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DICEA – Dipartimento di Ingegneria Civili, Edile ed Ambientale Email: valentina.colazzo@uniroma1.it

Tel: 3386545884

Abstract

Partecipazione, consenso e comunità locale sono elementi decisivi nel successo o fallimento delle politiche di trasformazione territoriali, che comportano spesso situazioni conflittuali a livello locale e nazionale.

Lo strumento del dibattito pubblico introdotto dal Nuovo Codice degli Appalti rappresenta l’opportunità di superare tali situazioni conflittuali; i dettagli procedurali sono rimandati ad un decreto in fase di elaborazione

Tale necessità deriva dalla presenza diffusa sul territorio di situazioni conflittuali con le comunità locali che comportano un costo rispetto alla realizzazione dell’opera e all’effetto sociale della stessa: spesso il conflitto rimane radicato nel tempo e crea una barriera comunicativa tra comunità e Pubblica Amministrazione.

Dove si può intervenire per cambiare questa generazione di conflitto che caratterizza le infrastrutture?

L’opportunità offerta dalla definizione in corso in Italia del dibattito pubblico rappresenta l’occasione per delineare, con alcuni accorgimenti, delle possibili linee guida di questo nuovo strumento, provando ad utilizzare pratiche europee consolidate (come quella francese) e le esperienze di applicazione di altre normative sulla partecipazione, come quella della Regione Toscana, per individuare una modalità di dibattito pubblico meno impositivo e più costruttivo.

Parole chiave: infrastrutture, partecipazione, comunità.

1 | Introduzione

Il ruolo della partecipazione all’interno di politiche ed interventi di trasformazione territoriale ha assunto nel tempo un’importanza sempre maggiore.

Lo confermano i numerosi interventi attuati dall’Unione Europea, come il Libro Bianco sulla Governance del 2001 e la Relazione della Commissione sulla governance europea, in cui si sottolinea come «[…] la promozione di nuove forme di governance […] è condivisa dai poteri pubblici di qualsivoglia livello, dalle imprese private, dall’insieme della società civile organizzata, in quanto i principi della buona governance, ossia apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza, corrispondono all’aspettativa generale di

questo inizio di ventunesimo secolo»1

Da questo estratto si percepisce come la partecipazione collettiva alla scala locale abbia assunto rilevanza nel successo o nel fallimento delle trasformazioni urbane, in particolare rispetto alla realizzazione di infrastrutture.

Molto spesso, difatti, la costruzione di tali opere comporta un contrasto molto duro con le comunità del territorio di insediamento, che si ripercuotono sia sul processo di realizzazione dell’infrastruttura (con notevoli ritardi e quindi costi aggiuntivi) sia sulla costituzione di un rapporto conflittuale tra amministrazione pubblica e comunità locale.

2 | Il conflitto sul territorio e la mancanza di comunicazione

La realizzazione di opere pubbliche, in particolare di tipologia infrastrutturale, comportano una situazione di conflittualità con il territorio sempre più crescente.

Lo confermano i dati riportati da NimbyForum 2016, piattaforma multimediale che riprende la famosa sindrome Nimby (Not In My Back Yard) che raccoglie e mappa le infrastrutture e gli impianti la cui costruzione abbia subito contrasti locali: dal 2010, anno in cui i progetti bloccati a causa del conflitto con la comunità locale erano 320, si è giunti al 2016 con 342 opere ferme.

Questo dato testimonia proprio come ci sia una notevole difficoltà di comunicazione tra amministrazione pubblica, che gioca il ruolo del proponente, e la collettività, che molto spesso percepisce la scelta pubblica come imposizione.

La sensazione collettiva è quella di impotenza nella decisione progettuale, che viene scelta dalla pubblica amministrazione e poi “subita” dal territorio.

Tendenzialmente è proprio la costruzione di una grande opera in sé a comportare una ferrea opposizione locale, generando la sindrome di Nimby, che viene molte volte estremizzata in un’ottica di consenso popolare. Quasi sempre, difatti, coloro che contestano una certa opera trovano il sostegno di attori schierati, ad esempio le associazioni ambientaliste o i gruppi politici. Il conflitto, allora, assume un ruolo diverso dalla contestazione motivata.

