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Formulazione e giustificazione del metodo nel De rerum natura

L’epistemologia epicurea in Lucrezio

1. Regula prima, norma e libella: la canonica nel De rerum natura

3.2 Formulazione e giustificazione del metodo nel De rerum natura

Per poter accogliere «con tranquilla pace del cuore» (animi tranquilla pace) i simulacri che dal corpo degli dei s’irradiano fino a raggiungere la mente dell’uomo, «quasi messaggeri dell’aspetto divino» (VI, 75-78), è ragionevole

...<terrae> caelique tenenda,

sunt tempestates et fulmina clara canenda,

quid faciant et qua de causa cumque ferantur;

680 Anche VI, 53-57: «...poiché l’ignoranza delle ragioni li [scil. gli animi] costringe ad attribuire gli eventi

al potere dei numi e ad ammettere il loro regno. [In nessun modo possono scorgere le cause di questi fenomeni, e perciò ritengono gli eventi dovuti al cenno divino]» (...quod / ignorantia causarum conferre

deorum / cogit ad imperium res et concedere regnum. / [Quorum operum causas nulla ratione videre / possunt ac fieri divino numine rentur]).

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«...comprendere le leggi della terra e del cielo, / cantare le tempeste e i balenanti fulmini, / che cosa producano e per quale ragione si sprigionino» (VI, 83-85).

È a tal scopo che Lucrezio fa intervenire, come anticipato, il metodo delle molteplici spiegazioni. Nel V libro il poeta ne enuclea i principi soltanto dopo averlo applicato una prima volta in relazione ai moti astrali, e così afferma:

Nam quid in hoc mundo sit eorum ponere certum difficile est; sed quid possit fiatque per omne in variis mundis varia ratione creatis, id doceo plurisque sequor disponere causas, motibus astrorum quae possint esse per omne; e quibus una tamen sit et hic quoque causa necessest quae vegeat motum signis; sed quae sit earum

praecipere haudquaquamst predetemptim progedientis.

«Quale sia con certezza nel nostro mondo la causa di questo fenomeno, / è difficile stabilire; ma cosa sia possibile e accada per l’intero universo / nei diversi mondi in diverso modo creati, / questo insegno, e proseguo nell’esporre le molte cause / che possono determinare681

il movimento degli astri nel cosmo; / fra tutte tuttavia è necessario che anche quaggiù una soltanto / determini il moto stellare; ma esporre quale sia di esse, / non si addice in alcun modo a chi proceda con cauti passi» (V, 526-533).

Nonostante la difficoltà di stabilire con certezza quale delle cause dei moti astrali, elencate in precedenza, risulti effettivamente operante nel nostro modo, Lucrezio appare risoluto nell’affermare che, a ogni modo, una soltanto dev’essere, in hoc mundo, la causa in grado di spiegarli davvero. Il difficile sta proprio nel riuscire a capire di quale si tratti682. Più precisamente, il poeta ci spiega che ognuna delle spiegazioni addotte risulta possibile in relazione agli infiniti mondi che costellano l’universo683, ma solo una, in questo nostro mondo, è la vera responsabile dei motus astrorum. Quest’estensione della validità del

pelonachos tropos all’infinità del cosmo, correttamente riconosciuta e messa in luce da

Verde, non v’è riferimento alcuno nell’Epistola a Pitocle, nella quale non si allude minimamente né alla difficoltà di individuare, tra le varie cause addotte per un certo

681 Modifichiamo qui la versione (errata) di Canali, che traduce con “..le molte possibili cause / che

determinano...”.

682 Cfr. Verde 2013c, p 139.

683 Come riferito nel paragrafo 3.2 della Parte Seconda, questa concezione lucreziana risulta rispondente a

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fenomeno celeste, quella effettivamente operante nel nostro mondo, né, tantomeno, al fatto che soltanto una di esse debba essere la vera responsabile del fenomeno indagato684. Una concezione affine traspare anche dal seguente passaggio del VI libro:

Sun aliquot quoque res quarum unam dicere causam non satis est, verum pluris, unde una tamen sit; corpus ut exanimum siquod procul ipse iacere conspicias hominis, fit ut omnis dicere causas conveniat leti, dicatur ut illius una.

Nam neque eum ferro nec frigore vincere possis Interiisse neque a morbo neque forte veneno, verum aliquid genere esse ex hoc quod contigit ei scimus. Item in multis hoc rebus dicere habemus.

