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Una critica circostanziata della dimostrazione

L’epistemologia epicurea

5. Una critica circostanziata della dimostrazione

Di quanto emerso dall’analisi intorno al metodo inferenziale teorizzato nell’ambito del Giardino, sia a partire dalle parole dello stesso Epicuro, sia sulla base dello scritto apologetico di Filodemo di Gadara, conviene richiamare all’attenzione i seguenti punti d’interesse:

• la necessità dell’analogia non concerne il legame formale tra proposizioni, ma trova la sua validità esclusivamente nell’esperienza che possiamo fare dei referenti oggettivi da essa chiamati in causa. Si tratta perciò di «una necessità di tipo naturale o psicologica [...] che risiede semplicemente nella forza dell’evidenza grazie alla quale noi conosciamo p»508. Vale a dire: la cogenza dell’inferenza non riposa sulla relazione tra i termini, ma sul termine (p) ritenuto evidente, e, di conseguenza, sulla «condizione mentale mediante

504 Cfr. la rappresentazione schematica offerta da Manetti (1987, p. 193). A conferma della distinzione tra

proprietà essenziali (koinotetes) ed accidentali (idiotetes) appena avanzata, si veda l’esempio del fuoco in

De sign., col. XXIII.

505 Per un approfondimento intorno a tal sezione del De signis filodemeo, segnaliamo lo studio di Manetti

2011.

506 Manetti 1987, pp. 194 ss.

507 Il titolo e l’andamento generale del capitolo sono ispirati al saggio di Morel Esperienza e dimostrazione

in Epicuro (2015b).

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la quale lo conosciamo»509. Le evidenze primarie, di conseguenza, sono non delle entità logiche (come per esempio delle proposizioni), ma degli stati di fatto. La forma di empirismo sostenuta da Epicuro, in questo senso, si configura, per dirla con un’efficace espressione di Morel, come un «empirismo fondazionale»510, formulato di contro alla presunzione del modello deduttivo aristotelico di costruire ragionamenti cogenti a partire da premesse certe, vere e immediate, ossia indimostrabili, in virtù delle relazioni che costituiscono il ragionamento stesso511.

• Attraverso il De signis di Filodemo, intuiamo poi che, lungi dal diniegare ingiustificatamente la dialettica, gli Epicurei sistematizzarono la teoria dell’inferenza basata sul simile, già presente in nuce nel dettato di Epicuro, seppur in modo poco approfondito, dimostrando come ogni altra forma di ragionamento poggi, da ultimo, su di essa. Stando a quanto riportato dal filosofo di Gadara, la similarità dà luogo a un metodo cogente ed esaustivo, capace di stabilire la verità di certe propsizioni attraverso il criterio dell’inconcepibilità. Il criterio ultimo di attestazione dei fenomeni, al di là del quale non v’è più nulla da dimostrare, è, perciò, l’osservazione dei fenomeni512.

Sembra farsi strada, a questo punto, l’idea che Epicuro e la sua scuola, più che ricusare l’apodeixis in quanto tale, polemizzassero contro un certo modo di condurre la dimostrazione, eccessivamente formale e privo di riferimento ai fenomeni. Oltre a peccare di formalismo, le dimostrazioni prese di mira dagli Epicurei tendevano a rivelarsi molto spesso inopportune o inappropriate. A tal riguardo, conviene citare il caso del tempo, richiamato da Epicuro all’altezza dei paragrafi 72-73 dell’Epistola a Erodoto:

«E certamente si deve in aggiunta riflettere fortemente anche su ciò: non si deve investigare il tempo come si fa con le altre cose che ricerchiamo in un oggetto riferendoci alle prolessi che vediamo in noi stessi, ma bisogna esaminare secondo un procedimento analogico quella stessa evidenza in base alla quale diciamo molto o poco tempo, riconducendone la nozione in modo conforme (a quella evidenza). E non bisogna mutare le espressioni quasi ve e

509 Morel 2015b, p.134. Conclude lo studioso: «Il criterio dell’enargeia è, quindi, un criterio che si fonda

sulla teoria delle facoltà e non su una teoria della dimostrazione e pertiene fondamentalmente alla fisica» (Ibid.).

