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Le applicazioni rappresentative della mente

L’epistemologia epicurea

1. La dottrina del criterio

1.1 I canoni o criteri di verità

1.1.4 Le applicazioni rappresentative della mente

Dopo aver ascritto a Epicuro i tre criteri esaminati, Diogene Laerzio, interrompendo verosimilmente il suo rendiconto dal Canone, fa sapere che gli Epicurei annoverarono tra i canoni anche le phantastikai epibolai tes dianoias (X 31). Quest’affermazione laerziana, definita da Sedley come una vera e propria «mistificazione»333, è divenuta oggetto di un dibattito fomentato in particolar modo da coloro che ritenevano che Epicuro ammettesse già in qualità di criteri di verità “virtuali” le applicazioni rappresentative della mente sia in Hrdt. 38, 51 e 62 che in KD XXIV. La contraddittorietà tra le testimonianze, secondo Sedley, poteva facilmente venir dissipata assumendo che all’altezza cronologica dell’Epistola a Erodoto, e dei primi 12-13 libri del Peri Physeos, il filosofo di Samo non avesse ancora sviluppato e formulato alcune nozioni chiave della sua canonica, quali i concetti di prolepsis ed epilogismos334. Quando giunse alla stesura del Canone, risalente agli anni successivi al 301 a.C. (301-296/5 a.C.), Epicuro aveva abbandonato le applicazioni rappresentative della mente in favore delle prolessi, cessando di considerare le prime come un criterio di verità indipendente335. Se poi gli Epicurei seriori scelsero di riportare le phantastikai epibolai tes dianoias allo status di canone di verità, essi dovettero sentirsi legittimati dalla catechesi promossa dal Maestro nelle prime opere336.

Successivamente, tuttavia, Sedley abbandonò quest’ipotesi, congetturando, come si è visto, che l’espressione ta hypotetagmena tois phthoggois che si incontra all’altezza di

332 Verde 2010a, pp.189-190, 194-195. Cfr. anche Verde [in corso di pubblicazione]. 333 Sedley 1973, p. 16.

334Ibid. 335Ibid. 336Ibid.

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Hrdt. 37 fosse una perifrasi usata per esprimere il concetto di prolessi al cospetto di un

pubblico non sempre esperto come quello cui era indirizzata la lettera.

Nell’ambito della discussione attorno all’origine del quarto criterio di verità, piuttosto vantaggiosa ci pare la posizione adottata da Verde, secondo cui non v’è alcuna necessità di intendere la testimonianza laerziana come una ‘mistificazione’337. Non v’è infatti ragione, a detta dello studioso, per cui si debba a ogni costo considerare inattendibile l’affermazione di Diogene. Due perciò, secondo Verde, i sentieri percorribili:

a) ritenere fededegna la testimonianza laerziana, e ipotizzare che, nonostante le numerose occorrenze di epibole nell’Epistola a Erodoto, Epicuro non considerasse ancora le epibolai alla stregua di canoni di verità a tutti gli effetti, come invece potrebbero aver fatto gli Epicurei seriori, sollecitati anche dal frequente uso del termine nelle opere del Maestro;

b) scegliere di non considerare la testimonianza laerziana né così cruciale, né tantomeno così rigorosa338.

Come che sia la questione, le phantastikai epibolai tes dianoias denotano delle vere e proprie “applicazioni”339, “atti di attenzione”340, “focalizzazioni”341 della mente (dianoia) in direzione dell’oggetto342. Come dichiarato da Morel, «le statut exact de l’appréhension est loin d’être clair et l’idée que chaque sensation s’accompagne d’une appréhension est discutéè»343. Una cosa è certa: le immagini che noi riceviamo hanno carattere intenzionale, ovvero, fenomenologicamente parlando, hanno sempre un contenuto. Il nostro pensare è essenzialmente rivolto verso un oggetto. Ciò che ci rappresentiamo attraverso la sensazione non è il flusso di simulacri che si stacca dall’oggetto e impatta i nostri organi di senso, ma l’oggetto medesimo: «Avoir la sensation de x, ce n’est pas seulement être affecté par les simulacres provenant de x, mais encore tendre vers x considéré comme l’object que l’on se donne»344. Avere una sensazione, il percepire, è sempre un «tendere-a» l’oggetto percepito.

Ai paragrafi 35 e 36 dell’Epistola a Erodoto Epicuro utilizza il termine epibole in connessione all’attività del pensiero che consente di richiamare continuamente «alla

337 Verde 2015, p. 346.

338Ibid. La soluzione b) è sostenuta, tra gli altri, da Morel 2007, p. 39 n. 49. 339 Sedley 1973, p. 24; Asmis 1984, p. 85.

340 Bailey 1964, p.561. 341 Long-Sedley 1987, p. 90.

342 Cicerone traduce epibole tes dianoias con animus se iniciens (Nat. deor. I, 54). 343 Morel 2009, p. 125; cfr. anche Morel 2011, p. 22.

