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Darch - Dipartimento di Architettura

Email: giancarlo.gallitano@unipa.it

Abstract

Le pratiche di appropriazione e gestione condivisa di beni e servizi urbani, nel superare la dicotomia pubblico- privato, palesano una pluralità di soggetti pubblici. Gli urban commons, insieme eterogeneo di beni e servizi urbani, sono generati attraverso un processo di costruzione collettiva, che è un'arena d’interazione fra pluralità di soggetti, dove si propongono azioni e ipotesi alternative di uso e trasformazione dello spazio e si sperimentano forme “altre” di servizi pubblici; tale processo genera un “nuovo” pubblico motivando i partecipanti a trasformare le rivendicazioni da interessi individuali a istanze collettive.

Il presente contributo analizza due pratiche di commoning avviate a Palermo come esperienze di governance partecipative e collaborative nei processi di community building.

La trattazione avverrà attraverso il confronto tra l’attività del comitato civico Sos Ballarò, orientata al rilancio socio- economico del mercato storico Ballarò e di contrasto alle diverse forme di disagio che caratterizzano il complesso contesto socio-culturale in cui opera, e il buon esito di una pratica di appropriazione e gestione condivisa di un’area verde nella V circoscrizione: Parco Uditore. Sarà valutato il grado di partecipazione delle comunità, la capacità di inclusione e il ruolo degli attori, per comprenderne il valore come spazi della democrazia.

Parole chiave: Public spaces, Community, Social practices.

Premessa

Il presente contributo è frutto delle prime considerazioni emerse da un percorso di ricerca-azione – nell'ambito del mio progetto di ricerca di dottorato sugli urban commons – condotto all'interno del rione Ballarò, nel centro storico di Palermo, per analizzare il processo di commoning avviato dal comitato civico Sos Ballarò, che si adopera per il riscatto socio-economico del quartiere. Queste considerazioni sono state messe a confronto con i risultati di una indagine sulle pratiche di placekeeping di aree verdi a Palermo (Schilleci et al., 2016), in cui è stata analizzata l'esperienza di Parco Uditore.

Queste due esperienze saranno lette attraverso la nozione arendtiana di spazio pubblico della pluralità come riferimento teorico della costruzione di pratiche relazionali di cittadinanza attiva in cui si sperimentano forme nuove di "pubblico". Lo spazio del commoning è (o dovrebbe essere) uno spazio "politico" aperto dove i cittadini possono esprimersi attraverso il discorso e l’azione.

I casi analizzati mostrano che la costruzione dello spazio può fondarsi su pratiche insorgenti e cooperative con soggetti (residenti, comunità, gruppi) che esprimono differenti “potenziali” politici. Dal loro confronto si tenterà di fare emergere i differenti gradi di partecipazione delle comunità, i livelli di inclusività e i ruoli degli attori, nella convinzione che i processi democratici sottesi alla gestione condivisa cambiano in funzione delle diverse categorie di beni comuni urbani.

Il nodo da sciogliere è se tali processi e azioni possano essere considerati forme inclusive di pianificazione e se siano capaci – con i loro imprevedibili e talvolta effimeri esiti – di produrre uno spazio realmente pubblico.

In un contesto in cui la disciplina e le sue pratiche sono ancora ampiamente legate a tecniche e strumenti di regolamentazione e trasformazione dello spazio fisico, le iniziative di produzione sociale dello spazio pubblico sono considerate marginali o extradisciplinari. La diffidenza nel riconoscerle come forme di innovazione urbanistica, sociale e istituzionale sta nel potenziale rischio di una dissoluzione delle “regole del gioco” che faccia perdere di vista la costruzione della città e del territorio nel suo complesso.

Gli urban commons

Sulla scorta di quanto è stato per la prima volta teorizzato dal filosofo francese Henri Lefebvre (1968), oggi il "diritto alla città" viene declinato anche in forme sublocali di resistenza e cooperazione che

rivendicano le risorse e gli spazi urbani come commons. Queste rivendicazioni si basano non solo sull’affermazione di un diritto all’uso di una particolare risorsa, ma attestano l'esistenza di un interesse comune o di una partecipazione comune alle risorse condivise con altri abitanti come un modo di resistere alla loro mercificazione (Harvey, 2012: 67-75).

