2. Dalla parte del soggetto: la fisiologia del criterio
2.2 La dottrina della symmetria ton poron
Come è emerso dalla sezione precedente, la capacità di sentire o percepire ha origine in quelle particolari aree del corpo che costituiscono gli organi sensoriali, aggregati di atomi e pori che, come spiegherà Lucrezio, differiscono tra loro e a seconda della specie, quando non addirittura all’interno del medesimo individuo, per disposizione atomica e dimensioni (DRN IV, 649-670). Gli eidola, ai quali Epicuro riserva altresì l’importante appellativo di typoi, impattano tali organi di senso, “urtandone” i pori, e, di conseguenza, attivando la sensazione (o il pensiero, qualora l’organo interessato sia la dianoia). Come vedremo in seguito, Epicuro, riferendosi alla messa in moto del meccanismo percettivo
88 Cfr. Verde 2010a, p. 191. 89 Ivi, p. 192.
90 Cfr. anche DRN III, 624-626. Il rapporto di reciprocità tra anima e complesso atomico che si evince tanto
dal dettato di Epicuro quanto da quello di Lucrezio restituisce una soluzione antitetica a quella offerta dall’insegnamento platonico, per cui era proprio l’incorporeità dell’anima a fungere da condizione della sua separabilità dal corpo.
91 Per la traduzione dei versi del De rerum natura si farà riferimento, salvo diverso avviso, al lavoro di
Canali (Dionigi 1994). Interessante anche quanto leggiamo ai versi 359-369 del medesimo libro, in cui Lucrezio, al fine di chiarire quanto asserito nel passo ricordato sopra, invita il lettore a non ritenere che i nostri occhi siano paragonabili a delle porte, quasi che essi non potessero vedere nessuna cosa, cosicché «per essi l’animo guarda come attraverso battenti disserrati (per eos animum ut foribus spectare reclusis)» (360). Se così fosse, infatti, «sembra evidente che, esclusi gli occhi, l’animo dovrebbe vedere / meglio le cose, quasi fossero stati tolti dei battenti (iam magis exemptis oculis debere videtur / cernere res animus
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(o dianoetico) parlerà di “atti di applicazione” (epibolai) dei sensi (ton aistheterion) o della mente (tes dianoias) sul materiale percettivo (da cui il prefisso epi)92. Ciò che preme rimarcare in questa sede, tuttavia, è che, affinché si dia sensazione, non è sufficiente che dalla superficie degli oggetti si distacchino delle “masse” (ogkoi), ma è necessario che tali masse siano
ἀποφερόμενοι σύμμετροι πρὸς τοῦτο τὸ αἰσθητήριον κινεῖν, οἱ μὲν τοῖοι τεταραγμένως καὶ ἀλλοτρίως, οἱ δὲ τοῖοι ἀταράχως καὶ οἰκείως ἔχοντες.
«proporzionalmente costituite in modo tale da muoversi verso l’organo sensoriale, alcune tali da provocare turbamento e una sensazione fastidiosa, altre assenza di turbamento e una sensazione gradevole» (Hrdt. 53).
Seppur non esplicitamente menzionata, a essere chiamata in causa in questo passo è la cosiddetta dottrina della symmetria ton poron, «della corrispondenza cioè che esiste tra la struttura atomica del soggetto recipiente [...] e gli oggetti della sensazione e della percezione mentale»93. Epicuro se ne occupa all’altezza delle colonne XXII-XXIV del XXXIV libro dell’opera Sulla natura, in cui leggiamo:
« ... (è necessario che) nei passaggi e nelle transizioni ci sia una certa simmetria dei pori (ton
poron symmetria), e per alcuni immediatamente, dal momento che sono adatti, per altri no,
... sono, voglio dire, ... della mente ... imperturbabilmente ...» (Nat. XXXIV, col. XXII Leone).
