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Giulia Viale

Politecnico di Torino

Laureanda presso la Laurea Magistrale “Architettura, costruzione e città” Email: giulia.viale1992@gmail.com

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Abstract

L’iniziativa “Smart City” promossa dall’Unione Europea è stata accolta dalla Metropoli di Lione avviando una serie di progetti di trasformazione urbana. Ma, sebbene gran parte degli obiettivi ritenuti fondamentali siano d’interesse comune, i modi in cui sono inseguiti lasciano poco spazio a una effettiva partecipazione della cittadinanza ai processi decisionali. Eletta prima città Smart City francese nel 2013 e nel 2014, Lione conta oggi su un capitale di più di 210 milioni di euro riservato ai grandi progetti urbani, concesso in buona percentuale da grandi imprese. L’utilizzo dell’etichetta “smart city” legittima le politiche urbane intraprese, considerate risposte pragmatiche a problemi di natura tecnica, e permette la presenza delle grandi corporazioni quali necessari esperti che ricevono in cambio spazio per testare i loro prodotti. In questo quadro sono stati aperti degli intervalli, materializzati nei laboratori di Erasme e Tubà, dove la “presenza” deliberativa e discorsiva dei cittadini è presuntamente ammessa. Questi spazi sono ritenuti capaci di costruire un collegamento con la cittadinanza e di svolgere un ruolo di perno tra le trasformazioni in corso e la società, ponendosi come luoghi di discussione di temi tecnico-scientifici piuttosto che politici. La domanda da cui parte questo studio è quindi: come funzionano questi meccanismi di coinvolgimento? Per rispondere ci si affida a uno studio attento dei modi in cui è attuata l’inclusione, a un’osservazione degli spazi, e a un’indagine sulle strategie di comunicazione, con l’intenzione di decostruirne le dinamiche, decifrarne le intenzioni, e di evidenziare le ideologie.

Parole chiave: smart city, urban policies, participation.

1 | Grand Lyon: une ville intelligente

Sin dal 2015 la città di Lione è volta al concetto di “smart-city” e l’ha fissato come modello di gestione del territorio e come cardine di profonde trasformazioni, in cui la città e i suoi spazi sono ripensati tramite una rinnovata alleanza tra tecnologia e abitare. La presenza degli Open Data, raccolte d’informazioni ottenute principalmente attraverso sistemi di comunicazione e sensori, accessibili senza licenza e sempre disponibili, e la programmazione di processi automatizzati per la loro analisi (Internet of Things), stanno ridefinendo le forme di collaborazione tra gli attori pubblici e privati, i criteri di formazione di valori, i modi in cui gli individui sperimentano lo spazio, le regole di accesso a certi privilegi. Non modificano solamente il rapporto tra il consumatore e le corporazioni private ma cambiano anche le forme di partecipazione della cittadinanza ai processi decisionali, in cui si costruiscono nuovi dispositivi che si auto- proclamano d’inclusione e mutano i punti di contatto tra gli individui e i progetti che intervengono sul territorio. In che modo le tecnologie modificano i processi considerati di partecipazione e dove si materializzano nella città?

Il programma “Grand Lyon une Métropole Intelligente” s’iscrive nell’iniziativa “Smart City” promossa dall’Unione Europea nell’ambito dello Strategic Energy Technology Plan in Horizon 20201 che mira a

ridurre le emissioni di gas serra del 90% entro il 2050 attraverso lo sviluppo di nuove tecnologie per la produzione di energia a basso impatto ambientale e l’ottimizzazione dei consumi, con un piano d’investimenti, a livello europeo, di circa 12 miliardi di euro in un arco di tempo che si estende fino al 20202.

