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75 Scienza, genere e società. Prospettive di genere in una scienza che si evolve

A cura di S. Avveduto, M. L. Paciello, T. Arrigoni, C. Mangia, L. Martinelli CNR-IRPPS e-Publishing, 2015

doi 10.14600/978-88-98822-08-9-10

Introduzione

Lucia MARTINELLI1

L’integrazione della scienza nella società è indispensabile per costruire una società della conoscenza aperta, efficace e democratica. Evoluzioni sono già in corso, ma sono richiesti ancora molti sforzi affinché i soggetti coinvolti nella produzione della conoscenza scientifica possano trovare punti di incontro in cui interagire in modo responsabile e costruttivo con chi ne fruisce. E’ necessario analizzare: come si stanno modificando i rapporti tra la scienza e la società; quale è il ruolo della comunicazione; quale ruolo hanno le donne in questo processo; quale significato e attualità riveste la critica di genere alla scienza.

Questi sono gli aspetti su cui si focalizzano i contributi della sessione. Sono proposte riflessioni ed esperienze di chi in prima persona, in ruoli e ambiti diversi e con differenti modalità, fondendo rigore a creatività, sperimentando nuovi percorsi e nuovi linguaggi trasferisce la scienza dal laboratorio alla società come risultato della propria ricerca, fonte di nuova conoscenza, sapere da disseminare.

Occorre innanzitutto riflettere sulle opportunità che il nuovo contesto della

scienza può offrire alle donne. Come sottolinea Flavia Zucco, se regole, tempi,

modalità e stereotipi le hanno escluse dalla scienza come tradizionalmente strutturata, l’attuale complesso panorama culturale potrebbe meglio accoglierle, richiedendo approcci interdisciplinari per superare quelle fratture tra hard science e humanities e tra intransigenza e fantasia che avevano allontanato la scienza dalla società. La strada da percorrere è ancora molta, soprattutto quando -per scardinare poteri costituiti- è richiesto di intervenire su criteri di selezione, valutazione, assegnazione di risorse e trasparenza nelle procedure decisionali.

Parte del cammino riguarda anche noi stesse. Nel faticoso ruolo di ‘minoranza’ e quando continui ostacoli si interpongono tra ‘desiderio di realizzare’ e ‘permesso di fare’, occorre costantemente rafforzare la fiducia nelle proprie capacità e potenzialità per assumere con serenità il proprio ruolo nell’attività di ricerca e appropriarsi dei successi che otteniamo, poiché la ‘sindrome dell’impostore’ è in pericoloso agguato, con ripercussioni negative sulla vita professionale, in particolare delle donne. Quando ci sentiamo in colpa per traguardi raggiunti (per nostri meriti!) poiché li percepiamo come immeritati, è utile parlarne: l’analisi e i suggerimenti di Monica Zoppè sono preziosi per comprendere se siamo vittime di questa sindrome e come fare per non restarne sopraffate.

Esempio virtuoso di ‘successo consapevole’ è l’esperienza delle ricercatrici della rete LTER-Italia che, con le sue innumerevoli stazioni di ricerca su tutto il territorio nazionale, riguarda le Ricerche Ecologiche a Lungo Termine (LTER) di siti terresti e acquatici. Come riportato da Mariangela Ravaioli et al., il ruolo delle donne nella costituzione e nel coordinamento della rete è stato determinante nella gestione dei siti e

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MUSE – Museo delle scienze, Corso del Lavoro e della Scienza 3, 38122 Trento. [email protected].

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nelle attività di ricerca, nel fondere competenza scientifica, rigore ed energie con capacità relazionale, pazienza di perseguire obiettivi a lungo termine e sensibilità nel riconoscere i limiti umani nell’interpretare fenomeni intrinsecamente complessi e non lineari.

