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L’epistemologia epicurea

3. Il metodo delle molteplici spiegazion

3.3 L’aitia prediletta

427 Ivi, pp. 58-60. 428 Ivi, p. 59. 429 Ivi, p. 60.

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Ci si potrebbe domandare, a questo punto, se tutte le diverse aitiai debbano considerarsi possibili allo stesso modo. Interessante, a tal riguardo, la testimonianza di Diogene di Enoanda, il quale, discutendo intorno ai fenomeni celesti, scrive:

Τὸν ζητοῦντά τι περὶ τῶν ἀδήλων, ἂν βλέπῃ τοὺς τοῦ δυνατοῦ τρόπους πλείονας, περὶ τοῦδέ τινος μόνου τολμηρὸν καταποφαίνεσθαι· μάντεως γὰρ μᾶλλόν ἐστιν τὸ τοιοῦτον ἢ ἀ⟨ν⟩δρὸς σοφοῦ. Τὸ μέντοι λέγειν πάντας μὲν ἐνδεχομένους, πιθανώτερον δ’ εἶναι τόνδε τοῦδε ὀρθῶς ἔχει.

«Parliamo ora dell’alba e del tramonto e dei problemi connessi, premettendo questo: che se chi ricerca qualcosa sugli argomenti non evidenti (peri ton adelon) vede che le spiegazioni sono molteplici (tropous pleionas), è temerario che si pronunci categoricamente per una sola. È da indovino infatti più che da uomo saggio un tale comportamento. Invece è metodo retto dire che tutte sono possibili, ma questa è più plausibile di quella» (fr. 13 III 1-13 Smith430).

La citazione riprende in modo pedissequo le riflessioni di Epicuro a proposito del

pleonachos tropos, salvo distanziarsene in riferimento all’ultima asserzione, che non

sembra trovare alcuna testimonianza diretta negli scritti da noi attualmente posseduti del filosofo di Samo431. Diogene riferisce, infatti, che tra le diverse spiegazioni di un fenomeno ve n’è una più plausibile (pithanos)432 dell’altra, alludendo a differenti gradi di probabilità posseduti dalle varie soluzioni. Il darsi di una spiegazione più plausibile rispetto alle altre, in fondo, non pare contraddire quanto affermato nella prima parte della citazione. Identificare la spiegazione più plausibile, infatti, non significa pronunciarsi categoricamente in favore di essa, assumendo un comportamento azzardato e poco consono a un’accurata indagine intorno ai meteora. Ora, benché né in Epicuro né in Lucrezio vi sia cenno alcuno alla peculiare indicazione di Diogene tramandataci grazie ai frammenti litici sinora reperiti a Enoanda, non è da escludere, come sottolineato da Bakker, che essa fosse non totalmente estranea all’ortodossia epicurea433. In proposito, è conveniente segnalare, tra le testimonianze indirette, un passo della Naturales

Quaestiones (VI 20, 7) in cui Seneca, dopo aver ingiustamente connesso il metodo delle

molteplici spiegazioni all’incapacità umana di «offrire delle certezze riguardo a fenomeni spiegabili solo per congettura»434, riporta le diverse motivazioni individuate da Epicuro per render conto del terremoto. In chiusura alla lista delle cause, Seneca afferma che:

430 Trad. dall’originale inglese di M. F. Smith nostra. 431 Cfr. Bakker 2016, p. 38.

432 Sulla pithanotes si veda l’articolo di Corradi 2016. 433 Bakker 2016, p. 38.

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Nullam tamen illi placet causam motus esse maiorem quam spiritum.

«Tuttavia egli [scil. Epicuro] è dell’opinione che per il terremoto non vi sia nessuna causa più efficace dell’aria in movimento».

L’esegesi della citazione, fa notare Bakker, dipende dal significato che si sceglie di attribuire al termine latino maiorem, che potrebbe indicare tanto la causa “più plausibile” tra quelle esposte, quanto quella “più frequente” (poiché non è escluso che alcuni terremoti presentino una certa causa, laddove altri vadano ricondotti a cause differenti)435.

Maiorem, inoltre, potrebbe denotare altresì la causa “più potente”: benché le

giustificazioni del terremoto siano molteplici, i terremoti più violenti, più potenti, si rivelano essere quelli cagionati dal vento436. Questa lettura, fra l’altro, sembra trovare conferma nel prosieguo del dettato senecano, in cui leggiamo:

Nobis quoque placet hunc spiritum esse qui possit tanta conari, quo nihil est in rerum natura potentius, nihil acrius, sine quo ne illa quidem quae vehementissima sunt valent

«Anche noi [scil. Stoici] siamo dell’opinione che sia quest’aria in movimento a poter intraprendere imprese così audaci, poiché in natura non v’è nulla di più potente, nulla di più vigoroso, e senza di lei neppure gli elementi più impetuosi conservano la loro efficacia» (Nat. Quaest. VI 21,1).

Come gli Stoici, anche Epicuro, secondo Seneca, individuava nell’elemento ventoso la causa più potente del terremoto, riprendendo probabilmente una tesi rintracciabile nei

Meteorologica (II 8, 365b29–366a5) di Aristotele. Tuttavia, almeno in riferimento

all’insegnamento originario di Epicuro, la testimonianza di Seneca non sembra poter comprovare alcuna scala di preferenza tra le possibili spiegazioni dei meteora. Ciò che rimane da indagare è la valenza che essa può assumere in relazione alla dottrina epicurea nella formulazione lucreziana. Su tale questione ritorneremo pertanto nel corso del capitolo 3 della Parte Terza del nostro elaborato.

Concludiamo la presente disamina citando un’ultima interessante osservazione rivolta da Diogene di Enoanda, sempre in riferimento allo studio dei moti astrali, a un non meglio precisato avversario437:

435 Bakker 2016, p. 39. 436Ibid.

437 Lo stato estremamente frammentario della colonna, che risulta mutila, rende infatti difficoltoso il

compito di individuare con precisione l’identità della posizione confutata da Diogene. Si è ipotizzato che bersaglio dell’enoandese, in questo luogo, potesse essere Senofane di Colofone, (fr. 28 DK), convinto che la terra possedesse un limite superiore, ma che si estendesse all’infinito verso il basso. Vi è però, altresì, chi ritiene che il vero obiettivo polemico fosse in realtà la dottrina stoica, e nello specifico la teoria della sfericità terrestre da essa promossa (cfr. Smith 1993, p. 511).

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«Forse voi distendete circolarmente la terra in alto, delimitandola col cielo, e , facendola cominciare di qui, la estendete all’infinito verso la zona di sotto (mandando tanti saluti insieme a tutti i profane e I filosofi che ritengono che gli astir corrano intorno alla terra sia in alto che in basso [...]» (fr. 66 Smith)438.

Diogene, per così dire, sembra avallare l’opinione condivisa da tutti gli uomini, “bypassando”, tacitamente, la spiegazione avanzata da Epicuro per cui i corpi celesti durante la notte si spegnerebbero. In questo senso, secondo Bakker, la maggiore o minore plausibilità delle varie spiegazioni costituirebbe, agli occhi di Diogene, un efficace espediente per salvare quella che ormai, almeno per certi aspetti, doveva apparire come una meteorologia piuttosto grossolana, conciliandola con le teorie astronomiche diffuse e accolte nel II secolo d.C.439.