«Vi sono anche eventi dei quali non basta enunciare / una sola causa: ne occorrono molte fra cui / sia l’unica vera; come, se vedi giacere lontano / il corpo esanime di un uomo, conviene enumerare tutte le cause / di morte, affinché si giunga a dire quella specifica. / Infatti non puoi intuire dapprima se costui sia morto di spada, / o di freddo o di malattia, oppure, per caso, di veleno, / ma sappiamo che è stato qualcosa di tal genere a colpirlo. / Ugualmente dobbiamo dire questo in molte circostanze» (VI, 703-711).

In questi versi, il cui senso è riconducibile a quello del passo precedente, il cuore dell’argomentazione non è più l’infinità dei mondi, della quale non si fa menzione, bensì uno sguardo sul pleonachos tropos epicureo che non abbisogna di trascendere i limiti del nostro mondo. Vi sono eventi, spiega Lucrezio, per i quali non basta enucleare una sola spiegazione, poiché essi presentano diverse cause alternative, poste in reciproca relazione tra loro. Anche qui, come nel passo analizzato in precedenza, una soltanto sarà quella

vera, nel senso che una soltanto sarà quella autenticamente responsabile del fenomeno

investigato. Pretendere però di indicare con precisione quale essa sia condurrà inevitabilmente a cadere in errore: da lontano (procul) è infatti impossibile stabilire quale sia, tra le diverse possibili, la causa che ha effettivamente provocato la morte al corpo privo di vita che vediamo laggiù. Una situazione analoga è quella che viene a instaurarsi in relazione ai fenomeni celesti (si badi che l’aggiunta del procul è fondamentale e assolutamente decisiva proprio in vista della costruzione di tale analogia)685.

684 Verde 2013c, p. 140.

685Ibid. Tra gli studiosi più recenti che non riescono a cogliere appieno l’esempio del corpo privo di vita

addotto da Lucrezio, citiamo Bakker (2016, p. 23, ma anche 30-31), a detta del quale «the chosen example, a dead body, seems strangely inappropriate. While multiple explanations are typically applied to things that

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Boyancé fa osservare che le molteplici spiegazioni avanzate per i fenomeni meteorologici si presentano come diverse modalità che si realizzano tutte ugualmente, laddove in riferimento ai fatti astronomici esse apparivano come delle ipotesi in relazione di mutua esclusività686. Lo studioso propone di individuare la ragione di questo mutamento di approccio nel fatto che gli eventi meteorologici, essendo decisamente più prossimi alla terra di quanto non lo siano i fatti relativi agli astri, rendono le analogie più facilmente verificabili687. È evidente, però, che nel passo del VI libro riportato sopra, in cui vengono offerte ulteriori precisazioni sul metodo delle molteplici spiegazioni, Lucrezio insiste sul fatto che delle varie spiegazioni addotte per un dato fenomeno una soltanto può essere vera.

Ciò che, a ogni modo, è importante rilevare, in merito agli aspetti della formulazione lucreziana del pleonachos tropos sinora posti in luce, è il fatto che in Lucrezio la necessità di fornire molteplici spiegazioni di un dato evento, sia esso la visione di un corpo privo di vita in lontananza o un fenomeno celeste a cui i nostri sensi non hanno accesso diretto, deriva, come suggerito da Verde, da un «fondamentale deficit epistemologico»688: laddove non sia possibile avere una conoscenza completa del fenomeno in questione, è auspicabile, allo scopo di non cadere in errore, addurre diverse cause dell’evento (purché tutte plausibili e in accordo con esso), nella consapevolezza, tuttavia, che una soltanto dovrà esserne la causa autenticamente responsabile. Diversamente, in Epicuro, come abbiamo avuto modo di appurare, la molteplicità di aitiai dei fenomeni celesti non ineriva alla sfera epistemologica, ma a quella ontologica: la ragione della molteplicità risiedeva infatti nel presentare tali fenomeni molteplici cause della loro genesis e molteplici ousiai in accordo con i dati dell’esperienza (Pyth. 86), dato cui Lucrezio non accenna mai. Questo slittamento dal terreno dell’ontologia a quello dell’epistemologia cui si assiste nel

De rerum natura, ha come principale correlato il fatto che nel suo autore vengono meno

il riconoscimento e la consapevolezza di tutta quella complessa e profonda intelaiatura

can only be seen from a distance, there does not seem to be any cogent reason why the dead body could not be approached and examined more closely, so as to eliminate certain explanations and perhaps even arrive at the one true cause of death». Ciò che induce lo studioso a diffidare dell’esempio lucreziano è proprio il non esser riuscito ad afferrare il valore del procul presente al verso 705. Tra i commentatori, l’importanza del procul viene posta in luce in particular modo dalle parole del Bailey (1947, p. 1661), il quale così scrive: «A close inspection of the dead body might show wounds or other signs by which the cause of death could be determined, but ‘from afar’ all possible causes must be enumerated».

