• Non ci sono risultati.

Non dubito punto de’ vostri nobili intendimenti ; ma che volete? quel cavare a luce e ingrandire fuor di misura tutto ciò che fra no

v’ ha di cattivo e nascondere quel po’ di bene che pur si fa ; quel re­ care a nulla qualunque riputazione, quel levare i pezzi a’ migliori, scu­ satemi, signor Dottore, non mi pare indizio di amor patrio, ma di ra t-

biosa sete di maldicenza e di bieco abito di amare 1’ Italia in id e a , ma di sbranarla n el fatto. A questo non credo che abbiate a replicare; e sì sapete, che uomo io mi sia ; e se alla gatta io sia solito dire altro c h e gatta.

Maestro. Così è : la cosa va non pur con quattro, ma con sei piedi. Chi odia g l’ ita lia n i, disse un valentuom o, non ama l ’ Ita lia , perchè la patria non istà ne’ sassi, ma ne’ suoi figliuoli. Ma di ciò basti: chè il tempo passa, e a me preme che non sieno interrotti g li utili ragio­ namenti vostri intorno a lla educazione fisica d e’ giovani e a’ modi di farla riuscire a bene.

P . Poiché così a voi piace, mi rimetto a l l ’ argomento. E qui tra­ lascio di parlare d ella nudrizione e d ella qualità de’ cibi e di altre cose che più propriamente a lla educazione domestica appartengono. Ometto pure la pulitezza del vestire, sebbene al maestro spetti di fare ogni o- pera che se ne abbia conto; nè m’ indugio sul modo conveniente onde hanno a sedere i giovani n e lla scuola, quando attendono a udire le le ­ zioni e a sc r iv ere, senza che ne scapili 1’ attenzione della mente e la sanità d el corpo. Mi bado solamente un poco n egli esercizi d el corpo, eh’ io reputo di somma importanza. Come le facoltà d ello spirito eser­ citandosi s’ invigoriscono e rinforzano; così anche q u elle del corpo cre­ scono e si fortificano c o ll’ esercizio. Con questo la fibra muscolare si assoda, ogni organo acquista maggior vigore; con questo si tempera la soverchia sensibilità, se ne frena il morboso predominio, e , q uello che più rileva, si diverte la mente da’ gravi pensieri che nè logorano e sfrut­ tano a poco a poco le forze. E se tali considerazioni valgono per tutti, sembra ch e in ispecial modo convengano a coloro che attendono agli sludi; ne’ quali quanto è più forte l ’ attività d ello spirito, tanto mag­ giore dev’ essere l ’ esercizio del corp o, per istabilire e mantenere tra la forza motrice e la sensitiva q u ell’ equ ilib rio, in cui veramente di­ mora la sanità. Ora a tal fine giovano assaissimo g li esercizi ginnastici e il congiungere, per quanto è possibile, il lavoro d ella mente con quello del corpo. Le quali cose pare che sieno richieste dagli stessi istinti della prima e tà , a’ quali non si può contrastare senza far violenza alla me­ desima natura. Costringere i fanciulli alla immobilità e a lla inerzia fi­ sica; obbligarli anzi tempo ad una continua operosità mentale e ad un se­ vero sistema per adusarli a lle ordinate abitudini d ella v ita , torna il medesimo che opporsi a lle condizioni d ella loro età e a lle naturali loro inclinazioni. Ma g li antichi non si governarono così: essi tenevano la ginnastica come una parte essenziale d ella educazione, e la consacra­ rono ad À p o llin e, dio d ella sanità, d ella forza e d e ll’ ingegno; e coi

loro esempi ben dimostrarono che si può congiungere lo svolgim ento e la perfezione delle forze fisiche con q u ello d elle facoltà in tellettu ali.

Piatone non fu men valoroso nel ginnasio che n e ll’ accademia, e Pita­ gora riporlo il premio in E lid e.