Riprendendo una distinzione in categorie di conflitto sviluppata da Luigi Bobbio (articolo), esistono, a seconda degli obiettivi e degli attori in gioco, differenti tipologie di conflitto:

1. Il particolarismo: il conflitto territoriale è il risultato del decisionismo locale, che diventa l’ostacolo principale nell’ottenimento dell’interesse generale;

2. La sobillazione: simile al particolarismo, delegittima gli oppositori locali ma rimandando ad interessi nascosti e voluti da un soggetto misterioso che agisce dietro un finto interesse per il bene comune; 3. La sproporzione tra costi e benefici: in questa definizione, il conflitto non riguarda la difesa del bene

comune ma lo sbilanciamento tra coloro che subiscono i costi della realizzazione di un’opera e coloro che invece ne beneficeranno;

4. I rischi: l’esistenza di un rischio e la relativa angoscia e preoccupazione che ne deriva diventa il tema del conflitto, anche laddove le probabilità del suo verificarsi siano minime;

5. Luoghi contro flussi: qui il conflitto non deriva dall’opera e dai relativi rischi, in quanto le contestazioni territoriali si verificherebbe anche in assenza di essi; deriva dalla volontà di non accettare nel proprio contesto un elemento che potrebbe generare elementi negativi (es.: discarica, campo nomadi,…); 6. Per un altro modello di sviluppo: in questo caso il contrasto non è con l’opera ma con ciò che

rappresenta l’infrastruttura, ovvero un modello di crescita urbana legata al consumo ed al profitto. Attraverso tali forme di conflitto, lo scontro diventa un elemento costituente dell’infrastruttura si rende necessario approcciare al conflitto in maniera costruttiva e partecipativa.

La contrapposizione delle parti è riduttiva e crea soltanto ulteriore frammentazione locale; il conflitto territoriale non è solo uno schieramento tra pro e contro o una battaglia tra progressisti e conservatori; è anche espressione di una comunicazione insufficiente tra la scelta pubblica e la collettività.

Perché c’è carenza di comunicazione tra amministrazione pubblica e cittadinanza?

Una causa è rintracciabile in un’assenza di adeguati strumenti e metodi di coinvolgimento collettivo, imputabile ad uno sviluppo tardivo nel contesto italiano di leggi sulla partecipazione.

Inoltre, per buona parte della pubblica amministrazione, la partecipazione ha un’accezione negativa: coinvolgere la cittadinanza significa dovere affrontare nuove questioni e problematiche, che aggravano ed allungano ulteriormente i tempi progettuali.

La chiave di lettura del conflitto collettivo dovrebbe essere «gestire la complessità in modo che non sia complicata, che sia accessibile e possa mantenere o arricchire il valore progettuale»2.

Il coinvolgimento collettivo può rappresentare un valore aggiunto per il progetto in quanto si arricchisce di quel sapere “territoriale” che soltanto una quotidianità locale può costruire.

Il rapporto partecipativo non deve ridursi ad uno scambio obbligatorio: non si tratta di dover necessariamente scendere a compromessi, rinunciare ad un dettaglio tecnico, rivedere una scelta progettuale.

La cosiddetta accettabilità sociale si costituisce attraverso un’informazione della collettività: ad oggi «la gente direttamente interessata dal progetto ed il pubblico in generale non sono coinvolti o lo sono solo in misura limitata; essi ricevono l’informazione solo in una fase molto tarda e quando le principali scelte concernenti il progetto sono state effettuate. »3

2Riva F. (2011), “Come limitare la contestazione delle opere pubbliche con la comunicazione di progetto” in Blizz

valorizzazione e comunicazione di progetti complessi.

3Riva F. (2011), “Come limitare la contestazione delle opere pubbliche con la comunicazione di progetto” in Blizz

Si tratta di aprire un processo decisionale fino ad oggi chiuso in sé, volutamente riservato a pochi: il confronto con la collettività è necessario a creare quell’accettabilità sociale dell’opera da realizzare.

In questa dimensione si inserisce il concetto di “comunicazione di progetto”, un approccio innovativo in cui si struttura la comunicazione in quattro punti principali4:

• Obiettivi: è la fase in cui si raccolgono le informazioni per un miglioramento progettuale ed una riduzione dell’impatto sociale ed economico dell’opera; si inizia a costruire un inizio di dialogo;

• Pubblico: la varietà di soggetti partecipanti (tecnici, associazioni, singoli cittadini,…) impone un’interpretazione adeguatamente semplificata;

• Attori e contenuti: una comunicazione diversificata richiede competenze culturali e professionali variegate;

• Tempistica: il vantaggio di una condivisione collettiva è ovviamente massima se la partecipazione viene applicata di progettazione preliminare.

Rispetto a quest’ultimo punto, è importante ricordare come i livelli di progettazione siano stati modificati dal Nuovo Codice degli Appalti (50/2016), che individua il progetto di fattibilità tecnica ed economica, il progetto definitivo ed il progetto esecutivo.

Secondo questa nuova classificazione, la fase di migliore avvio del processo partecipativo sarebbe la prima, che sostituisce a tutti gli effetti il progetto preliminare.

Con il nuovo decreto legislativo 50/2016 viene introdotto il dibattito pubblico, un importante strumento di partecipazione collettiva che cerca proprio di colmare l’assenza di un mezzo finalizzato al coinvolgimento della cittadinanza.