510 Ivi, p. 135. Parlare di “empirismo fondazionale” significa avere in mente una forma di pensiero che pone

l’esperienza percettiva alla base del coglimento delle “essenze universali”, onere che Aristotele negava alla sensazione, affidandolo invece all’intuizione intellettuale. In altre parole, se per Aristotele la “vera scienza” rimane, da ultimo, strettamente connessa all’approccio dialettico-deduttivo di matrice platonica, per Epicuro l’episteme si fonda senza eccezioni sull’esperienza sensibile, tant’è che la funzione delle “premesse prime e non dimostrabili” aristoteliche viene ricoperta, nella dottrina epicurea, da quei capisaldi della canonica che abbiamo visto essere, anzitutto, sensazioni e prolessi.

511 Aristot. Top. I 1, 100a 25-29; APr. I 1, 24b 18-20; APo. I 2, 71b 26-28; 3, 72b 18-25. 512 Cfr. Morel 2015b, p. 136.

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fossero di migliori, ma bisogna servirsi di quelle già esistenti rispetto a quello (scil. il tempo), né si deve predicare qualche altra cosa di esso, come se possedesse la stessa essenza di questa peculiare realtà – e infatti alcuni fanno anche questo -, ma soprattutto bisogna applicare a esso il ragionamento solo in base a ciò a cui connettiamo ciò che a esso è proprio e a cui lo commisuriamo. E infatti ciò non necessita dell’aggiunta di una dimostrazione, ma del tener conto del fatto che (καὶ γὰρ τοῦτο οὐκ ἀποδείξεως προσδεῖται ἀλλ’ ἐπιλογισμοῦ, ὅτι) connettiamo ai giorni e alle notti e alle loro parti, così come alle affezioni e all’assenza di affezioni, e agli stati di movimento e a quelli di quiete, un peculiare accidente, dal momento che esso stesso, d’altronde, lo concepiamo come relativo a queste cose, ragion per cui lo denominiamo tempo» (Hrdt. 72-73).

Tralasciando in questa sede l’elevata complessità e allusività del passo, ciò che è importante osservare è l’invito da parte di Epicuro a non annoverare il tempo tra gli oggetti passibili di dimostrazione513. In primis perché del tempo non possediamo alcuna prolessi. Esso, infatti, non risulta mai afferrabile in se stesso, ma sempre e soltanto in virtù di fenomeni come il giorno, la notte, ecc. Inoltre, la modalià di ragionamento idonea allo studio del tempo non risulta essere l’apodeixis, ma l’epilogismos. Quest’ultimo, come appurato in precedeza, rappresenta un termine tecnico della catechesi epicurea, impiegato per designare una “valutazione” o “confronto critico” dei fenomeni, un “tener conto” di ciò che è direttamente osservabile (ovvero del materiale percettivo), propedeutico e funzionale alla costruzione di inferenze corrette514. Dimostrare il tempo, nel senso dell’apodeixis, significherebbe ascrivergli concetti estranei alla sua essenza, ragion per cui occorre tener conto dei fenomeni a cui si applica e in base ai quali viene misurato515. L’ultima freccia sferrata da Epicuro a un certo modo di operare dimostrazioni ha di mira la spinosa questione del regressus ad infinitum. Il problema viene affrontato nei paragrafi 37-38 dell’Epistola a Erodoto, nei quali leggiamo:

«O Erodoto, in primo luogo, dunque, è necessario aver afferrato ciò che sottostà alle espressioni verbali, in modo tale che possiamo giudicare, riferendoci a esso, ciò che è oggetto di opinione o di ricerca o quanto solleva difficoltà e che tutto non sia per noi indiscriminato, nel procedere all’infinito in dimostrazioni (εἰς ἄπειρον ἀποδεικνύουσιν), o che non possediamo espressioni verbali vuote. È necessario, infatti, rivolgere lo sguardo alla nozione prima sulla base di ciscuna espressione verbale, anche senza che ci sia bisogno di aggiungere

513 Sul tempo in Epicuro si vedano, tra gli altri, Morel 2002, Verde 2008 e Gœury 2012.

514 Come rimarcato da Morel (2015b, p. 137), l’epilogismos corrisponde al primo momento della semeiosis

propriamente detta.