Ma, oltre alle ginnastiche esercitazioni, io vorrei che n elle scuole si congiungesse col lavoro d ella mente anche l ’opera della mano. Sarebbe veramente utile, che i fanciulli attendessero, per atto di esempio, a dise­ gnare, a ritrarre le carte g eografiche, a ordinar l ’e rb a rio , a disporre il piccolo museo della scuola, e ad altre operazioni di simil natura. E se alla scuola fosse congiunto un piccol giardino, oli! quanto sarebbe a p ro ­ posito ! Assai profittevole esercizio e indicibile diletto sarebbe per e s s i, ora l ’ affidare a l l a te rra un seme n o v e llo , ora l ’ inaiiiare e rip u lire i crescenti fiori, ed ora ad altre opere por mano che sono richieste d a lla varietà del tempo e della stagione.

Sind. O h , questo è troppo ! A voler provvedere a tante c o s e , do- vrebbesi sprecar molto denaro e mandar male tutte le entrate del co­ mune eh’ è già ridotto a l verde.

P. Mi guardi il cielo che io voglia condurvi a metter fondo a quel­ l o , di cui dovete esser geloso e fedele custode: anzi io non posso non lodare lo z e lo , onde vi mostrale cesi buon massaio d elle cose d e l co­ m une; m a , a dirla come la sento, secondo mio usato, e’ non mi p ar commendevole il vezzo di restringere a lla sola istruzione i sottili rispar­ m i, e di

andarvi sempre attorno con le force

per recarla al nulla.

Med. Ma non si può negare che le cose procedevano m e g lio , q u a n ­ do non si badava a tante fanfaluche!

P . Poffare il mondo ! il dottore ha la virtù di am algam are e accoz­ zare insieme

con m irabili tempre

r e s o l i s i d i s s o c i a b i l e s , l ’ acceso a - more di un progresso infinito e l ’ ardente brama del passalo ! Ma lascia­ mo , a chi il v u o le , di sverlare intero il suo sacco, e torniamo in via. L ’ esercitare colla mente anche il c o rp o , il congiungere col lavoro d e l­ lo spirito anche quello d ella m a n o , io credo che torni utilissimo p e r due altre ragioni di cui lascio a voi divisare la importanza. L a prim a è , che i giovani incominciano di buon’ ora ad avvezzarsi al l a v o r o , ad essere veramente utili n ella fa m ig lia , ne’ negozii, nel commercio; ad acq u ista re , insom m a, q u e lla facoltà preziosa che chiamasi

aver la te­

sta con sè

ed

esser presenti a sè medesimi

; facoltà e h ’ è divenuta as­ sai r a r a , per il cattivo indirizzo pratico dato a lla istruzione prima. On­ de abbiamo veduto giovani c h e , sebbene non privi di cognizioni, fecero assai m ala prova nel commercio e ne’ n eg o z i, a cui si dedicarono. Es­ si , sforniti di q u e ll’ anliveggenza, di q u e ll’avvedimento , attività e p ron­ tezza che facevan loro mestieri p er non perder mai di vista il passato, per aver l ’ occhio a tutto il c e rc h io , anzi a tutti i circoli degli affari di cui erano centro, e per ischermirsi da pericolosi co n co rren ti, rim a­ sero a mezza v i a ; e d alle poco onorate cadute non valsero a camparli nè le regole della g ram m atica, nè le definizioni d ella geografia, n è a l ­

tre così falte tiritere apprese macchinalmente n ella scuola. L’ a l t r a r a ­ gio n e, che mi spinge a commendare il lavoro m a n u a l e , è , c h e i f a n ­ ciulli hanno così l ’ agio di osservare da sè e di ra ffrontare, alm eno in p a r i e , quello che venne loro letto e insegnato con ciò che veggono ed operano essi medesimi. Onde le loro conoscenze si rendono p r o p r i e , ma­ t u r e , viventi e tali che si possono t e n e r e , non come u n a m erce com­ p ra o tolta in p re s tito , ma come u n a produzione l o r o , una quasi g e ­ nerazione interiore del loro spirito.