Mentre con fatica le donne ottengono buoni risultati nella scienza, la tecnologia, in alcuni casi e sovente negli usi commerciali, sembra minacciare l’autodeterminazione e la libertà delle donne. Questo, nell’analisi di Anna Grazia Lopez, è particolarmente evidente nel processo di medicalizzazione dei corpi femminili messa in atto dalle tecnologie della riproduzione e dalla chirurgia estetica e plastica che, attraverso la manipolazione dei corpi, si insinuano sin nell’intimo dell’esistenza delle donne, modificandone le biografie e diventando forme di controllo. Questo succede, ad esempio, quando i diritti del feto rischiano di superare quelli della madre e dove la chirurgia estetica e plastica, facendo leva sui ‘difetti’, insinua sensi di ‘inadeguatezza’ e ‘mancanza’. Una cultura attenta all’educazione alla corporeità attraverso modelli di formazione di tipo embodiment è proposta come risposta all’impatto che le nuove tecnologie possono avere sugli aspetti più intimi dell’esistenza.

L’irrompere delle innovazioni della tecnologia nelle nostre vite genera apprensione. La valutazione del rischio è scienza complessa e spesso la comunità scientifica è divisa. Se non correttamente gestito, il trasferimento tecnologico procura diffidenza verso chi governa le politiche della scienza, verso chi ne trae profitto e verso la comunità scientifica stessa. I mezzi di comunicazione, Internet e i social network, mentre diffondono informazioni, si fanno anche megafono della diffidenza della società verso la scienza e possono generare confusione. Come è possibile per ‘i non addetti ai lavori’ interpretare dati scientifici contradditori? come discriminare nell’information overload in cui siamo avvolti quali sono le fonti attendibili? Antonella Nappi, presentando dati controversi e certamente non unanimemente condivisi, ci racconta come un gruppo di donne che si incontrano presso l’assessorato alle pari opportunità del Comune di Milano cerca di fare chiarezza sui rischi per la salute associate alla tecnologia, in questo caso, l’elettromagnetismo. A questi contributi focalizzati sul ruolo delle donne nella scienza, accostiamo una prospettiva originale riguardo la questione di fondo del concetto di genere (nella scienza e non solo): l’analisi di Leonardo Caffo sull’antropocentrismo, in cui il filosofo propone il postumano quale strumento per ridiscutere dalle fondamenta il paradigma antropocentrico e superare categorie e piani di realtà etici volti a organizzare il mondo da un punto di vista sociale e politico.

L’assunzione di responsabilità da parte di tutti gli attori coinvolti nella scienza è una condizione indispensabile in una società democratica che richiede di riflettere su responsabilità politiche e etiche. Elena Pulcini ci propone la sua analisi nel campo ecologico dove il caso della crisi ecologica (global warming, erosione delle risorse, perdita della biodiversità), coinvolgendo il destino dell’umanità e del pianeta, punta il dito sul problema delle conseguenze del nostro agire. La filosofa denuncia il ‘rassicurante oblio’ di tutti gli attori della società a fronte di un’angoscia diffusa che non produce risposte e tantomeno una vera e propria mobilitazione. Ricordando la riflessione femminile e femminista, propone lo ‘slittamento dalla responsabilità alla cura’ quale decisivo passaggio per dare risposte alle patologie e alle sfide del nostro tempo.

Nella visione responsabile della ricerca e dello sviluppo tecnologico, la

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comunicazione rispecchia la cultura di una società e la può al contempo influenzare, contribuendo alla sua formazione. Nel caso della scienza, chi può/deve parlarne? con quali modalità e in quali luoghi? Quali contributi possono apportare le donne?

Letizia Gabaglio ci propone un esame dei media come punto di osservazione delle questioni di genere analizzando la presenza delle donne come soggetti che danno le notizie e come oggetti delle notizie. Sulla base di dati internazionali e nazionali, rileva che, in generale, rispetto agli uomini, la presenza delle donne nelle notizie è ancora riservata al ruolo di opinionista più che di esperta e in Italia, nel mondo dell’informazione, le donne sono marginali e facilmente marginalizzate, situazione particolarmente evidente nella scienza e soprattutto nelle hard science. Oltre alla segregazione nelle carriere delle donne, questo ‘soffitto di cristallo’ nella comunicazione produce anche una distorsione della realtà e quindi un racconto parziale degli eventi.