3 | Il dibattito pubblico: prime definizioni ed esperienze a confronto

Il decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50 «disposizioni per l'attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della

disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture», comunemente definito nuovo

codice degli appalti ha apportato numerose modifiche nell’ambito della pianificazione territoriale, sia rispetto ai livelli di progettazione sopra riportati sia rispetto alla nuova procedura di coinvolgimento collettivo conosciuta come dibattito pubblico.

L’articolo 22 del Nuovo Codice degli Appalti disciplina in 4 commi questo nuovo strumento, definendolo come una procedura applicabile ad opere di una certa tipologia e soglia dimensionale.

Maggiori dettagli relativi al dibattito pubblico dovranno essere definiti attraverso un decreto in fase di sviluppo.5

Gli obiettivi di questo strumento dovrebbero essere una facilitazione del dialogo con lo scopo di ricavarne un miglioramento progettuale: la conoscenza del territorio data da chi la vive da sempre è un elemento sicuramente importante ai fini progettuali.

Gli esiti di questa procedura, tuttavia, non dovrebbero essere vincolanti e non avere valore prescrittivo, a conferma anche del ruolo con cui è stato concepito tale strumento.

La fase in cui si dovrebbe attuare il dibattito pubblico è la fase di fattibilità progettuale, disciplinata dall’art. 23; in questa fase, il soggetto proponente ha il compito di redigere un Documento di Fattibilità delle Alternative Progettuali (DFAP) che viene poi inviato alla Pubblica Amministrazione.

L’amministrazione pubblica potrebbe a questo punto decidere se procedere o meno con l’opera, se apportare modifiche, integrare o meno con i risultati del dibattito pubblico.

Il ruolo del DFAP risulterebbe quindi fondamentale per la decisione pubblica: apparirebbe come uno strumento informativo degli impatti territoriali dell’opera.

Dovrebbe poi essere individuato un Direttore del Dibattito Pubblico, che il compito di porsi come autorità terza nella gestione del dibattito.

La conferma di queste ipotesi, ovviamente, arriverà con l’emanazione del decreto di riferimento.

Il concetto di dibattito pubblico introdotto in Italia riprende alcuni elementi della tradizione del débat public francese, dove è uno strumento consolidato da anni.

4Riva F. (2011), “Come limitare la contestazione delle opere pubbliche con la comunicazione di progetto” in Blizz

valorizzazione e comunicazione di progetti complessi.

5 Seminario “Dibattito pubblico: opportunità di integrazione partecipativa o strumento formale?” tenuto nell’ambito

Il débat public è stato introdotto in Francia negli anni ’90 con la legge Barnier del 1995, che ha riconosciuto, a seguito delle numerose proteste per la TGV-Méditerranée, il «diritto dei cittadini di essere interpellati in materia di

tutela ambientale».

Tuttavia, il vero cambiamento avvenne nel 2002 con la legge sulla democrazia di prossimità per indicare la

valorizzazione del sapere esperienziale di chi vive quotidianamente il territorio a prescindere dall’esserne o meno cittadino6.

In particolare, la consultazione francese si articola attraverso due strumenti differenti: l’inchiesta pubblica ed il dibattito pubblico.

L’inchiesta pubblica si riferisce a tematiche riguardanti l’assetto urbano, la tutela ambientale e paesaggistica dei comuni interessati dall’opera; ha una durata compresa tra i 2 ed i 3 mesi e al termine produce un dossier d’inchiesta su cui la collettività può produrre osservazioni in una riunione pubblica; il rapporto finale rispetto alle osservazioni emerse ha un valore non prescrittivo e può quindi essere disatteso dal soggetto interessato, che però deve motivare tale rifiuto.

Una delle principali criticità riguarda la fase avanzata in cui viene condotta l’inchiesta pubblica.

Il dibattito pubblico riguarda le opere infrastrutturali e le opzioni politiche ambientali e di assetto territoriale: proprio per questo, comprende il territorio interessato dall’opera nella sua totalità; esiste una commissione indipendente che ha il compito di vigilare sul corretto svolgimento di questa procedura, che dura dai 4 ai 6 mesi e prevede l’organizzazione da parte della commissione di un dossier sul progetto.

Gli attori coinvolti producono un position paper, ovvero un documento in cui vengono presentate le loro posizioni; anche in questo caso, i risultati emersi dal dibattito non sono vincolanti, ma la loro esclusione deve essere motivata.

Il dibattito pubblico italiano ha quindi ripreso la filosofia con cui nasce tale strumento e presenta alcune differenze con il caso francese: ad esempio, non dovrebbe essere prevista in Italia l’istituzione di una commissione indipendente, che verrebbe invece sostituita dalla figura del Direttore; oppure, mentre il Francia si rimanda alla fase definitiva, in Italia verrebbe attuato nella fase di progettazione di fattibilità tecnica ed economica.