Il riconoscimento della natura sociale dei commons estende la categoria anche a beni materiali e immateriali prodotti dell'uomo e suggerisce il confronto con un altro elemento socialmente costruito: la città (Huron, 2015: 968) e permette di inserire lo spazio urbano nel suo insieme tra i new commons (Hess, 2000).

La letteratura recente sul tema degli urban commons parte dal riconoscimento della loro complessità (Dellenbaugh et al., 2015; Borch, Kornberger, 2015), legata al fatto che essi siano una costruzione collettiva di una comunità di riferimento. Il valore attribuito a tali beni può essere di tipo materiale, potenziale (nel caso si aree abbandonate o degradate) o immateriale (simbolico, affettivo), connesso alla memoria storico-culturale di una comunità oppure legato alla costruzione di nuove identità. Può avvenire anche che questi valori si mescolino e si sovrappongano, dato che i diversi soggetti che partecipano al processo di commoning possono avere sensibilità e motivazioni diverse.

Per questo motivo occorre guardare ai commons non come a una particolare categoria di beni, ma come a forme dinamiche di relazione sociale tra un gruppo autodefinito e un determinato aspetto della sua attuale esistenza, così da poter leggere la complessità sottesa alla pratica sociale della condivisione, chiarendo le relazioni attivate da un dato bene, i cui usi possono essere esclusivi di alcuni gruppi sociali oppure parzialmente o totalmente aperti a tutti.

In accordo con tali considerazioni, la prospettiva proposta da alcuni autori di ripensare i beni comuni non come una risorsa chiaramente definita ma come un “generative spacing” (Bresnihan, Byrne, 2015; Jeffrey

et al. 2012: 1249), consente di guardare agli urban commons come a un processo continuo di

riconcettualizzazione delle relazioni socio-spaziali.

Come prodotto collettivo, gli urban commons sono legati a una “nuova” categoria di pubblico che si mobilita ed interviene sia sulle piccole “aree di soglia” (Bonafede, Lo Piccolo, 2011), “infra” arendtiano fra la sfera pubblica e la sfera privata, sia su aree e beni che rivestono una importanza strategica in ambito urbano come le grandi aree verdi e i beni di carattere storico-monumentale. Il riconoscimento di valore è una “pre-condizione” per costituire lo spazio di confronto necessario al processo di commoning.

In tal senso gli urban commons rappresenterebbero spazi politici, luoghi di confronto e interazione fra pluralità differenti di soggetti, dove si propongono azioni e ipotesi alternative di uso e trasformazione dello spazio urbano e dove si strutturano forme “altre” di servizi pubblici. Essi generano un "nuovo" pubblico motivando i partecipanti a trasformare le rivendicazioni da interessi individuali a richieste di giustizia sociale.

Sos Ballarò e il processo di valorizzazione dell'Albergheria

Ballarò è uno dei tre mercati storici di Palermo, come tale è un bene di valore storico testimoniale, ma anche un servizio urbano e un centro di produzione economica. Benché non possa essere considerato un quartiere, i residenti lo riconoscono come tale, attribuendogli un valore identitario, che varia in funzione delle diverse comunità etniche e culturali insediate. Ballarò è caratterizzato dalla presenza di diversi manufatti di carattere storico-monumentale che raccontano le diverse fasi dell'evoluzione storica e artistica della città, ma anche dalla presenza di numerose aree ed edifici abbandonati che rappresentano opportunità per la costruzione sociale di nuovi spazi (potenziali commons) attraverso pratiche di riappropriazione. Tutti questi elementi fanno di Ballarò non un semplice urban commons ma un sistema complesso di commons.

Dall'Ottobre del 2015 il comitato civico Sos Ballarò si adopera per il riscatto sociale dell'Albergheria – l'antico quartiere all'interno del quale si trova il mercato –, ciò ha innescato un processo di commoning che ruota attorno al mercato storico di Ballarò e al sistema di spazi aperti di uso pubblico oggetto di riqualificazione.

In seguito all'incendio doloso appiccato ad un pub confiscato ed assegnato ad una cooperativa impegnata nell'anti-racket, avvenuto il 16 settembre del 2015, un gruppo di residenti, di artigiani, commercianti, imprenditori e di esponenti delle associazioni che operano nel sociale si sono mobilitati per organizzare un'assemblea pubblica, con l'intento di portare all'attenzione dell'amministrazione comunale i problemi più rilevanti del quartiere, quali lo spaccio di droga, gli atti intimidatori nei confronti dei commercianti, la crisi del mercato storico e la mancanza di adeguati servizi sociali di base. Alle prime riunioni partecipa un gruppo nutrito di cittadini, circa cinquanta-sessanta persone. Sin da subito emerge la complessità e l'eterogeneità dei temi trattati e si decide di lavorare in tavoli tematici, collegati tra loro, per elaborare un

documento programmatico unico utile all'avvio del percorso di riqualificazione del quartiere. Tale documento è stato accolto favorevolmente dalla Giunta comunale. Dal gruppo ristretto di cittadini che ha elaborato la stesura finale del documento è nata Sos Ballarò.