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memoria l’impronta elementare di tutta la dottrina» (Hrdt. 35), ossia una sintesi complessiva della dottrina nella sua interezza piuttosto che nei suoi dettagli345. Da questo continuo ricorso mnemonico alle dottrine principali scaturirà un’«applicazione capitale (kyriotate)» (Hrdt. 36) indirizzata alla “verità” delle cose e capace di assicurarne una conoscenza certa e adeguata. In entrambi questi luoghi, seppur non seguita dal genitivo

tes dianoias, l’epibole indica un atto di focalizzazione deliberata della percezione da parte

della mente sui simulacri atomici che si dipartono dalla superficie degli steremnia. Al paragrafo 38 del medesimo scritto Epicuro aggiunge a questa connotazione generale una precisazione fondamentale, affermando che l’epibole può essere tanto del pensiero quanto «di qualunque altro criterio (kriterion)», ossia, verosimilmente, degli altri sensi346, benché tenga a precisare che l’applicazione è primariamente della mente347. Nel caso della vista e dell’udito, per esempio, l’epibole darebbe luogo, come suggerito da Sedley, a un “osservare” («looking») e a un “ascoltare” («listening»), piuttosto che ai meri atti del “vedere” («seeing») e dell’“udire” («hearing»)348. L’epibole propria dei cinque sensi, tuttavia, differisce dall’epibole della mente, giacché quest’ultima, grazie alla sua particolare configurazione atomica, possiede un’“attiva capacità applicativa”349 in virtù della quale si spiegano la memoria350, l’associazione delle immagini e, più in generale, qualunque forma di immaginazione.

Tra i passi più rilevanti a proposito della natura dell’epibole troviamo i paragrafi 50 e 51 dell’Epistola a Erodoto, in cui Epicuro prende in esame il problema dell’errore. Qui si legge che «il falso e l’errore sono sempre in ciò che si aggiunge nell’opinione (en toᵢ

prosdoxazomenoᵢ)» (Hrdt. 50), cui fa seguito un’importante precisazione di carattere

fisico: l’errore altro non è che un «movimento (kinesis) che ha origine in noi stessi, collegato <all’applicazione rappresentativa> (synemmene <te phantastike epibole>)», pur presentando rispetto a essa «una differenza in base alla quale si genera il falso» (ibid). Il fatto che a proposito dell’errore Epicuro scelga di parlare di phantastike epibole,

345 Cfr. Verde 2010a, pp. 72-73.

346 Ivi, p. 85. Questa distinzione compare in maniera piuttosto chiaro anche in Hrdt. 50, dove Epicuro parla

della rappresentazione che dovremmo essere in grado di afferrare in virtù dell’applicazione tramite il pensiero (epibole tes dianoias) o tramite gli organi sensoriali (eibole ton aistheterion).

347 Scrive Diano (1973, p. 158): «considerando che l’epibole tes dianoias è l’atto indispensabile di ogni

operazione di pensiero, io assumo che la phantastike epibole stia all’epibole, come la specie sta al genere». E ancora: «l’epibole tes dianoias è operazione di più ampia sfera che la phantastike epibole» (ibid.).

348 Sedley 1973, p. 23.

349 Verde 2013b, p.74. A conferma di ciò, si veda anche la testimonianza di Cicerone in Nat. deor. I 19 49

(mentem intentam infixamque) e I 20 54 (iniciens animus et intendens).

350 Questo perché l’epibole è in grado di conservare il ricordo delle percezioni sensoriali (Sedley 1973, p.

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piuttosto che di epibole tes dianoias, non indica, secondo Verde, due differenti tipologia di epibolai, dal momento che lo stesso Diogene Laerzio descrive quello che viene da lui definito il quarto canone aggiunto dagli Epicurei come le phantastikai epibolai tes

dianoias (X 31)351. Ciò che è bene osservare, ad ogni modo, è che l’epibole, seppur connessa alla generazione dell’errore, non può errare, pena il venir meno del suo status di criterio veritativo. Occorre allora cercare di comprendere la natura della relazione tra la phantastike epibole e l’errore. Attribuendo, con Bailey, all’applicazione rappresentativa la funzione di combinare “sinteticamente” (syntesis) le immagini provenienti dall’esterno352, potremmo ipotizzare che l’errore sia connesso all’epibole per due ragioni:

a. sia perché, come l’errore, anche l’epibole è un movimento, paragonabile a una sorta di “risposta” immediata rispetto all’impatto dei simulacri;

b. sia perché il movimento dell’errore interviene necessariamente sul materiale precedentemente “sintetizzato” dalla phantastike epibole353.

Se in quanto canone l’epibole non è responsabile dell’errore354, allora quest’ultimo si avrà in corrispondenza della “cattiva interpretazione” di una rappresentazione (che in se stessa è sempre vera, dacché i simulacri che la compongono sono reali), ossia quando le conclusioni cui perviene la kinesis dell’errore vengono smentite (antimartyresis) o non confermate (ouk epimartyresis) dall’evidenza sensibile (enargeia) (Hrdt. 51)355.