Vi sono stati alcuni esempi di Regioni italiane che hanno scelto di utilizzare questo strumento nel loro ordinamento.

Ad esempio, in Toscana è stato istituito il dibattito pubblico regionale, disciplinato dalla legge regionale 46 del

2013 e definito come «un processo di informazione, confronto pubblico e partecipazione» ed il cui obiettivo è la promozione della partecipazione dei cittadini nei processi decisionali.

Anche in questo caso, a riprendere l’impostazione data dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il dibattito pubblico regionale si svolge in fase di progettazione preliminare per una serie di opere specifiche distinte secondo una soglia finanziaria e la natura di intervento pubblica o privata.

Un elemento innovativo introdotto dalla normativa toscana è la presenza di un’Autorità Partecipazione, che stabilisce le modalità e gli strumenti del dibattito con la durata dello stesso.

4 | Conclusioni

L’opportunità offerta dalla definizione in corso in Italia del dibattito pubblico rappresenta l’occasione per delineare, con alcuni accorgimenti, delle possibili linee guida di questo nuovo strumento, provando ad utilizzare pratiche europee consolidate (come quella francese) e le esperienze di applicazione di altre normative sulla partecipazione, come quella della Regione Toscana, per individuare una modalità di dibattito pubblico meno impositivo e più costruttivo.

A differenza di quanto sembra profilarsi nel DPCM in formazione che individua un Direttore, la Toscana ha scelto di rimandare alcuni compiti ad un’autorità ben precisa.

Alcuni spunti di riflessione potrebbero riguardare le modalità di attuazione, non ben specificate: si potrebbe riprendere il modello francese con l’individuazione di due strumenti differenti che agiscono in due momenti progettuali differenti.

Anche il Direttore potrebbe avere un ruolo forse troppo accentrato rispetto all’esistenza di una Commissione come quella francese: la presenza di più persone eviterebbe anche di riunire in una sola figura tutti i compiti e le responsabilità.

Rispetto alla partecipazione degli attori, il decreto 50/2016 permette di partecipare a tutti i cittadini; questo, se da un lato apre il processo alla collettività intera, dall’altro rischia di allungare inutilmente i tempi del dibattito: si potrebbe riprendere qui il modello inglese, dove la partecipazione viene rimandata

6 De Toffol F., Valastro A. (2012), Dizionario di democrazia partecipativa, Consiglio Regionale, Regione Umbria, Centro

ad una compilazione di uno specifico format in cui si spiega anche l’importanza di partecipare laddove sia presente una motivazione o un interesse.

L’incertezza dovuta alla mancanza di un DPCM di riferimento, che costruisca l’ossatura del dibattito pubblico, lascia però lo spazio per poter effettuare alcune considerazioni.

Il richiamo alla tradizione francese è evidente nel dibattito pubblico italiano, anche se con le differenze sopra descritti.

Un elemento fondamentale, invece, che va ben oltre il dettaglio tempistico o procedurale, riguarda il concetto di democrazia.

Potrebbero difatti verificarsi due situazioni opposte: il dibattito pubblico ha esito positivo e concorde con la decisione pubblica; il dibattito pubblica ha esito negativo e contrasta la scelta pubblica.

Nel primo caso, la situazione sarebbe ottimale e permetterebbe di procedere con quanto scelto dalla Pubblica Amministrazione.

Nel secondo caso, invece, il soggetto pubblico si troverebbe di fronte alla necessità di dover scegliere se sostenere la volontà collettiva o portare avanti quanto già deciso.

Si scontrerebbero quindi due espressioni di una stessa democrazia: la prima, espressa con il voto, e la seconda, derivante dal dibattito pubblico.

In questo ragionamento diventa fondamentale non relegare il dibattito pubblico ad uno strumento di risoluzione del conflitto: si dovrebbe agire prima attraverso questo strumento proprio con l’obiettivo di superare i contrasti.

Riferimenti bibliografici

Bobbio L. (2011), “Conflitti territoriali: sei interpretazioni”, in Tema, n. 4, pp. 79-88.

Commissione Europea (2003), Relazione della Commissione sulla governance europea, Lussemburgo.

De Toffol F., Valastro A. (2012), Dizionario di democrazia partecipativa, Consiglio Regionale, Regione Umbria, Centro studi giuridici e politici.

Franco D., Lo Fazio A. (2012), “Da governo e governance: il possibile ruolo della partecipazione”, in

Territori, n° 10.

Riva F. (2011), “Come limitare la contestazione delle opere pubbliche con la comunicazione di progetto” in Blizz valorizzazione e comunicazione di progetti complessi.

Quale “europeizzazione” del governo del territorio?