1 Si faccia riferimento alla pagina della Commissione Europea dedicata allo Strategic Energy Technology Plan.

Lyon Métropole, creata il primo gennaio del 2015, è un governo regionale che aderisce alla prospettiva “Smart City” e la colloca come cornice entro la quale poter combinare interventi e sperimentazioni relative ad ambiti eterogenei costituiti sulle linee guida della Commissione Europea3 che, oltre la sostenibilità

ambientale, prevedono lo sviluppo economico, la “qualità” dell’ambiente costruito, la salute, la cultura, l’educazione e un generico “bon vivre” ottenuti attraverso la collaborazione dei governi locali, le industrie, le banche, la ricerca e le piccole e medie imprese4. Nel conseguimento di questi obiettivi, l’innovazione

tecnologica è percepita come garante di un miglior funzionamento della città: l’automatizzazione dei servizi di trasporto, l’espansione delle infrastrutture di comunicazione, una maggior sicurezza, l’accesso a informazioni geo-spaziali continuamente aggiornate, la produzione di sinergie tra utenti e offerenti di servizi e beni materiali. I progetti urbani, le strategie corporative e le politiche pubbliche condividono un ottimismo escatologico che vede nella coincidenza tra tecnologie dell’informazione (IT) e spazio, la possibilità di uno sviluppo della città; e nella presenza ubiqua del digitale un traguardo condiviso. L’infrastruttura della geo-informazione e la progressiva digitalizzazione della vita urbana rispondono a molteplici interessi e sono l’esito di sempre più complesse forme di collaborazione multi-attoriali. Lione conta oggi, infatti, su un capitale di più di 210 milioni di euro riservati ai grandi progetti urbani5, fondi in

gran parte concessi da corporazioni come Veolia, Toshiba, Renault Trucks, Alstom Grid e altre, le quali vedono nella Smart City un’opportunità da cogliere per lo sviluppo dei propri servizi.

La forte presenza corporativa, derivante da una stretta collaborazione pubblico-privato prevista dalle stesse linee guida europee, espone la ville numérique a una marcata polarizzazione economica; rischio agevolato a sua volta dall’affidamento acritico che esprimono gli attori pubblici locali alle capacità guida e risolutorie delle Tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC). L’appello alla sicurezza, all’informazione, al buon funzionamento della mobilità, alla riduzione dei costi, al risanamento atmosferico, al comfort, smonta ogni resistenza. Le amministrazioni evitano il confronto politico e l’eventuale disaccordo dei cittadini manifestando esigenze di un mercato sempre più volto all’utilizzo della tecnologia, considerata insieme un fine ultimo e mezzo per un più semplice e veloce per l’ottenimento di benefici.

La ricerca di mancanza di opposizione si traduce nell’uso della nuova etichetta “smart city” per legittimare una sempre più palese strumentalizzazione della città come laboratorio dove le imprese possono sperimentare, testare e divulgare i propri prodotti. Inoltre, alcuni studiosi contestano l’ermeticità dei sistemi di governo del modello smart city: Saskia Sassen (2012) ne critica l’“anti-urbanità”, giudicando l’urbanità un sinonimo di complessità, valore prodotto dalla società; Richard Sennet (2012) ne questiona la chiusura, linearità e predicibilità, augurandosi la creazione di nuove forme di gestione più informali e aperte ai cittadini e mette sotto giudizio l’amministrazione rigida e la pianificazione “top-down”. Per far fronte a giudizi di questo tipo, a Lione la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali è ricercata attraverso progetti come Tubà ed Erasme che dichiarano essere uno iato tra i vertici deliberativi e la società, uno spazio inclusivo, aperto, nel quale la smart city adotta la veste di un progetto comune.

2 | I dispositivi di connessione

Il progetto Smart City a Lione fa uso dei termini “inclusività”, “partecipazione”, “co-sperimentazione”, “co-progettazione”, “co-innovazione” per esprimere la sua gestione condivisa. L’inclusività è ricercata sia attraverso il tentativo di ampliare il numero d’individui beneficiati dai progetti-servizi che interessano età diverse, dalle scuole primarie fino a programmi ideati per gli anziani soli, sia tramite la ricerca di nuove forme di connessione tra società e gestione del territorio. Lo spazio pubblico è considerato una piattaforma d’incontro tra abitanti e attori urbani autorevoli, e la tecnologia, il mezzo che lo rende possibile. Lo spazio pubblico diviene il luogo dell’utilizzo dei servizi digitali e quindi congiunzione tra gli enti e i cittadini, creando nuovi modi d’interazione e d’espressione come suggerimenti, feedback, atelier, fasi di test, mobilitazioni. La condivisione dei mezzi tecnologici e la smart city come obiettivo, diventano il “content for the public space”6: una circolazione più intensa d’informazione, una maggior libertà alla creazione

e una più precisa ricezione dei bisogni dei cittadini sono condizioni stabilite dai fautori della smart city

3 In particolare “Market Place of the European Innovation Partnership on Smart Cities and Communities” promosso dalla

Commissione European el 2016.