Animato dall'idea che Ballarò fosse una risorsa comune da valorizzare in tutte le sue sfaccettature, Sos Ballarò ha avviato una serie di azioni volte alla costruzione di una immagine diversa del quartiere, valorizzando gli aspetti positivi che lo caratterizzano e riconoscendoli come beni comuni da salvaguardare e potenziare.

Le caratteristiche del processo di commoning avviato a Ballarò mettono in risalto la complessità degli urban

commons. Esso rappresenta un esempio di "differential commoning" (Noterman, 2015), in cui i diversi commoners

si relazionano con la risorsa e con gli altri commoners in modi differenti e secondo diversi punti di vista in base ai propri interessi. La complessità è legata al fatto che, in questo caso, l'ideale corrispondenza biunivoca che dovrebbe sussistere tra bene comune e comunità non può essere data per scontata: il contesto di riferimento è tale da doverlo considerare un'arena d'azione in cui un articolato sistema di attori e di comunità, distinti per appartenenza etnica, status socio-economico, livello culturale, ruolo all'interno del quartiere, è all'opera, e dove si palesa una molteplicità di interessi di singoli individui che possono organizzarsi in gruppi di azione.

La molteplicità di prospettive dei diversi soggetti, che a vario titolo vivono Ballarò, e la complessità e diversificazione delle tematiche affrontate corrispondono a un "ecosistema di comunità" che non trova piena rappresentanza nel comitato, soprattutto in quella parte che si adopera attivamente per il cambiamento. Ciò concorre a "forzare" il processo di commoning, poiché coinvolge spesso solo indirettamente i soggetti interessati e la costruzione collettiva si riduce a un "tentativo di salvataggio" da parte di pochi e non a una soluzione collettiva dei conflitti.

A livello formale il comitato civico Sos Ballarò è una pubblica assemblea che si riunisce due volte al mese per affrontare i problemi del quartiere. Il numero di partecipanti alle singole riunioni raramente supera la decina di individui e le stesse sono pubblicizzate principalmente attraverso un gruppo su Facebook di cui fanno parte venti persone. Quando il comitato è sollecitato a discutere di temi precisi, vengono invitati i diretti interessati per coinvolgerli nel dibattito e nel processo decisionale sulle eventuali azioni da intraprendere. Malgrado ciò il gruppo di decisori è pressoché costante, con ruoli ben definiti in funzione delle attitudini e degli interessi.

Una domenica al mese Sos Ballarò organizza Anima Ballarò, una giornata di festa aperta tutti. In queste occasioni musicisti e artisti di strada vengono chiamati ad "animare" le vie del mercato, attivo anche la domenica mattina, e viene organizzato un pranzo sociale a Piazza Mediterraneo, area di sedime di una chiesa crollata durante i bombardamenti del 1943, riqualificata per iniziativa del comitato. Anima Ballarò, giunta alla decima edizione, nasce con il duplice intento di attrarre cittadini che vivono in altre zone della città e rafforzare il senso di comunità, cercando di far incontrare le diverse realtà sociali che caratterizzano Ballarò. La manifestazione è anche occasione per avviare opere di manutenzione straordinaria degli spazi di uso pubblico – ad oggi quattro – riqualificati da Sos Ballarò.

Dalla mia partecipazione a numerose assemblee e a diverse Anima Ballarò, è emerso che il coinvolgimento dei residenti "storici" nei processi di decisione e di cura è quasi nullo, come quello dei commercianti del mercato e delle comunità africane che vivono, in un clima di coesistenza ma non di reale integrazione, in gruppi chiusi.

Sos Ballarò non è ancora riuscita a coinvolgere le diverse componenti della realtà sociale in un processo decisionale effettivamente aperto dove le diverse istanze trovano chiara espressione.

