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Gender in scientific communication Letizia GABAGLIO

2. Le donne nelle redazion

Fin qui la prima metà della storia, la seconda riguarda invece chi le notizie le produce e le riporta. Sebbene non possa essere data per scontata una maggiore attenzione verso una corretta rappresentazione della donna e l’avversione per i luoghi comuni o i facili stereotipi da parte delle giornaliste, è dimostrato che la maggiore o minore presenza delle donne in un ambito professionale ha delle ripercussioni sul modo in cui viene condotta quella professione. In questa prospettiva i dati del GMMP 2010 che riguardano l’Italia mostrano anche dei lati positivi: le giornaliste rappresentano infatti il 55% (nella rilevazione precedente erano il 41%), con una presenza sopra la media in televisione e radio. Spesso, però, si occupano di temi considerati “soft”, come spettacoli, società, salute; le notizie considerate “hard” (politica, economia, esteri) sono ancora largamente in mano a reporter maschi. Ma per la prima volta, sottolineano le autrici nel Summary del Report dedicato all’Italia, è possibile apprezzare una correlazione positiva fra il numero crescente di giornaliste e l’attenzione ai temi che riguardano specificatamente alle donne, così come tentativi di affrontare e sfidare gli stereotipi (Azzalini et al. 2010).

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Come in altri ambiti professionali, le donne nel mondo della comunicazione fanno esperienza di segregazione orizzontale e verticale. Nel primo caso lo testimoniano i settori dove maggiore è la presenza delle donne (spettacoli, società, salute); nel secondo la scarsa presenza di donne ai vertici delle testate giornalistiche. Secondo i dati riportati da DataMediaHub, hub di analisi sui media e sulla comunicazione in Italia, a gennaio 2015 sui 65 quotidiani censiti da ADS (l’associazione che certifica la diffusione della stampa) sono soltanto quattro le donne al comando di una redazione e di queste una addirittura è a capo di quattro testate. Si tratta di Norma Rangeri direttrice del

Manifesto, Pierangela Fiorani a capo di 4 quotidiani del gruppo editoriale L’Espresso

(Il Mattino di Padova, La Nuova di Venezia e Mestre, La Tribuna di Treviso e Corriere delle Alpi), Lucia Serino per Il Quotidiano della Basilicata e Anna Mossuto del Corriere dell’Umbria (Cinquepalmi 2015). Dei 43 settimanali censiti da ADS e in edicola a marzo 2015, invece, 11 sono diretti dallo stesso giornalista (un direttore per più testate): Sandro Mayer ne dirige 4, Aldo Vitali 3, Alberto Sabbatini 2 così come Annalisa Monfreda. Rispetto ai quotidiani, quindi, la disparità di genere nella direzione di un settimanale si assottiglia: 17 uomini (di cui 3, come abbiamo visto, alla guida di più di un giornale) contro 15 donne (soltanto una dirige due settimanali) (Cinquepalmi 2015). E anche il web non ci offre una maggiore inclusione: considerando le testate giornalistiche all digital più seguite non troviamo alcuna donna al comando. Insomma, nonostante l’aumento della presenza femminile nel mondo dell’informazione, che si registra anche nelle scuole di giornalismo e nei master professionalizzanti, il potere è ancora saldamente nelle mani degli uomini, oggi come in passato. Dunque si concretizza, anche nel giornalismo, quello che dai sociologi americani è stato definito il “glass ceiling”, un soffitto di cristallo che impedisce alle donne di salire ai piani alti della gestione dell’informazione, restando sempre subalterne alle decisioni maschili in fatto di temi da trattare sui media, di punti di vista, di linguaggio e di stile dei servizi.

Il giornalismo scientifico si pone all’intersezione delle due segregazioni – orizzontale e verticale – e ci restituisce un panorama ancora più cupo: nessuno dei responsabili degli inserti salute e scienze dei principali quotidiani nazionali è donna, nessuno dei direttori dei mensili che si occupano di scienza e innovazione è donna. Di contro, alcuni dei mensili che si occupano di benessere e puericultura hanno un direttore donna. Va meglio se ci rivolgiamo a Internet: le testate giornalistiche di informazione scientifica all digital dirette da donne sono diverse e anche piuttosto autorevoli. Nonostante questa palese disparità, la consapevolezza dell’esistenza di un problema di genere nell’ambito del giornalismo scientifico in Italia non è ancora alta. Segnali di un maggiore interesse a questo tema vengono dagli Stati Uniti dove, grazie a un finanziamento della National Association of Science Writers, a luglio del 2014 il Massachusetts Institute of Technology ha ospitato l’incontro dal titolo “Solution 2014: Women in Science Writings” nel quale sono stati presentati alcuni dati relativi agli Usa che non fanno che confermare l’esistenza del problema. Facciamo due esempi. Secondo il Women Media Center, ente di monitoraggio e di lobby per la presenza delle donne sui mezzi di informazione, a diffondere le notizie di tecnologia e di scienza sono per la maggior parte reporter uomini. Nel 2013 le donne hanno prodotto solo il 35% delle news di tecnologia e il 38% di quelle di scienza, mentre nel campo della salute si registra praticamente la parità di genere (WMC 2014).

Da un’indagine condotta sulle storie apparse sul New York Times fra gennaio e febbraio 2013 dal gruppo di ricerca di Deborah Blum, professore di giornalismo alla University of Wisconsin-Madison, emerge poi che nelle news di scienza sono stati citati 21 uomini contro 5 donne, in quelle di tecnologia 70 uomini contro 11 donne, in

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quelle di salute 65 uomini contro 40 donne. Ma l’incontro di Cambridge è stata anche l’occasione per presentare altri dati, quelli relativi ai comportamenti discriminanti subiti dalle giornaliste, in particolare da quelle che si occupano di scienza, tecnologia e salute. Sempre il gruppo di ricerca di Blum ha condotto una ricerca su un campione di 422 giornalisti scientifici iscritti alla National Association of Science Writers, alla

Society of Enviromental Journalist e all’Association of Health Care Journalist per

capire se ci fossero differenze di genere nel trattamento economico e nell’esperienza lavorativa. I risultati mostrano che gli uomini guadagnano mediamente di più, così come succede in tutti i settori, e che la maggioranza sia degli uomini sia delle donne è convinto che esistano dei bias di genere nella loro professione. In più, una consistente percentuale di donne ha riferito episodi di sessismo (Hess et al. 2014).