4 Linee guida disponibili sulla pagina della Commissione Europea dedicata a Market Place of the European Innovation

Partnership on Smart Cities and Communities.

5 L’iniziativa che raccoglie i progetti urbani porta il nome di “Une métropole de projets”, le cui iniziative sono consultabili sulla

piattaforma istituzionale Grand Lyon.

6 Definizione presente su “Let’s invent a co-Smart City together!”, brochure disponibile sul sito Business Greater Lyon, nella

affinché lo spazio possa essere chiamato pubblico. Il programma Lyon Smart City promuove quindi spazi nella città nei quali la partecipazione dei cittadini alle trasformazioni possa assumere una forma manifesta. Questi spazi, laboratori che riuniscono funzioni differenti e che fanno da punto di contatto fra la smart city e cittadini, si trovano raggruppati in un punto strategico di Lione. Erasme e Tubà hanno infatti sede nelle vicinanze della stazione Part-Dieu, considerata “la porte d’entrée et d’accueil de la Métropole”7, nel secondo più

grande quartiere terziario del Paese: concentrati né nel “centro storico” né in periferia, ma nei luoghi simbolo dell’espansione economica degli anni ’70, facilmente raggiungibili e provvisti di un’immagine internazionale. Sono spazi dinamici, aperti a ospitare funzioni differenti e pensati per attrarre diversi gruppi di cittadini al fine di farli collaborare ai progetti.

Il progetto Erasme, promosso dalla Métropole de Lyon, è definito un “laboratorio aperto”8 che mira a

reinventare gli spazi della città facendo uso delle tecnologie digitali, congiungendo start-up, autorità locali, utenti, esperti, e “persone creative”. Creato nel 1998 all’interno del Dipartimento di Rhône Erasme e aperto a Lione9 in prossimità della Gare Part-Dieu nel 2015, Erasme mette a disposizione spazi destinati a

laboratori, mostre, atelier e workshop con lo scopo di aprire la sperimentazione e lo sviluppo delle nuove tecnologie ai cittadini. Gli individui sono chiamati a partecipare ai workshop che possono durare mezza giornata, ai Remix attivi per tre giorni, o alle session de créativité che consistono in sessioni di co-design di due ore; oppure possono partecipare presentando una proposta di progetto che sarà testato dall’Urbanlab. Offre spazi destinati ad attività di scrittura come il Petit Fablab d’Écriture, 800mq dove è possibile proporre i propri progetti, stampare in 3D, farsi assistere nel lavoro editoriale, scrivere in collaborazione. Costruisce dispositivi di ascolto come “Host: Logement Social” dove sono accolti i bisogni delle persone anziane attraverso laboratori e dibattiti, si discutono alternative per la questione abitativa, e vengono messe in pratica attività didattiche per introdurre nella vita di tutti i giorni le tecnologie digitali.

Il progetto Tubà (Figura 1), inaugurato il 27 novembre del 2014 e sostenuto dalla Métropole de Lyon e dalla regione Rhône Alpes, è uno dei principali attori del settore digitale cittadino. Posizionato vicino alla stazione Part-Dieu, come la sede di Erasme, Tubà è un laboratorio che mira a un traguardo ben definito: integrare un ecosistema focalizzato sulla valorizzazione dei dati digitali (pubblici o privati), incontrando gli attori coinvolti nello sviluppo della “ville de demain” e accogliendo le soluzioni proposte dai cittadini. Si propone di creare servizi innovativi per e con gli utenti, di garantire un luogo di incontro dove cittadini,

start-up e imprese possono testare i propri prodotti e dove l’innovazione è ricercata attraverso la

partecipazione. Offrono sale riunioni, tutoraggio, consigli di esperti, strumenti di supporto per le verifiche in tempo reale di servizi e prodotti. I suoi 600mq sono suddivisi in due livelli: al piano terra, Tubà Lab è uno spazio sperimentale aperto al pubblico, dove si organizzano servizi educativi e partecipativi; al primo piano, Tubà Mix è invece un “collaborative urban laboratory” riservato ai membri di start-up che desiderano sviluppare un servizio o prodotto sfruttando la conoscenza di esperti e l’accesso ai dati di cui dispone Tubà.