Ma l ’ora è scorsa, ed è ornai tempo di raccoglier le v e le . L ’ uo­ mo è m ente e corpo : suo uffizio è di pensare ed o p e ra re . Conducia­ mo adunque la educazione per modo c h e la sanità del corpo dia for­ za ed energia a lle facoltà dello spirito : illuminiamo l a mente e svol­ giamone intera la potenza; ma non omettiamo di coltivare e fortificare il corpo. E se le cose fin qua dette non valgono a persuaderci d e lla importanza di così fatta e d u c a z io n e , ci muova il pensare e h ’ essa può metterci in grad o di p rep ararci il futuro col senno e col v a lo re e di adem piere i gravi obblighi che abbiamo verso la patria n o stra. Nè ci esca di mente che ci sa rà difficile m antenere la conquistata indipenden­ za , e impedire che di qui innanzi 1’ Italia suoni agli stranieri nome di s c h e r n o , se non torniamo agli esercizi e a lle severe abitudini c h e d ie ­ dero a ’ uostri padri tanta gagliardia di mente e di braccio.

E qui ebbe fine il ragionamento. Nessuna disputa di Panfilo sortì mai m iglior esito di q u e lla . A l curato più non parv e biasimevole il p rov­ v edere a l l a sanità non pu r d e lla m ente m a del corpo ; e si avvide che assai m ale si appone chi a l l e nuove istituzioni d à biasimo e m ala v o ­ ce p er questo; e il medico cominciò ad avere in maggior conto l ’ igiene. Lo speziale poi andava lieto e superbo che q u e lla conversazione g li avea conceduto di smaltire e sciorinare tutta la m a te r ia c h im ic a che da tanto tempo aveva in corpo. Ma Panfilo e ra assai più lieto d e ’ trionfi r ip o r­ tati sul sindaco e sul m aestro. 11 prim o si persuase che la istruzione po­ polare fosse da avere in m a g g io r considerazione e c h e , a voler esse­ re veram ente massaio n e l l e entrale d e l c o m u n e, a ben a l t r e cose con­ venisse riserbare i risparm i. E il maestro che di buona indole e ra e di non cattivo i n g e g u o , venne n e lla persuasione c h e il sistema d e lla im ­ m o b ilità non fosse 1’ ottimo t r a ’ possibili, còme sino a llo ra av e a c re d u ­ t o , e che bisognasse dism etterlo.

Ondechè Panfilo partì assai contento a lla volta di Napoli ; e , q u an ­ do p er via gli venivano a m ente le gonfie e ampollose p a ro le d e l m e­ dico , le sue v is c e r e u m a n ita r i e e la v a s t i t à im m e n s a di quel cuore che n e ’ suoi impeti amorosi abbracciava non il suo p a e s e , non la nazione s o ­ la m e n te , ma tutta l ’ u n iv e rs a lità del g e n e r e u m a n o , non poteva non i- sbellicarsi d e lle risa.

IN MORTE

D I

G A B R I E L E S T E F A N E L L I

C A R M E

m

aa^^a^a

Gabriele Stefanelli era giovane di pronto ed eletto in g e g n o , di cuor gentile e nobilmente acceso di carità di patria e di am ore verso il bel­ lo. Sortita una singolare attitudine a l l a filologia com parata ed a lle clas­ siche le tte re , a cui di buon’ora 1’ aveano innammorato le dotte ed e le ­ ganti lezioni degli egregi prof, del nostro L ic e o , recavasi in JNapoli p er dar compimento ai suoi prediletti studi e m atu rare quei buoni germi c h e qui con tanta cura avea amorosamente ricevuti. Ma nel più bello d elle speranze, nel più vago e sorridente corso d ella vita spegnevasi non ven­

tenne ancora e pochi dì innanzi d’ esser onorato di pubblico premio d a l­ la Facoltà di Filosofia e Lettere della Università di Napoli p e r ima sua nobile ed elegante prosa latina. E non è già 1’ anno e h ’ ei si moriva. Ora i fratelli con pio e generoso pensiero intendono a raccogliere una

