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Intorno alla metà del I secolo a.C. l’area venne bonificata e regolarizzata, probabilmente proprio per costruire la grande domus che resterà in uso con qualche cambiamento fino alla distruzione del 69 d.C.

Fig. 54 – Planimetria ricostruttiva della fase IVA

Edificio 11

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Cominciando dai perimetrali esterni, si può rilevare, almeno in fondazione e per parte dell’elevato, l’uso del laterizio. Si conservano il perimetrale E, fondato su un deposito di terreno e laterizi. La tecnica per l’elevato è costituita nella porzione più a S da corsi di laterizi frammentari, mentre più a N diventa più regolare con laterizi interi affiancati. Stessa tecnica utilizzata anche per il perimetrale N, dove i laterizi sono legati da argilla.

Passando ai perimetrali degli ambienti interni, la tecnica utilizzata sembra essere la medesima, con uno spessore delle murature di 90 cm ca. Si riscontrano solamente due murature legate con malta, di cui una (US 841a) è costruita sulle murature di fase IVa.

Fanno inoltre eccezione due tramezzi: il primo, posto tra l’ambiente 15 e 13 è costituito da un unico filare di laterizi per uno spessore di 45 cm ca. Il secondo è invece molto interessante per il tema trattato in questa tesi. Nell’area più a N della domus è stato rinvenuto il tramezzo divisorio tra gli ambienti 17 e 18, US 5066. Questa struttura costituita da materiali deperibili si è straordinariamente conservata in situ e mostra tutte le caratteristiche tecniche di quello che viene correntemente chiamato opus craticium, individuabile nella casistica qui presentata nel gruppo R2. Su uno zoccolo di laterizi quadrangolari fuori terra, posti direttamente sulla pavimentazione in frammenti laterizi, si impostano i montanti verticali su cui si regge l’intera muratura, collegati da traverse orizzontali spesse 1,5 cm. I montanti erano larghi tra i 10 e 15 cm con uno spessore tra gli 8 e 5 cm. Su questa struttura si intrecciano canne palustri legate alla struttura con cordami vegetali. Su questo intreccio era allettata dell’argilla.

Non è chiaro in quale maniera i montanti verticali fossero connessi con il filare di fondazione in laterizio.

Il tramezzo aveva uno spessore di circa 25 cm.

Si tratta ad oggi del caso meglio conservato in situ di muratura di questo genere nel Nord Italia. Esempi altrettanto ben conservati sono conosciuti in Gran Bretagna e in Francia.

La domus subisce con il passare degli anni alcune ristrutturazioni interne, soprattutto per quanto riguarda l’area del peristilio, mantenendo in funzione quasi tutte le murature in laterizio.

Nella fase IV-C viene posto un tramezzo tra l’ambiente 18 e l’ambiente 19 (US 4683a). Questo elemento è fondato su un filare di frammenti di sesquipedali, sui quali si poggia una trave. Su di essa è impostato un muro in terra del quale non è stata individuata la struttura interna. Escluderei che si tratti di muri in pisè o bauge in quanto lo spessore del tramezzo (appena cm 30), è troppo esiguo per strutture di questo tipo. E’ più lecito invece pensare, sulla base delle misure all’utilizzo di mattoni crudi , rinvenuti negli strati di crollo dell’ambiente. In un altro strato di crollo (US 1421) sono infatti stati rinvenuti mattoni crudi che misuravano cm 30 x 40 x 10 (fig. 55).

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Fig. 55 – Mattone crudo esposto presso il Museo Archeologico di San Lorenzo a Cremona, rinvenuto nel crollo US 1421 (foto dell’Autrice)

La domus di Piazza Marconi, costituisce un caso pressoché unico in Italia anche perché negli strati di crollo dei vari ambienti sono stati rinvenuti elementi attribuibili con certezza al piano superiore della domus (cfr. fig. 57 ).

Le dinamiche di crollo non sono più ricostruibili in maniera precisa poiché in seguito all’incendio che distrusse la domus le macerie furono ammassate in buche artificiali che in parte ricalcavano gli ambienti originali.

Tuttavia alcune ipotesi possono essere avanzate: in generale gli strati di crollo di quasi tutti gli ambienti hanno restituito frammenti più o meno cospicui di laterizi crudi, associati ai materiali provenienti dai piani superiori.

Fig. 56 – Veduta di uno dei depositi in giacitura secondaria di mattoni crudi (da PASSI PITCHER,VOLONTÉ 2008)

In particolare gli strati di crollo dell’ambiente 2 (fig. 57) inducono a pensare ad un uso del laterizio crudo per i piani superiori. Un frammento di parete in adobe è stato rinvenuto al di sopra del crollo

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del mosaico del piano superiore e in uno strato superiore altri laterizi crudi erano in connessione con coppi e tegole, evidentemente materiali provenienti dalla copertura.

