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Motivazione e legittimazione ontologica

L’epistemologia epicurea

3. Il metodo delle molteplici spiegazion

3.2 Motivazione e legittimazione ontologica

Voler comprendere la natura della “molteplicità” chiamata in causa da Epicuro in riferimento al pleonachos tropos, significa anzitutto interrogarsi intorno al significato delle aitiai cui tale molteplicità risulta scritta. Come anticipato, in Pyth. 86 leggiamo che la generazione dei fenomeni celesti presenta molteplici cause (aitiai)397. Il termine aitia si presta a indicare tanto la “spiegazione” quanto la “causa”. Naturalmente, le due opzioni interpretative fanno capo a due livelli distinti della realtà: laddove, infatti, la spiegazione, descrivendo la ragione che sottostà a un dato fenomeno, opera su di un piano linguistico ed epistemologico, la causa, intesa come ciò che produce un certo effetto, pertiene invece alla sfera ontologica del reale398. Prestando attenzione alle diverse occorrenze di aitia presenti nel testo della Lettera a Pitocle, ci si renderà facilmente conto dell’ambiguità che, almeno di primo acchito, tien dietro a questo termine. Nel paragrafo 95, per esempio, l’autore sembra ricorrere al concetto di aitia per riferirsi alle spiegazioni dei fenomeni celesti399, mentre all’altezza del paragrafo 111 l’uso della preposizione para seguita dall’accusativoinduce a pensare, come fa notare Masi, che le aitiai menzionate vadano intese nel senso di “cause”400. Significativa è poi la sezione 113 dell’epistola, in cui l’ambiguità emerge in maniera ancor più lampante, dividendo la critica tra coloro che propendono per rendere le due occorrenze di aitia ivi presenti con “causa” e coloro che, invece, optano per tradurre con “spiegazione”401.

397 Questo il passo per esteso: «ciò non vale per i fenomeni celesti, che hanno invece molteplici cause di

origine e molteplici determinazioni in accordo con i dati dell’esperienza (ὅπερ ἐπὶ τῶν μετεώρων οὐχ ὑπάρχει, ἀλλὰ ταῦτά γε πλεοναχὴν ἔχει καὶ τῆς γενέσεως αἰτίαν καὶ τῆς οὐσίας ταῖς αἰσθήσεσι σύμφωνον κατηγορίαν)» (Pyth. 86).

398 Masi 2014b, pp. 39-40.

399 «E nessuno dei fenomeni celesti costituisce un ostacolo a queste possibilità, purché si ricordi

costantemente il metodo delle diverse spiegazioni e insieme si prendano in esame ipotesi e cause conformi a essi (καὶ οὐθὲν ἐμποδοστατεῖ τῶν ἐν τοῖς μετεώροις φαινομένων, ἐάν τις τοῦ πλεοναχοῦ τρόπου ἀεὶ μνήμην ἔχῃ καὶ τὰς ἀκολούθους αὐτοῖς ὑποθέσεις ἅμα καὶ αἰτίας συνθεωρῇ)» (Pyth. 95).

400 Masi 2014b, pp. 41-42. Il passo in questione è il seguente: «E la loro scomparsa avviene per le ragioni

opposte (τήν τε ἀφάνισιν τούτων γίνεσθαι παρὰ τὰς ἀντικειμένας ταύταις αἰτίας)» (Pyth. 111).

401 Masi 2014b, p. 42. Questo il passaggio dibattuto: «Fornire per questi fenomeni un’unica aitia, laddove

i dati dell’esperienza ne indicano mole, è da pazzi ed è procedura incoerente, propria di coloro che seguono con zelo la falsa astrologia e adducono aitiai prive di fondamento per alcuni fenomeni, perché mai liberano la natura divina da tali incombenze (τὸ δὲ μίαν αἰτίαν τούτων ἀποδιδόναι, πλεοναχῶς τῶν φαινομένων ἐκκαλουμένων, μανικὸν καὶ οὐ καθηκόντως πραττόμενον ὑπὸ τῶν τὴν ματαίαν ἀστρολογίαν ἐζηλωκότων καὶ εἰς τὸ κενὸν αἰτίας τινῶν ἀποδιδόντων, ὅταν τὴν θείαν φύσιν μηθαμῇ λειτουργιῶν ἀπολύωσι)» (Pyth. 113). Se da un lato la doppia occorrenza del verbo apodidomi renderebbe naturale la traduzione di aitia con “spiegazione”, dall’altro la presenza del verbo ekkalein, sottolineando l’insostituibile ruolo dei fenomeni nell’esplicitazione della trama causale, porterebbe a propendere per una traduzione differente (cfr. Masi 2014b, pp. 42-43).