nobile ghirlanda di fiori p er onorarne la to m b a , ed uno dei più f r a ­ granti ed odorosi è questo q u i , colto al giardino del nostro Alfonso Linguifi. L ’ affetto vivissimo verso un antico discepolo , che a lle amo­ rose e sapienti cure del maestro rispondeva con mirabile prontezza e ri­ verente ossequio, spirò questo mesto e pietoso Carme , che deve far parte della R a c c o lta d i v e r s i e p r o s e , che tra non molto sarà pubbli­ cata in memoria d e l compianto giovane. ( D . ) D ella fiorente giovinezza appena

i l limitare entravi; e dal tuo sguardo, Da’ tuoi sembianti un’ alma tralucea Clie, de’ terreni lim iti sdegnosa, A più sublimi regioni aspira,

A più vasti orizzonti. E , tolto a questo Aer sì bruno, col pensier salivi Meco ad un mondo, dove un allro sole

111 più limpido c ie l splende più bello; Dov’ è perfetla ogni sembianza, dove N ella pura sua luce Iddio trionfa. Ma troppo avversa a’ v o li dello spirto È la gelida età: dalle fangose Ime v a lli una nebbia invida sale D ’ un’ anima a turbar l ’ estasi e 1’ alte Limpide visioni. Onde aspiravi A’ be’ tempi di Pindaro e d’ O m ero, Come g li esuli prim i a’ vaghi fiori, A’ be’palmeti, a ll’ aure profumate

D e ll’ edenne perduto. Oh! c i rapisca, A me dicevi, del pensiero i l volo Sotto il c ie l della Grecia, a’ dì b eati, A llor che in m ille e m ille forme il vero T u tte di cara leggiadria vestite Sorrideva a lle menti; iv i è d ell’ alma Che a’ rai del B ello irrequieta anela E a ll’ armonie d’ amor, la patria vera. E chi diria, con quanto ardor, eo a quanto T ripudio 1’ ale desiose e pronte

I l tuo spirto movea? chi l ’ infinita Serena voluttà che li rapia A contemplar quella diffusa p ace, Q uel sorriso di cara giovinezza. Quel mirabile accordo e quel riposo Che la greca ritrasse arte ispirata. 1 Or pendevi da’ labbri desioso D el meonio cantore, e degli eroi S i dipingea l ’ età n el tuo pensiero.

1 S i allude a g li stu d i le t t e r a r i, e specialm en te d e ’ c la s sici g r e c i, fa lli d a l g io­ vane S te fa n e lli sotto la direzion e d e ll’ A .

Or su lle sacre assiso ed im mortali T erm op ili d’ eroi tomba, ascoltavi D i Sim onide i carm i, e t’ accendea L ’ ira de’ greci p etti; ora g li atleti A tton ito m iravi e il campo eleo ; E l ’ inno li rapia che a’ vin citori D ’ una lu c e im m ortai cin se la fronte. Sparsa le chiom e, immota la p u p illa , Infranto i l serto che le ambrosie dila L e cinser d e lle muse, e l'au rea lira A l p iè n egletta, in riva al mar vedesti La fa n ciu lla di Lesbo, e le dolenti U ltim e note dell’eolie corde D ’ arcana t’ inondàr mesta dolcezza. D ’ un platano la m olle om bra t’ accolse N e lla va lle d’ Ilisso, ove al m eriggio Socrate s’ assidea c o l vago F ed ro A ragionar d’ amore; e la sublim e V oce ti parve udir, che, ragionando D e ll’ avvenir d ell’ anim a im m ortale, L ’ umana speme alzò. F ra così b elle Im m agini la tua m ente vagava Inesperta del mondo. O gio v in etto , Oh! quante generose anim e ardenti A respirar le stesse aure serene Schiusero il volo n e ll’ età novella; Ma, a ll’ apparir del vero, a poco a poco V an ì qu el cielo d i purpurea lu ce A g li occh i desiosi, e loro intorno S i distese un deserto. A te la morte D iede 1’ ale a salire o lire le quele Cime del greco olim po, e g li occh i tuoi A lla volgar sottrasse ed ingioconda R ea ltà delle cose. A vventurato! L ’ infinita bellezza ond’ e ri v a g o , D i sua luce t’ inonda. O ltre l ’ avello N on vola c o l pensiero, e in queste brevi N o tti la vita circoscrive e chiude Chi su te gem e, quasi fior caduto Innanzi tempo, od arpa a cui le corde D ’ improviso si ruppero n e l mezzo D ’ un soave preludio. A ltrove l ’ opra Incom inciata su lla terra, altrove Compier si dee, lassù dove drizzasti L a punta del desio. D e la seconda V ita era inizio q u ell’ arcana ardente S ete d el ver, q u ell’im peto geritile, Q uell’agile pensier che alle natie B ellezze dell’ achee forme ti volse. Oscuro, è ver, passasti, e la ghirlanda