Le donne sono molto presenti nella comunicazione negli enti di ricerca e questo ruolo rappresenta una nuova interessante prospettiva di lavoro. Queste figure gestiscono strumenti chiave per rafforzare la collocazione delle donne nella scienza che riguardano anche il linguaggio, la promozione (o meno) dei successi delle ricercatrici, le scelte fotografiche e dei testimonial degli strumenti comunicativi tutti i canali di promozione dell’istituzione, sia esterna sia interna all’organizzazione (annali, siti web, comunicati stampa, eventi per la cittadinanza, momenti educativi ecc.). Sulla base della propria esperienza di comunicazione istituzionale anche in progetti ad hoc, Giuliana Rubbia ribadisce l’importanza di adottare con convinzione buone pratiche comunicative che abbandonino in primis linguaggio sessista e stereotipi.

Nel vasto panorama della conoscenza, sono molteplici le arene in cui la conoscenza può essere diffusa, condivisa e discussa con i vari pubblici. Tra queste, i musei delle scienze sono luoghi ottimali. Tra i vari strumenti di comunicazione, i social

network, come evidenzia Elisa Tessaro, hanno un ruolo sempre più rilevante per

l’istituzione museale, in quanto potente canale di relazione con il proprio pubblico. Grazie ai social i musei possono raggiungere un vasto pubblico sul territorio, diventando preziosi sensori per identificare desideri e preoccupazioni delle comunità. Gli enti culturali stanno apprezzando sempre più i vantaggi che derivano dalla partecipazione a iniziative condivise e alla costruzione di una strategia di comunicazione digitale. Si sta affermando il/la digital media manager, una professionalità emergente nella comunicazione. Oltre alle conoscenze tecniche delle varie piattaforme online, questa figura necessita di flessibilità, capacità di invenzione, curiosità e originalità nel re-interpretare continuamente la missione e i valori della propria istituzione... qualità che come abbiamo visto sopra ben si addicono alle donne.

I musei della scienza sono anche ottime locations per sperimentare nuove forme di comunicazione scientifica. Lucia Martinelli popone la ‘conferenza scenica’, sperimentata al MUSE di Trento, quale strumento per trattare la ‘scienza difficile, difficile soprattutto per le controversie che suscita quando lascia il laboratorio e entra nelle nostre vite. In questa forma di teatro-scienza, scienza e arte si confrontano -con ruoli distinti- in una gradevole interazione tra narrazione scientifica e performance artistica in grado di coinvolgere ed emozionare. Si trovano ‘buone storie da raccontare’ negli oggetti biologici, quei prodotti dell’innovazione biologica (trasferimento genico, clonazione, biologia sintetica, bio-banche), che irrompono nelle nostre vite – soprattutto delle donne (procreazione medicalmente assistita e non solo) – generando dibattiti e controversie, obbligando a interrogarci sul nostro rapporto con la scienza e dimostrando le contraddizioni spesso presenti tra trasferimento tecnologico e società.

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La scienza offre ‘buone storie’ anche per la letteratura, anche quando lo scopo non è diffondere conoscenze o divulgare, ma costruire narrativa su solide basi scientifiche. Un ulteriore modo per avvicinare la scienza alla società. Adriana Albini (nota anche con lo pseudonimo Adrienne B. White) ci racconta la sua esperienza di ricercatrice con grande talento anche come scrittrice di vari generi di romanzo scientifico: autobiografico, noir, giallo e perfino rosa. Il suo contributo è un’appassionante sintesi dei suoi libri, in cui scienza, mistero, amori e delitti si intrecciano invogliandoci a cercare come le storie ‘andranno a finire’. Riflettendo sul perché spesso ‘persone di scienza’ si danno alla penna, sottolinea che letteratura ‘di genere’ e scienza medica (di genere?) parlano, in fondo, linguaggi molto simili. Ed entrambe richiedono slancio creativo. Come sarebbe possibile, appunto, una scienza senza immaginazione?

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A cura di S. Avveduto, M. L. Paciello, T. Arrigoni, C. Mangia, L. Martinelli CNR-IRPPS e-Publishing, 2015

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