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Coping with difficult science: the challenge of the bio-objects

1. Gli oggetti biologici: “una buona storia da raccontare”

Le controversie generate dagli oggetti biologici richiedono una comunicazione scientifica corretta e contemporaneamente attenta alle richieste da parte della società (Maesele et al. 2013). Per questo, con il loro carico di implicazioni bio-sociali, essi sono eccellente materia su cui cimentare la comunicazione scientifica e le esperienze di democrazia partecipativa. Varie esperienze di comunicazione scientifica si rivolgono sempre di più al teatro, innanzitutto perché la scienza può fungere da fertile fonte di idee e metafore oltre che di interessanti argomenti. Dal canto suo, perché il teatro è strumento adatto a diffondere concetti scientifici al pubblico, come ampiamente sperimentato nelle scuole dove è stato adottato oltre che per insegnare le discipline scientifiche, per appassionare le scolaresche a queste materie (Wieringa et al. 2011).

In genere, nelle esperienze in cui la scienza ha ispirato il teatro, la scrittura e la messa in scena sono svolte da chi ne cura la regia. Tuttavia, si sta sviluppando un movimento interdisciplinare, noto in Inghilterra come “Sci-Arts movement”, che promuove una maggiore collaborazione tra scienza e arte, in cui “chi fa scienza” è coinvolto attivamente nello sviluppo della performace teatrale (Dowell and Weitkamp 2011). E’ stato osservato che le persone appartenenti alla comunità scientifica propense a cimentarsi in questa esperienza sono in genere motivate da un’attitudine positiva verso il public engagement, mentre l’atteggiamento ostile dei loro paria verso il public

engagement è una fonte di inibizione. Inoltre, è stato notato che tanto le persone “di

teatro” che “di scienza” inclini a collaborare tra loro sono soggetti con elevate sensibilità interdisciplinari: i primi avendo interesse nella scienza e nelle nuove idee ed essendo propensi a cimentarsi con argomenti non facili; i secondi essendo curiosi delle nuove esperienze che il teatro può offrire, aperti a confrontarsi con nuovi linguaggi e generosi nel discutere delle proprie discipline con i “non esperti” (Dowell and Weitkamp, E. 2011).

Riteniamo che, in un’esperienza di incontro tra scienza ed arte, il successo sia raggiunto quando non è distinguibile se sia la scienza ad offrire all’arte argomenti su cui cimentarsi o se l’arte sia un veicolo per comunicare concetti scientifici e opportunità di riflessione al pubblico. Per raggiungere questo risultato, “avere una buona storia da raccontare” è sicuramente un necessario punto di partenza. Gli oggetti biologici sono una fonte straordinaria di argomenti scientifici e bio-sociali. Nella nostra esperienza al MUSE di Trento, per coinvolgere il pubblico in questioni cruciali riguardanti l’impatto della scienza nella società e in particolare sul significato bio- sociale delle scienze biomediche, è stato interessante sperimentare, quale nuovo format, la conferenza scenica. In questo modello di scienza-teatro i ruoli rispettivamente di arte e scienza rimangono distinti in una gradevole interazione tra narrazione scientifica e

performance artistica in grado di coinvolgere ed emozionare. Stimolando razionalità ed

emozione nei pubblici, si possono ottenere aumento di conoscenza e nuovi stimoli per far riflettere e intavolare proficui dibattiti sulla scienza. Inoltre, è possibile calibrare ad

hoc le informazioni che si intendono trasmettere ai vari pubblici (Martinelli 2014).

“ETERNeETÀ: la vecchiaia può attendere” (Figura 1) è nata dall’incontro della sottoscritta con la sensibilità di una regista (Elena Marino) e un’attrice (Silvia Furlan)

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verso le problematiche proposte dalle biotecnologie, in particolare dalle applicazioni con impatto maggiore sulle donne. In questa conferenze scenica, alternando parti recitate e narrazioni con supporti multimediali, un’attrice e una ricercatrice confrontano punti di vista ed emozioni sugli intensi legami tra corso (“naturale”) della vita e innovazioni scientifiche. Il pretesto è il tentativo di rispondere a una questione centrale dei “riti di passaggio” presenti nelle nostre vite, quali l’invecchiamento: la scienza può consentirci di sfuggire ad un ciclo biologico “a termine”? e, soprattutto, può aiutarci ad evitare l’inesorabile decadimento che forse ci inquieta più della morte? Il risultato è uno spunto di riflessione, gustoso per il pubblico, su un fenomeno biologico -aging- che interessa il nostro corpo e la società in cui viviamo. Ma nell’ironico dialogo tra “scienza” e “arte’” l’invecchiamento è soprattutto uno spunto per analizzare l’impatto dell’innovazione tecnologica sulla società, mediante la rappresentazione di alcuni oggetti biologici (clonazione, immortalizzazione cellulare, bio-banche e de-estinzione) e la teatralizzazione delle aspettative che queste suscitano nelle nostra vite (Martinelli 2014).

Figura 1. ‘ETERNeETÀ: la vecchiaia può attendere’, locandina della prima rappresentazione

proposta al pubblico a Trento, il 16 aprile 2013.

Tra le “buone storie da raccontare”, quale esempio intrigante di un processo di bio- oggettificazione con notevoli impatti scientifici, sociali ed economici, è risultato eccellente il caso delle cellule HeLa (Figura 2). Si tratta della prima linea cellulare immortalizzata costituita nella seconda metà degli anni 1950 dal raro carcinoma della cervice uterina di Henrietta Lacks, la cui storia è divenuta nota al largo pubblico in seguito alla pubblicazione del libro “La vita immortale di Henrietta Lacks” scritto da Rebecca Skloot e pubblicato da Adelphi nella versione italiana nel 2011. Di origine temibile (un cancro mortale) ed emarginata (da una donna nera e povera), con la loro

Martinelli / Trattare la scienza “difficile”: la sfida degli oggetti biologici 161

capacità straordinaria di contaminare altre colture e di diffondersi nei laboratori di tutto il mondo per diventare oggetti biologici di straordinario valore per il progresso della conoscenza e del benessere umani, le cellule HeLa generano spunti di riflessione circa il significato, il valore e la rappresentazione di eccezionale, individualità, differenza e proprietà (Svalastog and Martinelli 2013). Inoltre, esse risultano autentica lente attraverso cui osservare parole chiave della nostra società multiculturale e complessa, quali “diversità” e “contaminazione”.

Figura 2. ‘Una buona storie da raccontare’. Il caso delle cellule HeLa, per gli aspetti scientifici e bio-sociali

che offre, è risultato uno spunto molto stimolante per il coinvolgimento -anche emozionale- del pubblico. A questa narrazione ha fatto seguito la trattazione delle bio-banche, per cui è stata individuata una forma scenica ironica ed efficace, basata sulla fisicità dell’attrice, che ne ha anche previsto l’avvolgimento in una

pellicola trasparente per preservare gli alimenti in surgelatore.