Colta nel primo giovanile agone La tua bara infiorò; 1 pur su lla terra T u non m oristi intero; im pressa e sculla V iv e in un cor che non conosce oblio L ’ im m agin tua, n el core d’ una madre. T i vede e lla per tutto, e d’ ogni loco U na cara memoria in cor le sorge:

— Qui su’ volum i impallidia: g li affanni L à del suo cor m’ aperse e le speranze: Q u i m i diede 1’ addio, quando del vero L un gi il traea l ’amore, ed io le mani P er benedirlo alzai; là mi leggea

L e prim e prove d e ll’ ingegno, ed io T u tta esultava di materno orgoglio. — T ra l ’ accolta fam iglia infra i soavi Colloqui ella talor si asside, e un lampo Par che d i gioia le baleni in volto F ra (ante nubi di tristezza, ahi troppo Rapido lampo! al suon di tua parola Invan la mesta intende; invan col guardo Cerca le tue sem bianze, e un vuoto seggio I l dolor le rinnova, e irrefrenato I l pianto sgorga d alle sue p u p ille. E quando d e s ia ti, a la dolcezza D e’ dom estici affetti i tuoi fratelli R iconduce l ’ autunno, e incontro ad essi M uovon le suore piccolette, e fanno U na festa, un tripudio, ella che vede Mancare un altro agli amorosi am plessi, P er non turbar quella fraterna g io ia , Prem e in petto i l dolore. A te che tanto Mesto desio lasciasti; a c u i 1’ avello Ognor fiorisce d’ odorosi cespi D alle m aterne lagrim e irrorati, A te non dolga se m oristi oscuro, P ria che salde imprimesse orme l ’ingegno Che sì pronto sortisti. Una bugiarda Larva è la gloria; il vagheggiato alloro Spesso d all’ ira d egli avversi fati F u convertito in fun eral cipresso, 0 d alla bieca in vid ia in un cru en to Serto di spine. Oh! quanti, ad alte cose Sospinti dal desio d’ in c lito nome, Oscuro oblio coverse! umane destre N on l i onorar d i tom ba, e solo i freddi V enti d’ autunno d’in g ia llile foglie L e stanche ne covrir cen eri. Oh! quanti Colsero alfin l ’ invidiata palma;

Ma dalle lunghe affranti acerbe lotte Con mesta in vid ia ricordar g li oscuri Seuza gloria vissuti anni più b e lli. M a, mentre io qui fra l’ ombra de'cipressi E fra le croci inghirlandate, dove Spira un’ aura d’ amor, l’ alba saluto D’un dì che mai non muore, oh! ch i è costei Che al tuo sepolcro vien? pallido i l viso, Spento halosguardo ech in o a lsu o lo ;o madre,