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L’intreccio tra il livello logico-linguistico e quello ontologico che affiora dalla disamina delle occorrenze del termine aitia nell’Epistola a Pitocle può venir dipanato attraverso quanto si apprende da un ulteriore passaggio, sito a cavallo tra i paragrafi 98 e 99 dello scritto, in cui compare la voce aition:

δύνανται γίνεσθαι καὶ κατὰ συγκυρήσεις καιρῶν, καθάπερ ἐν τοῖς ἐμφανέσι παρ’ ἡμῖν ζῴοις, καὶ παρ’ ἑτεροιώσεις ἀέρος καὶ μεταβολάς. ἀμφότερα γὰρ ταῦτα οὐ μάχεται τοῖς φαινομένοις· ἐπὶ δὲ ποίοις παρὰ τοῦτο ἢ τοῦτο τὸ αἴτιον γίνεται, οὐκ ἔστι συνιδεῖν. «I pronostici del tempo si possono produrre sia per un concorso casuale di circostanze, come accade per gli animali che vediamo sulla terra, sia per alterazioni e trasformazioni dell’aria: perché nessuna di queste due possibilità è in contrasto con i dati dell’esperienza. Ma non è dato sapere in quali occasioni l’aition sia l’uno o l’altro».

Aition, in questo contesto, indica chiaramente uno stato di cose che è alla base del

verificarsi di un certo fenomeno402. È importante notare, inoltre, come la causalità, espressa attraverso le preposizioni para e kata seguite dall’accusativo, sia qui connessa all’idea di possibilità, segnalata, a sua volta, dalla forma verbale dynantai403. Come opportunamente sottolineato da Masi, mantenendo sullo sfondo queste considerazioni, sembra possibile sciogliere l’ambiguità legata al concetto di aitia nell’ambito dello studio dei meteora, «by tracing the notion back to the semantic field of dynamis», ovvero riportando l’aitia alla “possibilità causale” («causal possibility») di un dato fenomeno404. Mossa, quest’ultima, estremamente vantaggiosa, dacché consente, fra l’altro, di non appiattire la nozione epicurea di aitia a quella di entità corporea che agisce esclusivamente in virtù del proprio potere cinetico e in maniera autonoma rispetto all’andamento del contesto causale in cui è inserita405.

Tornando all’asserzione di Epicuro in Pyth. 86 circa la molteplicità delle aitiai sottostanti i meteora, è alquanto verosimile che il riferimento sia al fatto che ognuno di tali fenomeni possiede molteplici possibilità causali del proprio verificarsi («a multiple causal possibility of occurring»)406. Per cogliere come questo modo di interpretare le

aitiai dell’Epistola a Pitocle possa rivelarsi funzionale alla comprensione delle effetive

intenzioni di Epicuro, occorre interrogarsi anzitutto sul tipo di relazione che intercorre tra

402 Masi 2014b, p. 43. 403Ibid.

404Ibid. Il legame tra il termine aitia e il campo semantico della dynamis trova conferma anche seguenti

luoghi del corpus epicureo: Pyth. 97, Hrdt. 63-66 e 81, Nat. XXV ([34.24] Arrighetti).

405 Masi 2014b, pp. 41 e 47. 406 Ivi, p. 47.

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queste “molteplici possibilità”, per poi passare a prendere in esame il concetto stesso di “possibilità causale”407.

In riferimento alla prima questione, sembra interessante chiedersi se Epicuro considerasse parimenti vere le soluzioni avanzate per ogni singolo fenomeno. Benché in merito non sia rintracciabile alcuna dichiarazione esplicita, il criterio della non smentita da parte dei fenomeni sembrerebbe di fatto vagliare ognuna delle diverse spiegazioni. Si osservi però che la non smentita che traspare dal dettato dell’Epistola a Pitocle presenta caratteri differenti rispetto alla non smentita che ritroviamo applicata ai principi fondamentali della realtà. Per poter comprendere la questione, risulta vantaggioso prendere in esame il seguente passo della lettera, dedicato al sorgere e al tramontare del sole, della luna e delle stelle:

ἀνατολὰς καὶ δύσεις ἡλίου καὶ σελήνης καὶ τῶν λοιπῶν ἄστρων καὶ κατὰ ἄναψιν γίνεσθαι δύνασθαι καὶ κατὰ σβέσιν, τοιαύτης οὔσης περιστάσεως καὶ καθ’ ἑκατέρους τοὺς τόπους, ὥστε τὰ προειρημένα ἀποτελεῖσθαι. οὐδὲν γὰρ τῶν φαινομένων ἀντιμαρτυρεῖˑ <καὶ> κατ’ ἐκφάνειάν τε ὑπὲρ γῆς καὶ πάλιν ἐπιπροσθέτησιν τὸ προειρημένον δύναιτ’ ἂν συντελεῖσθαι· οὐδὲ γάρ τι τῶν φαινομένων ἀντιμαρτυρεῖ.