Alcuni esiti possono illustrare la prassi di questi dispositivi come il progetto ideato da Tubà per la “co- progettazione” di un servizio digitale di auto-lettura del consumo domestico di gas. Nel 2016, Tubà è invitata dall’ALE (Agence Locale de l'Energie de l'agglomération lyonnaise) a concepire e testare un servizio digitale che permetta agli utenti di conoscere i propri consumi in tempo reale, facendo di essi un “partner” dell’innovazione. Il progetto, promosso dalla GrDF (Gaz réseau Distribution France) si basa sull’esposizione dei dati di consumo di gas nello spazio domestico con lo scopo di rendere più governabile e quindi consapevole il consumo energetico. I futuri beneficiari sono stati coinvolti nella fase di progettazione attraverso sessioni di co-design, focus group, interviste e questionari. Per due settimane (tra l’1 e il 15 febbraio 2016) gli studenti di design della Bellecour École, altri di psicologia sociale dell’Université Lumière Lyon 2, gli sviluppatori di Sopra Steria (società europea di consulenza tecnologica) e gli utenti comuni hanno potuto co-ideare e testare strumenti digitali di visualizzazione del consumo di gas discutendo assieme preferenze, estetica, utilità, fattibilità tecnica, costi, etc. La procedura del workshop consisteva nel chiedere ai partecipanti d’immaginare il loro strumento di visualizzazione ideale e di creare uno scenario di utilizzo, per analizzare e integrare in seguito le idee e i commenti raccolti. Le idee sono poi state realizzate dagli sviluppatori, consigliati dagli studenti di arte e di design e il prototipo testato martedì

7 Dal sito Grand Lyon, sezione Projets urbains, sottosezione Part-Dieu. https://www.grandlyon.com/projets/lyon-part-

dieu.html.

8 Descrizione evinta dal sito istituzionale www.erasme.org.

9 All’ottavo piano dell’edificio della DINSI (Direction de l’innovation numérique et des systèmes informatiques) in rue Garibaldi

9 febbraio alla presenza di tutti i partecipanti che hanno avuto la possibilità di commentare e dare suggerimenti per migliorarlo.

Tubà ed Erasme promuovono quindi un’idea di Smart City particolare, che non è quella progettata e pre- stabilita, né quella che “emerge dal basso” come desiderata da Saskia Sassen, ma un’idea più complessa che congiunge questi due poli nella ricerca di sinergie. A Lione è proposto un modello in cui i grandi attori urbani entrano in contatto con la società per mezzo di spazi disegnati ad hoc. Erasme e Tuba, sono luoghi in cui la partecipazione della cittadinanza alla trasformazione del territorio si rivela, tuttavia, filtrata e governata da specifici meccanismi di controllo.

Figura 1 | Atelier svolto negli spazi di Tubà il 29 febbraio 2016. Fonte: sito istituzionale di Tubà (www.tuba-lyon.com).

3 | Democrazia e performatività

Il modello di smart city che oggi prende forma a Lione ha un’organizzazione multi-attoriale complessa. La partecipazione delle grandi corporazioni alle politiche urbane non si riduce a una presenza passiva poiché i loro interessi sono articolati all’interno dei programmi di trasformazione del territorio. Il punto di contatto tra le grandi imprese private e il territorio di Lione si consolida nelle start-up, molte delle quali sono coinvolte dai progetti Erasme e Tubà. Le grandi imprese possiedono dati e risorse ma hanno bisogno di appigli strategici sul territorio che garantiscano loro un’immagine pubblica positiva e che offrano informazioni riguardanti i modelli di consumo. Le start-up, dall’altro canto, vogliono testare i loro progetti e sono alla ricerca di risorse e strumenti che possano aiutarle a crescere, inoltre la ricerca e lo sviluppo di prodotti o servizi è strettamente dipendente dalla capacità di incrociare l’innovazione con le richieste del mercato che è quindi necessario conoscere e testare. Le grandi imprese, quindi, “delegano” in qualche misura la loro strategia d’innovazione a questi attori minori proprio per la loro facoltà di comunicare e interagire con il territorio. I dispositivi creati dalle politiques lyonnaises come Tubà, Erasme, incubatori e spazi di “innovazione aperta”, sono il collegamento tra i grandi attori privati e le start-up, e sono il mezzo attraverso il quale le corporazioni s’iscrivono nel territorio.