686 Boyancé 1985, p. 280. 687Ibid.

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causale cui Epicuro indirettamente si appellava al fine di render ragione della “molteplicità” dispiegata dal pleonachos tropos.

Riassumendo, la situazione che viene a delinearsi nel De rerum natura, a nostro avviso, è all’incirca la seguente: da un lato Lucrezio, nella pratica, perlomeno nel VI libro, segue Epicuro, dando l’impressione di avallare il principio formulato da quest’ultimo per cui «il concorso di varie cause non è una cosa impossibile» (Pyth. 96); dall’altro, nella teoria, ovvero nel momento in cui si trova a enucleare i capisaldi del metodo, il poeta pare contraddire il modus operandi da lui stesso effettivamente messo in atto in relazione ai fenomeni meteorologici, dimostrando di non esser riuscito a cogliere come il cuore (sia pur implicito) della trattazione fornita da Epicuro siano le potenzialità causali dei corpi, vale a dire le disposizioni della materia. Forse Lucrezio, come del resto la gran parte degli studiosi contemporanei (che, come si è visto, insiste a voler leggere Epicuro attraverso l’interpretazione del metodo offertaci da Lucrezio), non è riuscito a cogliere fino in fondo, almeno su questo punto, il vero insegnamento del suo Maestro? La nostra impressione, dobbiamo ammetterlo, si muove in questa direzione, e ci è difficile pensare che il modo di procedere di Lucrezio rappresenti un’alterazione e una ripresa dei principi epicurei originari del pleonachos tropos in un senso più scientifico689, a meno che, come del resto sovente accade, non si fallisca nel comprendere la motivazione ontologica cui Epicuro affidava la validità del proprio metodo. Anche per quanto concerne i contenuti delle spiegazioni fornite, inoltre, non v’è ragione di pensare che Lucrezio risulti più esaustivo di quanto non lo fosse il Maestro. Anzi, in relazione a certi fenomeni, come il lampo, l’Epistola a Pitocle si rivela addirittura più completa e scientificamente adeguata. E anche laddove, si pensi al caso del tuono, il resoconto lucreziano appare più dettagliato rispetto a quello fornito da Epicuro, occorre tenere a mente che, in fondo, l’Epistola a Pitocle altro non è che un compendio della meteorologia epicurea, e che non è quindi da escludere che quel che non è racchiuso in essa non possa essere presente in qualche sezione del Peri

Physeos andata perduta690.

Interessante, infine, richiamare il frammento 13 col. III (Smith) di Diogene di Enoanda riportato ed esaminato nel paragrafo 3.3 della Parte Seconda dell’elaborato. Come si ricorderà, esso alludeva chiaramente alla possibilità di attribuire differenti gradi di

689 Opinione, questa, rintracciabile specialmente negli studi di Bayet (1948, pp. 82 ss.), nei quali viene

rimarcata l’originalità del pensiero lucreziano.

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plausibilità alle varie spiegazioni addotte per un dato fenomeno691. Tentare di istituire un confronto tra le parole di Diogene e i versi di Lucrezio, e interrogarsi sulla plausibilità di ascrivere anche a quest’ultimo qualche sorta di preferenza verso determinate cause piuttosto che altre, contribuisce a far luce su quella che è la riproposizione lucreziana del

pleonachos tropos epicureo.

Un passo del De rerum natura in cui Lucrezio muove chiaramente in direzione dell’esistenza di una causa prediletta è rintracciabile all’altezza dei versi 621-624 del V libro. Qui l’autore dichiara la difficoltà di spiegare fenomeni quali il fatto che il sole e la luna, pur percorrendo (apparentemente) lo stesso percorso nel cielo, impieghino il primo un anno, la seconda soltanto un mese. E aggiunge:

Nam fieri vel cum primis id posse videtur, Democriti quod sancta viri sententia ponit; quanto quaeque magis sint terram sidera propter, tanto posse minus cum caeli turbine ferri.

«In primo luogo sembra che possa accadere / ciò che stabilisce il sacro giudizio del grande Democrito: / quanto più le stelle sono vicine alla terra, / tanto meno possono venire trasportate dal moto vorticoso del cielo».