Ne è un esempio il processo di placekeeping su Piazza Mediterraneo in cui si registra la mancata partecipazione dei residenti "storici" e dei commercianti le cui attività insistono su questo spazio e che più di tutti avrebbero interesse al mantenimento del suo decoro. Anzi è ad oggi luogo di un nuovo conflitto, quello tra i residenti della piazza e il titolare di un bar che la sera occupa lo spazio con i propri tavoli e usa il palco costruito dai volontari per fare concerti fino a tarda notte, violando la quiete della zona. Questo testimonia che il processo di placekeeping non viene riconosciuto come un'azione della comunità, ma di un gruppo che non gode del suo pieno riconoscimento.

Figura 1 | Riqualificazione di Piazza Mediterraneo. Fonte: Sos Ballarò, https://www.facebook.com/SOSBallaro.

Anche il processo di costituzione dell'Associazione Mercato Storico Ballarò, promosso dal comitato, non appare come un percorso pienamente condiviso. L'associazione è nata nell'Ottobre del 2016 e di essa fanno parte molti dei membri attivi di Sos Ballarò. Anche in questo caso il ruolo di promozione e guida di Sos Ballarò è stato determinante. Per quanto motivata dall'ascolto delle esigenze di una parte dei commerciati, artigiani e imprenditori che lavorano all'interno del mercato, la sua nascita è merito principalmente dello stesso gruppo che coordina le attività di Sos Ballarò. Appare chiaro come, anche involontariamente in questo modo si venga a creare un clima di subordinazione e di mancata autodeterminazione che crea delle situazioni di impasse – e fenomeni di delega – nelle fasi decisionali più importanti per il destino del mercato.

Questi esempi illustrano come in una situazione complessa, come quella descritta, emerga un "nuovo soggetto pubblico" che assume il ruolo di regia dei processi di valorizzazione e trasformazione del territorio inteso come bene comune. Ciò crea un'immagine del quartiere, di cui Sos Ballarò è promotrice, che attualmente è solo condivisibile più che condivisa.

Parco Uditore

Di diversa natura è l'esperienza di Parco Uditore, un parco pubblico attivo dal 2012 nella V circoscrizione di Palermo. Esso è nato in seguito a una mobilitazione civica sostenuta da un gruppo di cittadini ed è oggi è gestito da una associazione senza scopo di lucro.

La Cooperativa Sociale Parco Uditore nasce nel dicembre 2014 come evoluzione giuridica del Comitato Civico sorto nel 2010 con la finalità di preservare l’area di Fondo Uditore, salvatasi dal sacco di Palermo degli anni ’60, e destinarla a parco urbano.

L’area del Parco Uditore era un fondo agricolo di circa 7 ettari rimasto in stato di abbandono per decenni. La Regione Siciliana, proprietaria di esso – e in accordo con il vigente PRG – lo aveva destinato a centro direzionale, ma i lavori non sono mai iniziati. Nel 2010 un gruppo di cittadini ha promosso una petizione per realizzare su essa un parco. In pochi mesi sono state raccolte oltre 8000 adesioni grazie alle quali è stato possibile presentare al Comune una Variante al PRG che destinava fondo Uditore a parco urbano. Così ha avuto inizio una fase di dialogo con le istituzioni, in particolare prima con il Comune e poi con la

Regione Siciliana. Nel mese di maggio 2011 il comitato cittadino promotore dell’iniziativa, insieme ad alcuni esponenti delle associazioni ambientaliste che lo supportano, presenta alla commissione urbanistica del Comune di Palermo il progetto di variante. Nel luglio 2011 la variante viene consegnata ufficialmente all’amministrazione pubblica e nell’ottobre dello stesso anno la Regione Siciliana, proprietaria del Fondo, stanzia i fondi per iniziare i lavori di bonifica e per le opere necessarie a rendere l'area fruibile.

I lavori di bonifica del Fondo – ad opera del personale della Regione Siciliana, e con un appoggio significativo del Comitato Civico che si era costituito per promuovere la petizione – si concludono a metà gennaio. Successivamente diverse piccole imprese locali e artigiane hanno collaborato per realizzare gli impianti, le attrezzature e gli arredi del parco.