Fig. 57 – Crollo rinvenuto al di sopra dell’ambiente 2 (da PASSI PITCHER,VOLONTÉ 2008)

Il punto è comprendere a quale livello della muratura di fondazione in laterizi si impostasse la muratura in adobe, poiché non è affatto scontato che essa fosse parte integrante già del pian terreno; nell’ambiente 13 il più consistente riporto di crollo di mattoni crudi è a diretto contatto con la pavimentazione. D’altro canto, pur essendo la posizione di giacitura importante per la ricostruzione degli elevati, in questo caso è stato già dimostrato come gli strati più inferiori fossero connessi a quelli più in superficie352.

Tra i confronti conosciuti si cita il caso già esaminato della domus del Chirurgo di Rimini, in cui le murature in materiale deperibile si impostavano su uno zoccolo alto circa m 0,5 dal piano di calpestio. In altri confronti noti e conservati integralmente come Suasa353 e Settefinestre354 non sono stati individuati zoccoli in laterizio in fondazione. Ad Alba, via Vida – ev. 84, si ritrova invece una situazione analoga a quella di P.za Marconi in cui le murature in tegoloni sono conservate, frammentarie, fino a 35/40 cm di altezza e negli strati di crollo sono stati rinvenuti resti di laterizi crudi.

Un ulteriore problema infatti è costituito dal fatto che nessuna muratura sembra essersi conservata alla sua altezza originaria: le porzioni non superano 1,20 m dal piano di calpestio, e non sembrano superfici finite.

352 Sono stati rinvenuti frammenti di uno stesso oggetto ceramico in due strati molto lontani (relazione preliminare

Dott.ssa Cecchini)

353 ZACCARIA 2010.

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Quanto alle qualità strutturali, è assolutamente plausibile che murature in mattoni crudi fossero in grado di sorreggere un piano (con tanto di pavimentazione a mosaico)355. I muri in laterizi larghi tra gli 80 e i 90 cm rientrano nelle misure indicate da Vitruvio per la costruzione di abitazioni con un piano superiore. Muratura in laterizio, filari di fondazione e sottofondazione a strati in laterizi posti a spina di pesce alternati a riporti di terreno, sono espedienti fondativi sufficienti a reggere l’intero carico.

Allo stato attuale della revisione dei dati non è possibile propendere per alcuna ipotesi. E’ probabile che notizie risolutive saranno desunte dalla revisione dei dati di scavo e dallo studio dei crolli i cui risultati saranno pubblicati nell’edizione finale dello scavo, a cui si rimanda per ulteriori approfondimenti.

Quanto all’uso di legno, sono stati rinvenuti resti lignei in diversi strati, ma è pressoché impossibile capire se siano pertinenti a coperture o pareti.

Segnalo tuttavia che i maggiori depositi di legname sono stati rinvenuti negli ambienti adiacenti il peristilio oltre che nello stesso porticato.

Gli strati di crollo hanno restituito anche un’enorme quantità di intonaci decorati che sono ad oggi in corso di studio ed in parte già parzialmente pubblicati dalla Dott.ssa Elena Mariani356.

I frammenti di intonaco rinvenuti tra gli ambienti 1 e 2 (UUSS 840 e 1421) in strati di crollo che si è accertato non essere in giacitura originaria presentano in gran parte sul retro tracce di muratura in argilla.

355 Cfr. QUAGLIARINI 2012. Un’equipe di ingegneri ha effettuato prove statiche su campioni riprodotti secondo la tecnica

Vitruviana.

356MARIANI 2003,MARIANI 2009,MARIANI,PITCHER 2010.Ringrazio la Dott.ssa Elena Mariani per la disponibilità e l’aiuto

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Fig. 58 – Frammenti di intonaco con lacerti di murature in terra provenienti dal crollo US 840

Ciò significa che oltre ai due tramezzi rinvenuti in situ dovevano essercene molti in altri ambienti della domus. L’argilla è quasi in tutti i casi di colore rosso acceso ed è sempre mescolata con paglia, talvolta vi si trovano dei resti di calce e piccole quantità di ciottoli e sabbia. All’esame autoptico l’impasto dei laterizi crudi e quello rinvenuto sul retro degli intonaci sembrano molto simili tra loro. Un frammento di intonaco dell’US 1421 presentava tracce di canne (o ramaglie?) di grandi dimensioni. Il frammento è spesso circa 20 cm e potrebbe rappresentare la metà di un muro. La verifica sugli intonaci che costituiscono in gran parte il crollo US 840 in corso di studio da parte della Dott.ssa Mariani, non ha dato esiti risolutivi sulla tecnica edilizia degli elevati: la maggior parte di essi, pertinenti 4 o più gruppi omogenei, relativi anche a diversi ambienti presenta sul retro tracce di murature in argilla. Il frammento dell’US 1421 sopra menzionato dimostra però come questo dato possa essere compatibile sia con una muratura completamente in terra sia con una muratura a graticcio. Un dato interessante emerso dallo studio degli intonaci è che un gruppo di essi, probabilmente pertinente al piano superiore, non presenta tracce di argilla, il che potrebbe preludere all’uso di materiali durevoli anche al piano superiore.

Anche questi intonaci ad un primo esame presentano un apparato decorativo straordinario con connessioni con gli ambienti della corte imperiale romana.

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