L’interpretazione di questi versi (specialmente dei primi due) è strettamente dipendente dal modo in cui si sceglie di intendere il cum primis692:

1. generalmente, si tende ad attribuire alla locuzione il senso di “nel più alto grado” o “particolarmente”, cosicché, nel caso in questione, l’intento di Lucrezio consisterebbe nell’affermare che la teoria di Democrito sembra essere possibile “nel più alto grado”;

2. talvolta, tuttavia, si ricorre al cum primis allo scopo di indicare “il primo membro di una serie”, e lo si traduce con espressioni quali “per esempio”, ecc. Questa seconda ipotesi esegetica è adottata, tra gli altri, da Bailey, il quale ritiene che Lucrezio voglia qui riferirsi al primo elemento di una serie di cause alternative693.

691 Cfr. il contributo di Corradi 2016. 692 Bakker 2016, pp. 40-41.

693 Bailey 1947, p. 1421. A favore di questa seconda linea interpretativa, ci pare utile menzionare anche

l’esempio, affine a quello del cum primis, dei versi del VI libro dedicati all’esposizione delle spiegazioni del tuono (96-159), i quali si aprono con il latino principio (96). Il termine, reso da Canali con l’italiano “anzitutto” (Dionigi 1994, p. 539), sembra utilizzato per introdurre, almeno a nostro avviso, semplicemente il primo elemento di una serie, e non la speigazione che, tra quelle enucleate, gode del maggior grado di probabilità.

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Ora, stando alla traduzione proposta in 1., Lucrezio accorderebbe la propria preferenza alla posizione di Democrito, preferenza che, tuttavia, almeno nel contesto in cui si inseriscono i due versi citati, risulterebbe quantomeno immotivata694. In tal senso apparirebbe di gran lunga più verosimile, in riferimento al dettato lucreziano, la traduzione della soluzione 2. Di conseguenza, sembra di poter concludere che l’allusione di Diogene al diverso grado di plausibilità esibito dalle varie spiegazioni sembrerebbe rimandare a un’innovazione accolta all’interno della dottrina relativa al pleonachos

tropos in una fase dell’epicureismo senz’altro successiva non solo allo scolarcato di

Epicuro, ma anche a quella del periodo in cui operò Lucrezio695.

4. La semeiosis e l’analogia

Parimenti a quanto insegnato da Epicuro, e in consonanza con l’intera tradizione del Giardino, anche Lucrezio pone a fondamento dei discorsi intorno ai meteora e agli elementi ultimi del reale una strategia euristica distinta da quella applicabile ai fenomeni percettibili (i prodela epicurei). Per la conoscenza di quest’ultimi, infatti, ciò che si richiede è una visione chiara e perspicua dell’oggetto indagato (enargema, to enarges): quando abbiamo avuto la visione di un oggetto a portata di mano, ne conosciamo la vera natura e possiamo esser certi di non starci sbagliando. Ma la natura delle particelle elementari (primorum natura) è a un livello molto inferiore alle nostre facoltà sensitive (longe nostris ab sensibus...iacet) (II, 312-313), e lo stesso dicasi per la classe dei fenomeni celesti e per i moti delle une e degli altri. Per queste realtà adela, nella gran parte dei casi, la sensazione non è in grado di fornirci direttamente informazione alcuna; talvolta essa ci offre dei segni (semeia) o degli indizi (tekmeria), ma molto spesso possiamo pervenire a essi solo attraverso appositi ragionamenti fondati sull’analogia. Quest’ultima, che già per Epicuro si è appurato costituire un cardine dell’epistemologia e del ragionare induttivo promossi dal Giardino, dimostra ancor più la sua rilevanza se si considera il De rerum natura di Lucrezio. Certamente è nel De signis di Filodemo che essa trova la sua massima teorizzazione696, ma soltanto per i versi del poeta latino diviene essenziale e assolutamente irrinunciabile. Chiunque si dedichi alla lettura di anche solamente una parte del poema, non potrà che condividere questa nostra constatazione: la pregnanza dell’analogia traspare da tutti e sei i libri dell’opera, attraverso un susseguirsi

694 Cfr. Bakker, p. 40. 695 Cfr. ivi, p. 40.

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di esempi analoghi tesi a delucidare e rendere maggiormente intelligibili i principi e le asserzioni più teoriche della lezione lucreziana. Proprio l’ampio spazio dedicato dal poeta all’esemplificazione, perciò, implica un uso preponderante dell’analogia, a riprova del fatto che la considerevole mole di esempi (exempla) addotti non va intesa quale mero vezzo poetico dell’autore, ma come suprema manifestazione di quel pensare induttivo proprio del metodo scientifico epicureo.