«Il sorgere e il tramontare del sole, della luna e degli astri [1] è possibile avvenga per accensione o spegnimento, se in ambedue i luoghi le condizioni siano adatte a produrre i fenomeni suddetti: perché ciò non è in contraddizione con nessuno dei dati dell’esperienza. [2] Ma potrebbe anche verificarsi per apparizione sopra la terra e successivo occultamento: nemmeno questo è in contraddizione con i dati dell’esperienza» (Pyth. 92).

Quest’idea di assenza di disaccordo con i dati dell’esperienza, che ricorre numerose volte all’interno dell’epistola, legittimando più spiegazioni di un medesimo fenomeno, non soddisfa, a ben vedere, i requisiti del criterio della non smentita segnalati dal resoconto di Sesto Empirico408. Secondo quanto asserito da quest’ultimo, infatti, la non smentita di un’opinione (doxa o hypolepsis) è l’esito della smentita della negazione della medesima opinione, operazione che, a sua volta, consente di stabilire la verità esclusiva dell’ipotesi in questione. Questa procedura, in Epicuro, trova effettiva applicazione relativamente a quei problemi che ammettono un’unica spiegazione possibile, vale a dire le questioni concernenti i principi fondamentali del reale (il fatto, per esempio, che nulla si genera da ciò che non è, che il tutto rimane immutato, che il tutto è composto di corpi e vuoto,

407 Ivi, pp. 48 ss.

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l’esistenza del vuoto, ecc.) (Hrdt. 38-40)409. Nel contesto appena esaminato dell’Epistola

a Pitocle, invece, secondo Bakker, la non smentita assume, per così dire, una portata

epistemologica meno “stringente”, finendo per coincidere con la mera assenza di

smentita, la quale, non pervenendo all’identificazione di una verità esclusiva, arriva

soltanto a stabilire la possibilità di ognuna delle varie spiegazioni avanzate per un determinato fenomeno410.

La presenza di numerose motivazioni ugualmente vere, spesso addirittura mutualmente esclusive, potrebbe far temere una violazione del principio di non contraddizione, che Epicuro, tuttavia, era ben lungi dal negare411. In realtà, proprio in virtù dell’essere ognuna delle aitiai addotte soltanto possibile (definibile, come accennato, nei termini di una “possibilità causale”), e non esclusivamente vera, fa sì che, da ultimo, risulti conservata la validità dei principi logici fondamentali. Il fatto che, tuttavia, Epicuro, in Pitocle, scelga di definire vere e coesistenti, e non soltanto possibili, le diverse spiegazioni, troverebbe giustificazione, secondo la gran parte degli studiosi contemporanei, nel dettato lucreziano, che a tal riguardo, a loro dire, sembra rivelarsi massimamente chiarificatore. Lucrezio, infatti, come avremo modo di vedere in seguito412, appellandosi al cosiddetto “principio di pienezza” (“principle of plenitude”)413 (DRN V 526-533, cfr. anche VI 703-710), dà a intendere che, sebbene nel nostro mondo ogni spiegazione possa al limite definirsi possibile, in riferimento alla totalità dell’universo, composto di infiniti mondi, ogni spiegazione possa invece legittimamente dirsi anche vera414. Data l’infinità dell’universo, infatti, ogni possibilità deve poter trovare la propria realizzazione, se non qui, senz’altro altrove, ossia in uno degli altri mondi possibili. Influenzati da questa dottrina lucreziana, gli interpreti moderni hanno attribuito a Epicuro, il quale ammetteva che il nostro è solo uno tra gli infiniti mondi, che spazio, tempo e materia sono infiniti, e che tutte le possibilità giungeranno a compimento, l’idea che ogni possibile spiegazione di un certo fenomeno celeste prima o poi sarebbe stata soddisfatta415.