Come spiegato da Leone nel suo commentario al XXXIV libro, Epicuro è qui intento a spiegare come la corrispondenza tra la struttura atomica del soggetto senziente e quella degli oggetti della percezione faccia sì che durante il sonno, nei passaggi e nelle transizioni, i simulacri provenienti dall’esterno siano recepiti dalla mente “immediatamente” (etoimos)94, a condizione, però, che i pori siano adatti95. La corrispondenza in questione, sempre stando al passo riportato, varia da individuo a individuo, giustificando il diversificarsi delle reazioni d’innanzi a una medesima visione, che possono essere di imperturbabilità (atarachos) o di sconvolgimento e turbamento. Il rimando al paragrafo 53 dell’Epistola a Erodoto è immediato: in quel luogo, infatti, si
92 Cfr. cap. 1.1.4 della Parte Seconda. 93 Leone 2002a, p. 126.
94 Per uno studio della valenza tecnica del gruppo semantico etoimos negli scritti di Epicuro, segnaliamo
l’articolo di Leone 2002b.
95Ibid. La necessità della symmetria (dei pori) viene ribadita anche nella col. XXIII del medesimo libro,
in cui diviene garanzia dei passaggi delle immagini dall’esterno all’interno della nostra mente e, perciò, della loro ricezione e della nostra visione (Leone 2002a, p.129).
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afferma che mentre alcuni ogkoi provocano sensazioni fastidiose, altri, procurando sensazioni piacevoli, si situano all’origine di quella tranquillità “tutta materiale”96 che caratterizza l’ataraxia epicurea.
Relativamente a questa capacità posseduta dai simulacri di penetrare in maniera diversa a seconda della struttura porosa più o meno compiacente che di volta in volta si trovano a impattare, vale la pena operare un confronto con un passo del XXV libro del
Peri physeos che pare affrontare la medesima faccenda a partire dalla constatazione della
varietà di reazioni che possono seguire all’impressione di un’immagine:
«… [penetrando] in alcuni più, in altri meno, in altri per un tratto assolutamente breve e non formando un’impressione (ouk entypon), poiché, a loro volta, alcune [scil. immagini], simili per forma (homoioschemonon) a quelle [che penetrano] in questi organi sensoriali (ta
aistheteria97), penetrano anche (kai) nell’aggregato mentale, dopo che da là è stata aperta
loro la via (proodopoiethenai), perché anche la costituzione (systasis) stessa ha almeno il maggiore potere causale per opera dei principi costitutivi, ovvero in base alla differenza degli atomi e dei pori preesistenti, ma anche perché il “prodotto sviluppato” (apogegennemenon) è stato pensato …» (Nat. XXV, [35.10] Arrighetti).
Ammesso che il soggetto sottinteso del genitivo assoluto siano delle entità riconducibili ai simulacri98, Epicuro sembra voler qui suggerire che la nostra costituzione atomica originaria è in grado di consentire il passaggio a un’immagine proveniente dall’esterno in maniere tra loro anche radicalmente differenti, ovvero per alcuni di più, per altri meno, per altri solo per un poco o, in certi casi, addirittura per niente affatto, tanto da non riuscire neppure a formare una vera e propria impressione nella mente. La capacità di penetrazione dei simulacri negli organi di senso risulta perciò strettamente connessa alla diversa porosità, e quindi alla diversa densità, caratterizzante le varie aree dell’organismo, o le stesse aree dell’organismo in individui differenti. Va osservato però che, nonostante la systasis (la costituzione atomica) detenga il potere causale maggiore nei confronti dell’ingresso dei simulacri e della loro impressione sulla dianoia, v’è un ulteriore fattore di cui è doveroso tener conto. Nella sezione conclusiva del passo appena riportato, infatti, Epicuro fa riferimento a un certo potere di “aprire la via” (prodopoiethenai) che conduce dagli organi di senso all’aggregato mentale, mettendo in relazione la penetrazione delle immagini nella mente all’eventualità di aver preventivamente pensato “il prodotto
96 L’efficace espressione è formulata da Verde (2010, p. 145).
97 Il medesimo vocabolo viene impiegato in Hrdt. 50 con riferimento particolare alla vista. 98 Cfr. Masi 2014a, p. 128 e Masi 2015, p. 114.