Odi: la rapitrice arte del canto Una virtù possiede, una parola Che ne’ petti risuona, eco del cielo, E le angosce ne tempera. A l poeta, iì Va, disse Iddio, di qualche fior cospargi « D e la vita il deserto, a le m ortali « M enti per te d e ll’ infinita lu ce « Risplenda uu raggio: io non t’apersi invano <t I lu cid i sereni ». E messaggiero D i Dio fra’ dum i d el terreno esiglio V en n e il poeta, e tutti in petto accolse 1 fraterni dolori. A ch i gemea Le perdute speranze, una lontana P rosp ettiva di cie li aprì; ne’cu ori Da la fredda agghiacciali aura del dubbio Sparse m iti rugiade; entro alle m enti, Cui 1’ aspetto di D io s’ era velato,

1 Un erudito ed elegante s c r itto latino d i questo giovane su lla E p is t, /. lib. 2 . di

O razio e su lla p oesia dra m m a tica latin a fu giudicato ( pochi g io rn i dopo la sua m or­ te ) degno d i prem io d a lla F acoltà d i F ilosofia e L e tte r e d e lla U n iv e rsità d i N apoli.

Con sublimi armonie piovve il baleno D’ un’infinita idea. Ma fra g li affanni Onde è triste la vita, a lu i fu sempre Sacro il dolore delle madri; e tutte Quante l’arte ha dolcezze, insieme accolse Per consolarlo. Ancor risuona il verso Che delle greche madri il duol lenia: « Muor giovine colui che al cielo è caro»; Ed un olezzo di celeste incenso Da questo si diffonde ellen io mito: 1 Su gli estremi suoi giorni egra languia Una povera madre, e con un misto Di speme e di dolor negli occhi, intorno L’ erano i suoi figliuoli. A cui rivolta,

Deh! sorreggendo i I fianco infermo, al tempio M’adducete pietosi; odan g li D ei D’ una madre morente i voti estremi, E veglino su voi, quando deserti Rimarrete nel mondo; e g li occhi suoi In così dir si fean gonfi di pianto. Cadea la sera: e sovra un carro, tratto Da la pietà de’ suoi figliu oli, in Argo D’Era al tempio pervenue, e innanzi a ll’ara, Imporporata dall’ occidua lu c e ,

A l suol messo il ginocchio, e lla pregava : « 0 D ea , se grato a te l ’ olezzo ascese « De’ miei serti votivi, agli amorosi « Miei figli arridi, e quel che alla terrena « Prole più giova, assenti ». A vea compiuta La prece appena, e una fraganza intorno Sente spirar d’ambrosia; e volto il guardo, In placida quiete addormentati

Vede i suoi figli a pie’dell’ara: un dolce Ineffabile riso, una tranquilla

Soavissima calma appar diffusa

Su le loro sembianze. Invano a nome L i chiama e li riscuote; a la sua voce S olo l’ eco risponde: avea que’ labbri Suggellati la morte. E lla non pian ge, E lla un grido non dà, eh’ entro la mente Un soave pensier balena: « è spesso Dono di D io morir nel fior degli anni, » Ma se non vale la mortai parola

A lenirti il dolore, e la ferita A n cor ti geme in petto; apre la fede U n quoto asilo in su la terra, un santo Rifugio a l ’alme combattute e stanche ; Iv i si serba un dittamo possente Che gli affanni blandisce: iv i risuona L ’ ispirata profetica parola

D ’ un avvenir più bello. Effigiata Pende dall’ara un’ amorosa Madre Che un dì conobbe il pianto: E lla è de’mesti Cuori e dal mondo abbandonali amica, E d’ afflitle fortune unica resta Consolatrice in terra. I l suo sorriso, Ov’ è più duolo, più soave splende, In mezzo a le tempeste, iri d i pace. Ma tu non odi: vision soave, A l rapito pensiero, al guardo immoto Il tuo figliuol sorride; e la serena L uce che vien e da le sue sembianze, T u tta l ’alma t’ irraggia, e desiosa A lu i stendi le braccia. Oh! benedetto, Benedetto il dolor che crede e spera! E ’, quando fra le tombe erriam deserti, D ’ ali ci veste, ne dischiude il cielo, E d’ immortai bellezza irradiati Rende i cari perduti a’ nostri am plessi.