Il 15 ottobre 2012 Parco Uditore apre per la prima volta i suoi cancelli al pubblico senza uno stanziamento di fondi pubblici per provvedere alla gestione e manutenzione dell’area. Da qui nacque l’esigenza di dotare il comitato civico di personalità giuridica al fine di poter essere riconosciuto come ente gestore. La Cooperativa si adopera affinché siano garantite al pubblico l’apertura regolare, la costante pulizia e sorveglianza dell’area, nonché un palinsesto di attività culturali, sportive e ludico-ricreative aventi come scopo primario la raccolta di fondi per la gestione ed il mantenimento del parco stesso, il parco infatti non riceve fondi pubblici per la sua conduzione.

Negli anni Parco Uditore Cooperativa Sociale è stata in grado di costruire una rete di aziende, associazioni del Terzo Settore, singoli sostenitori, che ha reso possibile il mantenimento e la conduzione dell’area senza gravare sulla spesa pubblica.

Riguardo all'offerta di servizi, la Cooperativa organizza e promuove eventi puntuali (la Festa del Colore, la Festa di primavera, etc.) e altre iniziative continuative nel tempo (mercato del contadino, creazione dell'associazione Artigiani dell'Uditore e il relativo mercato, etc.).

Inoltre, è interessante sottolineare l'attivazione di diverse attività volte al coinvolgimento attivo degli abitanti nella cura/gestione del parco come ad esempio l'iniziativa "Un albero per...", nella quale chiunque volesse poteva piantare un albero nel Parco e dedicarlo a una persona cara, a patto poi di prendersene cura nel tempo, questo ha favorito la costruzione di un senso di appartenenza e di comunità.

Figura 2|Uno degli alberi piantati in occasione dell'iniziativa "Un albero per...". Fonte: Cooperativa Sociale Parco Uditore, http://www.parcouditore.org/.

Rispetto al caso analizzato precedentemente, questa esperienza testimonia l'importanza di una chiara campagna di coinvolgimento iniziale dei cittadini, indispensabile a costruire una comunità di riferimento che sostenga l'iniziativa. Va considerato che i temi affrontati sono molto diversi e che nelle iniziative legate al verde e alla sostenibilità la partecipazione e l'auto-organizzazione emergono più facilmente.

L'esperienza dimostra che l'alta tangibilità dei risultati – i progetti possono essere realizzati entro un tempo relativamente breve, senza requisiti tecnologici complessi e con un basso impegno finanziario – e la facilità con cui anche i cittadini meno esperti possono collaborare alla cura del verde incoraggiano la partecipazione e favoriscono accordi istituzionali con la pubblica amministrazione in cui il "nuovo" pubblico trova un chiaro riconoscimento. Inoltre i governi locali – in ottica generale di sostenibilità – sono aperti a pratiche innovative di gestione del verde pubblico al fine di poter estendere tali esperienze, se questi esperimenti hanno successo, ad altre aree. Per questo motivo è molto più facile ottenere sostegno da parte delle autorità locali e i cittadini riescono a diventare soggetti attivi nella governance urbana.

Conclusioni

Pur nella loro profonda diversità, i casi analizzati mostrano come la costruzione sociale dello spazio può essere fondata su pratiche insorgenti e cooperative, come chiaramente dimostrato dal caso di Parco Uditore. In questo caso il riconoscimento di valore dell'area verde da parte dei cittadini è stato catalizzatore per la strutturazione di un processo condiviso di dialogo con le istituzioni, ancorato alla prassi urbanistica ordinaria – proponendo una variante al PRG –, che ha portato all'erogazione di un servizio gestito da una istituzione non pubblica ma che gode del riconoscimento e della collaborazione dei cittadini.

Il caso di Sos Ballarò invece dimostra l'importanza della costruzione di un senso di condivisione degli intenti propedeutico all'attivazione dei cittadini affinché siano processi di governance partecipativi e collaborativi veramente inclusivi, capaci di dare nuovo vigore all’idea di spazio pubblico come spazio di democrazia e non forme più sottili, e nuove, di disuguaglianza ed esclusione sociale, fondate su maschere identitarie postmoderne (Harvey, 1997).

Riferimenti bibliografici

Arendt, H. (2008), Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano. Arendt, H. (2006), Che cos’è la politica?, Einaudi, Torino.

Bonafede, G., Lo Piccolo, F. (2011), “(Co)Abitare luoghi plurali per la costruzione dello spazio (pubblico) della democrazia”, in SIU (a cura di), Abitare l’Italia. Territori, economie, diseguaglianze, Atti della XIV Conferenza SIU (on line), www.planum.net, pp. 1-9.

Borch, C., Kornberger, M. (2016), Urban commons: Rethinking the city, Routledge, Taylor & Francis