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una dimostrazione (καὶ μηθὲν ἀποδείξεως προσδεῖσθαι), se dovremo avere qualcosa cui riferirci per ciò che è oggetto di ricera e per ciò che solleva diffioltà e per ciò che è oggetto di opinione».

Analogamente a quanto accade a proposito del tempo, anche in queste righe Epicuro si scaglia contro la superflua “aggiunta” della dimostrazione in un contesto in cui sarebbe sufficiente attenersi a “ciò che sottostà ai suoni verbali”, vale a dire all’evidenza sottesa ai termini adoperati. Chi pretende di formulare sillogismi privi di riferimento all’osservazione dei fenomeni, non può che incorrere, da ultimo, in un regresso all’infinito, in cui la verità di ogni criterio, non poggiando sull’enargeia, avrà bisogno di venir testata attraverso il ricorso a un criterio ulteriore, e così via all’infinito.

Tre, riassumendo, gli aspetti viziosi di certuni ricorsi alla dimostrazione:

1) eccesso di formalismo e assenza di riferimento all’osservazione dei fenomeni; 2) inappropriatezza (qualora l’oggetto indagato non richieda un approccio

dimostrativo);

3) rischio del regresso all’infinito.

La critica da parte di Epicuro alla dimostrazione, perciò, non è unilaterale, ma rigorosamente circoscritta a questi tre aspetti. Del resto, che il filosofo non avallasse un rifiuto del procedimento dimostrativo in quanto tale ci viene testimoniato anche dalla presenza, nei suoi scritti, della terminologia propria dell’apodeixis in riferimento ai propri ragionamenti516. In Hrdt. 45, per esempio, si incontra l’espressione: «come si è appena dimostrato (ὡς ἄρτι ἀπε δείχθη)», mentre al paragrafo 74 troviamo la dicitura: «nessuno infatti sarebbe in grado di dimostrare (οὐδὲ γὰρ ἂν ἀποδείξειεν οὐδεὶς)». Rivolgendo poi lo sguardo al II libro del Peri Physeos, merita citare due occorrenze significative del termine apodeixis: la prima compare in riferimento al processo della non smentita per mezzo dei fenomeni, mercé la quale, si legge, «sarà possibile dare dimostrazione (ἀπόδ[ειξιν ποιήσασθαι) per quanto riguarda la velocità delle immagini» (Nat. II col. 110- 111 Leone). La seconda, invece, ha lo scopo di rinviare all’argomentazione sull’esistenza e sulla velocità delle immagini: «è stato dunque da noi dimostrato (ἀποδ[έδεικτα[ι] οὖν ἡμῖν) sia che esistono alcune immagini, sia che la loro generazione accae che si compia alla velocità del pensiero» (Nat. II col. 119 Leone).

Alla luce di questi passi, sembra lecito concludere, con Morel, che Epicuro (e gli Epicurei successivi) non dovette affatto lasciarsi intimidire dalla terminologia della

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dimostrazione per designare i propri ragionamenti, benché risulti piuttosto arduo stabilire se, nella tradizione epicurea, il termine apodeixis denoti in maniera sistematica una ben precisa procedura517. Certo il Giardino non gli attribuì mai una valenza troppo tecnica, come fece invece Aristotele, ma ne riformulò il senso in riferimento a quell’autentica “cartina di tornasole” che è l’evidenza sensibile.