è possibile immaginare che i casi siano sotto-diagnosticati; anche in Italia è riportata una sotto-diagnosi del 99% (Basile et al., 2011). Quello che ad oggi manca è una certa valorizzazione delle esperienze pilota maturate tale da poter informare delle politiche inclusive ed efficaci su scala nazionale.

In tal senso, non può essere sottovalutato il ruolo centrale che giocano le implicazioni socio- politiche e culturali nell'orientare le percezioni, le reazioni da parte dei soggetti, oltre alle relazioni che essi costruiscono con i servizi sanitari. L'aver dato la parola alle persone, attraverso un approccio incentrato sul paziente, ha permesso di rilevare tutta una serie di bisogni sociali e sanitari che difficilmente trovano asilo nelle normali statistiche o indagini epidemiologiche che vengono realizzate principalmente all’interno di centri ospedalieri.

Data la complessità del fenomeno nel nostro contesto peculiare, è possibile affermare che un approccio esclusivamente biomedico e centrato sulla patologia non solo rischia di essere inefficace nel proteggere la salute degli individui e della comunità, ma può addirittura diventare pericoloso se utilizzato come una misura di controllo piuttosto che come una strategia di promozione della salute. In tal senso non intendo smentire l'importanza degli strumenti biomedici nel controllo della patologia, tuttavia è necessario enfatizzare i limiti di un approccio basato esclusivamente su di essi.

Alla luce delle crescenti migrazioni che stanno diventando un fenomeno strutturale nel nostro mondo globalizzato, politiche di prevenzione e contenimento che si basino soltanto su misure di controllo, rischiano di essere costose (Gushulak, Macpherson, 2010; Weekers, Siem, 1997) e di ostacolare strategie più esaurienti e onnicomprensive, che possano farsi carico di quei bisogni e condizioni -di cui sono state rilevate le percezioni- che sono multi-causali e interconnesse con aspetti socio economici, politici e culturali, così come il Chagas si è dimostrato.

Non possono per esempio essere sottovalutate le modalità di accesso e di fruizione dei servizi sanitari da parte di molti immigrati. Un abbondante letteratura rileva come gli immigrati accedano meno ai servizi, rispetto alla popolazione locale, specie a programmi di prevenzione, tenendo conto di fattori quali le difficoltà linguistiche, la mancanza di informazioni, i vincoli e i tempi lavorativi, la paura (Mladovsky, 2009). Uno status sociale basso rappresenta in se un determinante

di scarsa interazione con il sistema sanitario, in quantità e qualità. Questo, è bene esplicitarlo, non è un problema specifico per i soli immigranti; vale per tutti i gruppi che vivono in una condizione di svantaggio socio-economico, tra cui, tuttavia, attualmente in Italia gli immigrati sono sovra- rappresentati. In tale scenario, emerge come dei protocolli di screening costruiti sui servizi esistenti potrebbero, come ho tentato di rilevare, non essere in grado di raggiungere la popolazione a rischio e risultare una inefficace misura di controllo o di prevenzione. C'è inoltre da considerare che la malattia di Chagas è prevalentemente una condizione asintomatica, dunque la maggior parte dei soggetti infetti non andranno in cerca di assistenza specialistica.

Nel contestualizzare tutte queste riflessioni, c'è da dire che l'attuale scenario politico italiano prevede una legge sull'immigrazione approvata nel 2002 che vincola lo status giuridico dell'immigrato alle esigenze del mercato del lavoro, facendo dell'immigrazione irregolare una caratteristica endemica in Italia, situazione che pare essersi amplificata nella presente crisi economica (Gullà et al., 2009). Nel 2009 il cosiddetto “pacchetto sicurezza”136 ha, tra le altre cose, trasformato in reato l'ingresso e la permanenza in Italia senza regolari documenti di soggiorno; ciò ha fatto registrare anche a Bologna territorio una diminuzione fino al 50% di pazienti nei servizi che offrono assistenza a chi è privo di documenti (testimonianze di operatori). Nonostante sia stato subito chiarito che l'accesso ai servizi sanitari non avrebbe in generale comportato alcuna denuncia, io stessa ho con frequenza rilevato come la situazione giuridico-burocratica produca ancora notevoli timori e confusione tra gli immigrati, inibendo la ricerca di assistenza.

A ciò si aggiunge che anche tra le persone latinoamericane che vivono in Emilia Romagna esistono numerose barriere che le separano dai servizi sanitari. Tra tutte, i miei interlocutori hanno manifestato la mancanza di informazioni sui propri diritti e sui servizi disponibili, oltre agli ostacoli finanziari che contribuiscono spesso a ritardare la cura. Molti di loro hanno esplicitato il timore di un utilizzo politico -in chiave anti-migratoria- di informazioni che vincolino direttamente la propria origine con una condizione di malattia.

Alla luce di tutte queste considerazioni, vale la pena enfatizzare che un approccio di sanità pubblica efficace dovrebbe innanzitutto riconoscere che una valutazione dei fenomeni meramente quantitativa non è sufficiente. Come di recente ha tra gli altri raccomandato il WHO attraverso la Commissione sui determinanti sociali della salute (2008), sta emergendo sempre più chiaramente la necessità di costruire delle conoscenze variegate, con strumenti teorico- metodologici provenienti da molteplici discipline, per essere in grado di saper affrontare la natura complessa (biologica, psico-emotiva, sociale) delle sfide che oggi la sanità pubblica si ritrova ad

136 Per maggiori informazioni si veda

http://www.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/sala_stampa/speciali/Pacchetto_sicurezza/i ndex_2.html

affrontare. Le scienze sociali e umane, con la loro capacità peculiare di “avvicinarsi nel punto più vicino possibile all'esperienza dei soggetti”137, possono fornire un contributo significativo.

Il fenomeno della malattia di Chagas, come molti altri, necessita quindi di una stretta collaborazione multidisciplinare tra esperti di sanità pubblica, clinici e scienziati sociali. Questo tipo di approccio ha notevolmente aiutato me e le mie colleghe nell'inquadrare la complessità del fenomeno e nel rilevare aspetti che sarebbero rimasti oscuri a uno sguardo epidemiologico convenzionale.