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sviluppato” (apogegennemenon). Il termine apogegennemenon è un termine tecnico, ricorrente in maniera preponderante nel XXV libro del Peri physeos, adoperato da Epicuro per denotare l’esito di un certo sviluppo psichico99. Senza voler entrare nei dettagli delle implicazioni connesse a questa seconda causa del processo di penetrazione delle immagini100, basti qui rilevare l’accento posto da Epicuro su un certo potere della mente di “preparare” la via, quasi che essa, avendo preventivamente pensato il contenuto rappresentativo trasmesso da un’immagine, «si disponga a ricevere certi simulacri piuttosto che altri»101. L’idea di un’immagine che possa “fare strada”, aprendo la via, a immagini analoghe, affiora anche da alcuni versi del dettato lucreziano (IV, 973-977) imperniati sulla questione dell’origine dei sogni102, dai quali si evince che la reiterazione di una medesima esperienza può essere d’ausilio. Scrive il poeta latino:
Et quicumque dies multos ex ordine ludis assiduas dederunt operas, plerumeque videmus, cum iam destiterunt ea sensibus usurpare, relicuas tamen esse vias in mente patentis, qua possint eadem rerum simulacra venire.
«E quanti per molti giorni di seguito furono assidui / e intenti spettatori di ludi, vediamo che spesso, / quando ormai cessarono di goderne coi sensi, / conservano tuttavia dischiusi nella mente altri varchi, / per i quali possono penetrare i medesimi simulacri dello spettacolo» (DRN IV, 973-977).
Ulteriori dettagli estremamente significativi a proposito della dottrina dei pori ci provengono anche dall’insegnamento di Diogene di Enoanda, che, nel fr. 9 III 6-IV 2 (Smith), così afferma:
«Ora le immagini che scorrono dagli oggetti, penetrando nei nostri occhi diventano le cause del nostro vedere gli oggetti sottostanti e, entrando nell’anima, del pensarli. Dunque, in base agli urti l’anima riceve le cose viste dagli occhi. Dopo gli urti delle prime immagini, la nostra natura (physis) è resa così porosa (poropoieitai) che, anche se non sono più presenti le cose che in un primo tempo vide, immagini simili alle prime sono ricevute dalla mente [creando visioni sia da svegli che nel sonno]103».
99 Masi 2014a, p.130.
100 In merito ai quali rimandiamo a Masi 2006a, 2014a e 2015. 101 Masi 2014a, p. 131.
102 Si noti, perciò, che la testimonianza di Epicuro e quella di Lucrezio fanno capo a due contesti differenti:
il resoconto di Epicuro concerne il problema della memoria, quello di Lucrezio, invece, riguarda, come si è precisato, la questione onirica.
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Come Epicuro, anche Diogene enfatizza il ruolo determinante rivestito dai poroi nell’ambito del processo di ricezione dei simulacri dall’esterno o dei processi onirici104. Il continuo impattare degli eidola, spiega il filosofo, è in grado di rendere la nostra physis, ovvero la nostra costituzione atomica originaria, così porosa che, anche qualora vengano meno gli stimoli esterni, la mente non smette di ricevere, sia nella veglia che nel sonno, rappresentazioni simili a quelle cagionate dalle cose viste in precedenza.
In un secondo frammento (43 II 5 ss.), tuttavia, come indicato da Leone, Diogene, diversamente dal Maestro, sembra rimandare alla morphe dei simulacri, piuttosto che alla struttura porosa della nostra costituzione atomica, la variegata gamma di reazioni manifestabili dalla physis, pur non venendo comunque meno l’idea di una necessaria corrispondenza tra physis e simulacri105.