Alla luce delle testimonianze analizzate, sembrerebbe perciò possibile ascrivere a Epicuro due differenti concezioni della non smentita: quella che potremmo qualificare

409 Cfr. Bakker 2016, pp. 17-18. 410 Ivi, p. 23.

411 Ivi, p. 13.

412 Cfr. Parte Terza, cap. 3.

413 Fr. 266 Us. Per uno studio intorno a tal principio e alle sue varie formulazioni, si veda Lovejoy 1933. 414 Cfr. Bakker 2016, p. 21-22.

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come non smentita in senso stretto, presentata da Sesto Empirico ed effettivamente operante in Hrdt. 38-40; e quella meno stringente che si evince dalla trattazione dei

meteora nell’Epistola a Pitocle. Questa duplice valenza della non smentita, ha indotto gli

studiosi a propendere verso una delle seguenti soluzioni416:

a. entrambe le accezioni sono corrette, ed Epicuro se ne serve alternativamente a seconda del contesto417;

b. solo il resoconto di Sesto è corretto, e l’uso della non smentita che traspare da

Pitocle deve venire a esso ricondotto: la non smentita, perciò, non va applicata

alle singole spiegazioni alternative, ma solo alla disgiunzione (in aut) di tutte le varie spiegazioni418;

c. il resoconto di Sesto è scorretto o perlomeno incompleto. L’unica testimonianza attendibile in merito alla concezione della non smentita epicurea è quanto si ricava dalla Lettera a Pitocle419.

A fronte di questa problematica, si rivelano decisive alcune considerazioni in merito alla relazione tra le varie aitiai prospettate per uno stesso fenomeno. Si consideri il seguente passaggio dell’Epistola a Pitocle:

ἔκλειψις ἡλίου καὶ σελήνης δύναται μὲν γίνεσθαι καὶ κατὰ σβέσιν, καθάπερ καὶ παρὰ ἡμῖν τοῦτο θεωρεῖται γινόμενον· καὶ ἤδη κατ’ ἐπιπροσθέτησιν ἄλλων τινῶν, ἢ γῆς ἢ ἀοράτου ἤ

416 Bakker 2016, pp. 23-28.

417 Questa prima soluzione è stata formulata e difesa da Striker (1974, p. 76). La studiosa, inoltre, spiega

che solo la non smentita in senso stretto, ossia quella ottenuta dalla negazione dell’ipotesi contraria a ciò che si vuole dimostrare, viene investita da Epicuro del ruolo di condizione di verità, laddove la non smentita in senso “debole” può fungere da criterio del vero solo in virtù del un ricorso al “principio di pienezza” (cfr. Bakker 2016, p. 24).

418 Questa seconda lettura della non smentita, escogitata da Hankinson (1999, p. 221-223), prevede che la

spiegazione epicurea dei meteora assuma la forma di una disgiunzione di tutte le spiegazioni formulate per ciascun fenomeno: «x occurs because either E1 or E2 or ... En. At most one of the Eᵢ’s can be the true explanation (cfr. DRN VI 703–704); but if the disjunction is sufficiently all-embracing, one of them will be: and that is all that is required». (Cfr. Bakker 2016, pp. 24-25). Interessanti, a riguardo, le due problematiche sollevate da Masi (2014b, p. 50 n. 37) nei confronti di siffatta interpretazione (che la studiosa definisce “tradizionale”) del metodo delle molteplici spiegazioni: a) le spiegazioni fornite sono sempre espresse, dall’autore dell’Epistola a Pitocle, in forma disgiuntiva?; e b) la disgiunzione è sempre onnicomprensiva? Vale a dire: è sempre possibile indicare un numero limitato di spiegazioni per ogni processo dato?

419 Questa terza e ultima presa di posizione, la cui formulazione presenta un certo numero di variazioni,

annovera le tesi di Sedley (Long-Sedley 1987, vol. I, pp. 90-97), Asmis (1984, pp. 178-180; 193-196; 211; 321-336) e Allen (2001, pp. 194-205; 239-241). Senza voler entrare nel dettaglio delle differenti accezioni proposte, ci limitiamo a ricordare che, secondo quest’approccio, l’autentica forma di non smentita è quella reperibile in Pitocle. Di conseguenza, Epicuro o non considera la smentita del contraddittorio come un criterio in sé, pur ricorrendovi in Hrdt. 38-40, oppure ritiene che la smentita del contraddittorio possa venir sussunta sotto il criterio della non smentita. (Cfr. Bakker 2016, pp. 25-28).

