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women’s bodies and education Anna Grazia LOPEZ

3. La proposta pedagogica

Le forme di condizionamento cui si è sottoposti e che rappresentano quelle forze eterocentriche alle quali spesso non si riesce a rispondere efficacemente, dipendono da una difficoltà delle donne di parlare di se stesse, di dire ciò che realmente desiderano, a partire dal proprio corpo. L’antinomia corpo-mente, natura-cultura, non caratterizza solo il modo di agire e di fare di chi fa scienza ma anche di una cultura che ha visto progressivamente uomini e donne allontanarsi dalla loro datità. La pedagogia può rispondere a tale forma di condizionamento che assume sempre più i caratteri di un’emergenza formativa, promuovendo presso le istituzioni formative, modelli educativi improntati a una visione organismica della mente e, dunque, fondati sulla relazione transattiva tra dimensione biologica ed esperienza vissuta; modelli che si rifanno a una visione ecologica del processo formativo e che propongono l’integrazione di quegli aspetti che la cultura occidentale ha voluto fossero disgiunte: mente-corpo, logos-eros, natura-cultura, concependo il corpo come unità biopsichica ma anche come sistema autopoietico.

I corpi si ammalano ma sono spesso in grado di curare se stessi, di guarire. I corpi hanno la propriocezione, hanno coscienza di sé. I corpi hanno bisogni fisiologici. I corpi hanno emozioni. C’è tutta una vita interna che fa del corpo un sistema che si autoproduce e permette il dispiegarsi delle caratteristiche chiave di ogni sistema vivente, che è il mantenimento della propria organizzazione cioè la preservazione della rete di relazioni che lo definisce come unità sistemica […] Il corpo è una frontiera, sempre in costruzione, fra enterocettivo e propriocettivo (Borghi et al).

Un corpo così inteso è “materia dotata di memoria” (Braidotti 2002) che colloca l’individuo in uno spazio e in un tempo dai quali dipende il processo continuo di costruzione della soggettività, perché è sul corpo che vengono a sovrapporsi e a materializzarsi quelle molteplici variabili quali il sesso, l’identità biologica, l’appartenenza etnica ma anche quella sociale, culturale ed economica e che finiscono per determinare l’esperienza e costruire l’identità di ciascuno.

Nel caso delle identità femminili, secondo Linda Nicholson dovremmo pensare alla donna come a una mappa di similarità e differenze che si intrecciano vicendevolmente. All’interno di questa mappa il corpo rappresentato come un «attaccapanni» su cui appoggiare, sovrapporre «diversi manufatti culturali, in particolare quelli della personalità e del comportamento» (Nicholson 1996) non scompare, anzi diventa una precisa variabile biologica e storica cui vanno riconosciuti significati e valori potenzialmente diversi, dipendenti anche dal significato politico che si vuole attribuire all’essere donna. Per cui il corpo si apre al mondo esterno grazie al suo essere permeabile, dando la possibilità all’individuo di risignificare continuamente l’esperienza che diventa rappresentativa di un punto di vista incarnato. Ciò ci porta ad affermare che l’esperienza non è pura ma, piuttosto, è l’organizzazione e

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l’interpretazione delle percezioni e dei significati costruiti nel corso delle pratiche discorsive. In tale prospettiva la costruzione della nostra identità non dipende né totalmente da noi stessi, né è data totalmente a priori dalla società, in relazione al ruolo che socialmente si ricopre. Piuttosto l’identità, intesa come la percezione che un individuo, sia esso uomo o donna, ha di se stesso e delle proprie caratteristiche, è prodotta dal quel processo dialogico che utilizza i linguaggi (quello verbale ma anche quello della gestualità, dell’arte, ecc.) per rapportarsi agli altri e per sviluppare, nel corso degli scambi, opinioni, atteggiamenti sia verso le cose che ci circondano sia verso noi stessi.

Significa anche, però, assumere il corpo come proprio destino. Il che non vuole dire che dobbiamo «consegnarci alla datità biologica» ma, piuttosto, metterci in ascolto delle sue trasformazioni al fine di trovare «nuove indicazioni di senso e di esplorazione di sé e del mondo» (Mannuzzi 2006). Si tratta, in altre parole, di dare voce a ciò che la cultura ha voluto fosse in silenzio ovvero il corpo, quello vissuto, il corpo che non è uno strumento di cui ci si serve per relazionarsi al mondo ma per “essere nel mondo”: lo spazio in cui mi muovo acquista significato perché è il mio corpo che si muove in esso. Ciò che percepisco condiziona il mio agire e, dunque, le mie intenzioni, i significati che attribuisco ai contesti intesi come ambienti fisici ma anche come luoghi di relazioni, significati che partono da “sensazioni” e che risvegliano memorie.

Bibliografia

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Le prospettive delle donne nella scienza