Sull’uso dell’analogia in Lucrezio, merita richiamare l’attenzione, in particolar modo, su due questioni. Anzitutto sul fatto che tra i versi di Lucrezio non una volta compare il corrispettivo latino del greco ἀναλογία, vale a dire il termine analogia o, al limite, quello a esso affine di similitudo. Non v’è mai, cioè, nel De rerum natura alcun esplicito riferimento o alcuna teorizzazione di quel metodo secondo similarità su cui è imperniato, oltre che l’insegnamento dello stesso Epicuro, il De signis filodemeo, e sul quale più che mai si fonda, paradossalmente, il modus operandi seguito da Lucrezio durante ognuna delle sue disquisizioni. Soltanto in un’occasione, a nostro avviso, Lucrezio pare alludere, seppur di sfuggita, al funzionamento del procedimento analogico, ovvero al verso 870 del I libro, laddove, rivolgendosi a Memmio, così si esprime:

Transfer item, totidem verbis utare licebit.

«Trasferisci analogamente [il ragionamento ad altro]697, potrai usare uguali parole».

In questo verso è racchiusa, seppur in forma piuttosto spiccia e grossolana, la descrizione di quel “metodo secondo similarità/analogia” (ho kata ten homoioteta tropos: cfr. per esempio De sign., col I, 18-19 o 22-23), meticolosamente teorizzato da Filodemo, su cui si fonda la semeiosis epicurea.

La seconda delle questioni su cui è doveroso soffermarsi è il fatto che, di contro alla “mancanza” della dimensione teorica dimostrata dal dettato lucreziano appena messa in luce, proprio i versi del De rerum natura si rivelano assai eloquenti nella descrizione dei diversi usi cui si presta l’analogia. In modo particolare, ne ricaviamo come il ricorso all’analogia serva a698:

1. determinare un’analogia (II, 112-124: l’eterno agitarsi degli elementi primordiali delle cose nell’immenso vuoto è paragonabile all’agitarsi dei corpuscoli che si osserva nel raggio di luce che attraversa un ambiente oscurato; I, 749-752: i

697 La traduzione di Canali (Dionigi 1994) tralascia il significato letterale della forma avverbiale item,

traducendo la prima parte del verso con: «Trasferisci il ragionamento ad altro,...». Così facendo, tuttavia, finisce per celare quello che è il termine chiave dell’enunciato lucreziano.

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minimi dell’atomo sono paragonabili ai minimi della percezione). In questo caso l’espediente dell’analogia permette di creare una sorta di ponte tra la dimensione del visibile e quella dell’invisibile, promuovendo i fenomeni che si verificano nella prima a vestigia utili allo studio di quelli che avvengono nella seconda. 2. Spiegare uno stato di cose superiore a partire da uno inferiore (II, 142-164: la

velocità degli atomi, disseminati nel vuoto assoluto e non ostacolati da alcunché, è superiore a quella della luce, formata dall’intreccio di atomi e costretta a superare la resistenza dell’aria; IV, 183-198: i simulacri della vista sono simili ai corpuscoli della luce e del calore del sole, ma possiedono, rispetto a quest’ultimi, un moto incredibilmente più veloce). In questo caso l’analogia è funzionale alla messa in luce dell’eccezionalità di un certo fenomeno afferente gli atomi attraverso l’istituzione di un collegamento tra quest’ultimo e un fenomeno che presenta lo stesso tipo di eccezionalità, seppur a un grado inferiore, e del quale riusciamo quanto meno a formarci una vaga immagine.

3. Porre in luce una differenza (II, 272-283: il movimento del corpo che deriva da un atto di libera voluntas differisce da quello indotto da un urto esterno). Qui il ricorso all’analogia permette di far emergere la profonda divergenza tra due eventi, come per esempio due movimenti, che, seppur tipologicamente affini, costituiscono ognuno la risultante di un differente processo causale.

Si osservi, per prima cosa, come in tutti i casi enucleati il fondamento dell’analogia sia, in ultima istanza, la costituzione atomica della realtà699. Per la significatività del vocabolario utilizzato da Lucrezio, vale la pena spendere alcune parole specialmente intorno ai passi indicati al punto 1. Entrambi instaurano un rapporto di analogia tra la