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τινος ἑτέρου τοιούτου420. καὶ ὧδε τοὺς οἰκείους ἀλλήλοις τρόπους συνθεωρητέον, καὶ τὰς

ἅμα συγκυρήσεις τινῶν ὅτι οὐκ ἀδύνατον γίνεσθαι.

«L’eclissi del sole e della luna può avvenire sia per spegnimento, come si vede accadere anche nel nostro mondo, sia anche per interposizione di qualcos’altro, della terra o della faccia non visibile della luna o di un altro corpo celeste del genere. E così bisogna considerare tutte le spiegazioni che siano fra loro in armonia e pensare che non è impossibile si verifichi un concorso di circostanze» (Pyth. 96).

In chiusura del passo Epicuro afferma che alcune delle spiegazioni/possibilità chiamate in causa sono fra loro in armonia, quando non addirittura vulnerabili di verificarsi simultaneamente. A questo punto, sembrano prospettarsi due diverse soluzioni esegetiche circa il rapporto tra le molteplici possibilità:

1) Epicuro ci sta dicendo che al fenomeno dell’eclissi sottostanno numerose possibilità causali, spesso tra loro concomitanti;

2) Epicuro ci sta dicendo che, in cima alle possibilità ricordate, ve ne sono delle altre da esse derivanti421.

Come intuito e spiegato da Masi, l’ipotesi 1) non può venir ricondotta al modello interpretativo di stampo lucreziano proposto dagli studiosi contemporanei, mossa che risulta invece legittima qualora si assuma la soluzione 2)422.

Si focalizzi ora l’attenzione sul paragrafo 99 della lettera, avente a tema il fenomeno atmosferico della formazione delle nubi:

νέφη δύναται γίνεσθαι καὶ συνίστασθαι καὶ παρὰ πιλήσεις ἀέρος <ὑπὸ> πνευμάτων συνώσεως καὶ παρὰ περιπλοκὰς ἀλληλούχων ἀτόμων καὶ ἐπιτηδείων εἰς τὸ τοῦτο τελέσαι καὶ κατὰ ῥευμάτων συλλογὴν ἀπό τε γῆς καὶ ὑδάτων· καὶ κατ’ ἄλλους δὲ τρόπους πλείους, αἱ τῶν τοιούτων συστάσεις οὐκ ἀδυνατοῦσι συντελεῖσθαι. ἤδη δ’ ἀπ’ αὐτῶν ᾗ μὲν θλιβομένων, ᾗ δὲ μεταβαλλόντων ὕδατα δύναται συντελεῖσθαι. «Le nubi possono nascere e formarsi [1] sia per condensazione dell’aria sotto la spinta dei venti, [2] sia per l’intrecciarsi di atomi uniti l’uno all’altro e adatti a produrre questo fenomeno, [3] sia per la confluenza di emanazioni dalla terra o dalle acque; sia in tutti gli altri modi in cui non è impossibile si formino tali addensamenti».

420 Versione proposta da Usener 1887, pp. XVIII-XIX (Russello 2010, invece, riporta ἢ γῆς ἢ οὐρανίου {ἤ}

τινος ἑτέρου τοιούτου).

421 Masi 2014b, p. 52. Molto efficace e chiarificatrice la schematizzazione grafica delle posizioni 1) e 2)

riportate dalla studiosa (Ivi, pp. 52-53).

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Delle tre spiegazioni addotte dall’autore, la [2] si distingue dalle altre due in quanto, appellandosi ai principi primi dell’atomismo, risulta essere sempre vera. Le soluzioni [1] e [3], da parte loro, debbono invece poter reperire in [2] il loro fondamento “metafisico”, ovvero i movimenti atomici di cui esse sono epifenomeno. Ma come si relazionano le ipotesi [1] e [3] con la [2]? Due le ipotesi:

1) o ammettiamo una situazione di alternanza, e quindi di riconducibilità di [1] e [3] a [2] (attribuendo così a Epicuro una dottrina riduzionista, in cui il potere causale dei livelli più alti della realtà è riducibile a quello dei livelli inferiori);

2) oppure possiamo ipotizzare una situazione di sopravvenienza (ascrivendo perciò a Epicuro una teoria anti-riduzionista, in cui il potere causale dei livelli più alti della realtà sopravviene sul potere causale di quelli inferiori e non può venir a esso ridotto)423.