Ma che cos’è il territorio per una start-up? Quello che sembra emergere dai casi studiati è un territorio visto e conosciuto attraverso una rigida impostazione tecno-centrica. Esiste una tendenza a osservare e narrare la città come insieme di problemi funzionali e tecnici che possono essere risolti con formule (prodotti/servizi) standardizzabili, riapplicabili, e quindi vendibili, ovunque. Il territorio è anche il mercato di consumatori, l’ambito di una domanda da incrociare, una misura da cogliere in base alla quale poter perfezionare prodotti e servizi.

In questo quadro, la partecipazione dei soggetti ai processi decisionali rimane dominata dall’egemonia di cui godono le questioni tecniche ed economiche. L’individuo è ascoltato sia come fonte di suggerimenti, sia in quanto potenziale consumatore. Come mostra il progetto di Tubà per il servizio digitale di consumo di gas naturale, il coinvolgimento dei cittadini nel testare prodotti e meccanismi è funzionale alla customizzazione di servizi e applicazioni, una procedura che permette di lanciare un prodotto dopo averlo già perfezionato secondo le necessità e i consigli di una piccola cerchia di individui. Il cittadino diviene co-

produttore di servizi e la cittadinanza attiva è qui tale solo se produce. La partecipazione è perciò accompagnata da un discorso che oggettifica l’individuo, che lo ritiene problema da risolvere o agente da influenzare e controllare, utente e non parte della città. Ritornano gli approcci neo-positivisti, le teorie comportamentali d’inizio Novecento e alcune nozioni appartenenti al funzionalismo del secondo dopoguerra: l’individuo che partecipa ai processi decisionali è un soggetto generico e astratto, remissivo ed eppure attivo. L’obiettivo dei dispositivi d’inclusione come Tubà ed Erasme non è quello d’incoraggiare la partecipazione nella sua dimensione schiettamente propositiva e deliberativa, ma piuttosto di coinvolgere i cittadini attraverso l'attuazione di azioni concrete e tramite il contributo per la produzione di un servizio. Infatti, l’accettazione di un progetto per la città dipende dalla sua compatibilità con i temi inerenti all’Internet of Things, all’Open Data o alla smart city in generale. Tubà ed Erasme, che hanno la pretesa di essere intervalli dove la “presenza” dei cittadini è ammessa e accolta, incoraggiano la partecipazione all’amministrazione e alla fornitura di servizi e limitano qualsiasi intervento più propriamente politico, favorendo così la progressiva depoliticizzazione della vita urbana. Un fenomeno che Francesco Indovina chiama “democrazia autoritaria” (2014), dove i processi decisionali soggiacciono a interessi prettamente economici e la democrazia al capitalismo avanzato. In questo quadro la partecipazione è un atto performativo, un’azione vuota, slegata da adesioni ideologiche e sottratta a qualsiasi connotato sovversivo. L’atto politico è organizzato e controllato da un mezzo, quello tecnologico, che appare a-ideologico (e quindi super partes), che lo svuota di ogni significato incompatibile con i propositi prefissati da chi governa i processi decisionali. È una partecipazione formale, sprovvista di contenuti. Il paradosso è che le limitazioni a forme più aperte di discussione e confronto sono attuate inducendo l'azione anziché limitandola. Questi dispositivi di controllo selezionano, ammettono e modellano volontà, ragionamenti, credenze e desideri specifici, trasformandoli in flussi d’informazione utili al funzionamento del processo complessivo.

I dispositivi studiati da questo articolo sono sperimentazioni che stanno ridefinendo i rapporti tra cittadinanza e gestione del territorio. Sono formule complesse che vanno ben aldilà dei modelli tradizionali di chiusura o apertura alla partecipazione dei cittadini. Sono invece forme nuove e miste nelle quali il controllo agisce in modo parziale e indiretto ma effettivo. La proliferazione e il successo di tali modelli è anche causata dalla mancanza di una politica pubblica acuta e informata oggi, più che mai, della portata di quello che Norberto Bobbio chiamava “potere invisibile”.

Attribuzioni

La redazione del paper è stata svolta in egual misura da entrambi gli autori.

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