Infine, guardando solo di sfuggita al paragrafo 110 di Pitocle, in cui vengono enucleate tre ragioni dell’immagine (phantasma) della forma circolare dell’arcobaleno424, si osservi come le spiegazioni riportate dal filosofo non diano luogo a tre alternative distinte, giacché, come ricordato da Masi, il fenomeno dell’immagine della circolarità potrebbe derivare da una combinazione tra l’attività del vedere e il comportamento dell’oggetto percepito425.

Alla luce dei passi riportati, sembra opportuno concludere, con Masi, che «the causal possibilities Epicurus provides cannot always be understood as different alternatives»426, come vorrebbero i critici contemporanei, i quali, come accennato, tendono a interpretare il metodo delle molteplici spiegazioni attraverso la lettura che ne dà Lucrezio nel suo De

rerum natura.

Stabilito ciò, occorre indagare più da vicino il concetto di “possibilità causale”. A partire dagli studi condotti da Epicuro intorno ai fenomeni del lampo (astrape) (Pyth. 101-102), della neve (chion) (107-108) e delle comete (kometai) (111), è possibile intravedere come la nozione di “possibilità causale” sia strettamente relata alla potenzialità della materia che funge, per così dire, da “sostrato” del fenomeno esaminato, capace di dispiegare una complessa ed estremamente articolata trama di rapporti causali, in cui la potenzialità intrinseca a ciascuno dei fattori viene attivata attraverso l’azione di

423 Masi 2014b, p. 54.

424 1) la distanza dall’arcobaleno; 2) il formarsi di aggregazioni di atomi contenuti nell’aria aventi forma

circolare; 3) il formarsi di aggregazioni di atomi presenti nelle nubi aventi forma circolare.

425 Masi 2014b, p.55. 426 Ivi, pp. 55-56.

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uno o più degli altri elementi coinvolti427. Si osservi, per esempio, il resoconto circa la formazione della neve:

χιόνα δὲ ἐνδέχεται συντελεῖσθαι καὶ ὕδατος λεπτοῦ ἐκχεομένου ἐκ τῶν νεφῶν διὰ πόρων συμμετρίας καὶ θλίψεις ἐπιτηδείων νεφῶν ἀεὶ ὑπὸ πνεύματος σπορᾶς, εἶτα τούτου πῆξιν ἐν τῇ φορᾷ λαμβάνοντος διά τινα ἰσχυρὰν ἐν τοῖς κατώτερον τόποις τῶν νεφῶν ψυχρασίας περίστασιν. καὶ κατὰ πῆξιν δ’ ἐν τοῖς νέφεσιν ὁμαλῆ ἀραιότητα ἔχουσαν τοιαύτη πρόεσις ἐκ τῶν νεφῶν γίνοιτο ἂν πρὸς ἄλληλα θλιβομένων, ὑδατοειδῶν καὶ συμπαρακειμένων· «La neve si può formare quando una sottile pioggia si riversa da nubi che abbiano pori simmetrici e per la pressione di nubi a ciò adatte, pressione violenta in virtù della spinta dei venti, e per il successivo congelamento durante la caduta, a causa del forte raffreddamento che si verifica nella regione inferiore alle nubi; oppure tale precipitazione può avvenire perché si congela in nubi con porosità regolare, per il comprimersi l’uno contro l’altro di elementi acquei giustapposti» (Pyth. 107).

Le molteplici aitiai che possono giustificare la generazione della neve dipendono perciò tanto dalle diverse disposizioni della materia cui ineriscono i processi implicati, quanto dalle condizioni (spazio-temporali, ecc.) che contribuiscono al verificarsi di tali processi. La messa in luce del delicato intreccio causale sottostante ciascuno dei meteora consente fra l’altro di comprendere per quale ragione un singolo fenomeno possa ammettere soltanto un numero limitato di aitiai. Derivando quest’ultime dalla costituzione, dall’attività e dalle disposizioni dei corpi, nonché dalle condizioni richieste per il verificarsi di ognuno dei fenomeni, è evidente che la loro molteplicità, per quanto variegata possa essere, debba risultare necessariamente stabile e limitata428. Naturalmente, il numero di potenzialità causali messe in gioco è direttamente proporzionale alla complessità del fenomeno investigato. Nel caso di processi adela estremamente articolati, la cui indagine rigorosa delle responsabilità causali di ognuno dei fattori coinvolti risulta pressoché impossibile, come nel caso dei processi che attivano le potenzialità presenti nella materia di cui sono costituiti i meteora, «we only need to show that we are capable of determining these potentialities – i.e. that we are able to identify them on the basis of the atomistic theory, without invoking any divine cause»429.