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Universsità Federico II Diaprtimento di Architettura

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Abstract

L’urbanistica informale ha ottenuto popolarità assicurando la realizzazione di abitazioni a basso costo in tempi rapidi. Ha cavalcato la “mobilitazione individuale” di costruzione della città sulla spinta dell’ambizione funzionale e simbolica all’abitazione. Per fare ciò ha creato una industria edilizia illegale in grado di fornire tutte le prestazioni necessarie per la realizzazione dell’intero ciclo edilizio: dall’acquisizione del suolo alla realizzazione dei fabbricati. Ciò ha configurato una rete di complicità che coinvolge funzionari pubblici infedeli, imprese, professionisti in un blocco sociale il quale continua ad essere presente e a difendere gli interessi comuni. Tale alleanza (o regime urbano) è coeso non solo per motivi economici ma anche da rapporti di potere coercitivi che vengono usati nelle transazioni e garantiscono il funzionamento del processo in assenza di vincoli contrattuali formali. Non bisogna pensare che esso ha esaurito la sua funzione a seguito dei condoni e del raffreddamento della domanda abitativa (per cui il problema attuale è solo di come recuperare e riqualificare i quartieri abusivi), ma cerca di sopravvivere e assicurare garanzia ai processi in corso intervenendo nelle decisioni urbanistiche. La cultura urbanistica del regime dell’abusivismo è tecnicamente elementare ma strenuamente legata all’individualismo, allo sprawl e all’automobile. Il problema è se e quanto può essere penetrata da interessi di coltivazione dei beni comuni in termini di spazi sociali e soluzioni urbane ecologiche.

Parole chiave: sprowl, local plans, governance.

1 | Introduzione

Non è possibile trattare di edilizia illegale seguendo gli stili di un saggio scientifico per la difficoltà ad ottenere informazioni e dati in grado di esaminare il fenomeno in tutte le sue sfaccettature perché la parte conosciuta e visibile corrisponde solamente alla punta di un iceberg dove i passaggi più rilevanti sono evidentemente nascosti essendo illeciti ed oggetto di incriminazione. Per questo motivo, le rappresentazioni più vivide ed esplicative dei fenomeni criminali assumono piuttosto la forma del romanzo assegnando al velo della creatività letteraria il ruolo di connessione tra i brani che si rendono segmetatamente evidenti nelle vicende per ricostruire verosimili dinamiche sufficientemente esplicative (Saviano 2006). L’abusivismo edilizio, in particolare, non si può avvalere neppure del contributo conoscitivo proveniente dalle indagini della magistratura le quali si sono piuttosto concentrate sugli appalti per i servizi e le opere pubbliche coinvolgenti con una particolare intensità il settore dei rifiuti e dei reati ambientali. Non intendo affermare che il reato di abusivismo edilizio non venga sanzionato, al contrario, sono numerosissime le cause penali (diverse decine di migliaia) che trattano costruzioni abusive e ne dispongono sanzioni detentive e demolizione dei fabbricati. Le stime di cui disponiamo sono state avanzate da Legambiente (2008). Secondo il suo rapporto tra 1998 e 2007 in Campania sono stati costruiti 60.960 edifici abusivi per una superficie utile complessiva di mq. 9.103.434 la maggior parte nelle provincie di Napoli e Caserta.

Questi processi giudiziari, sebbene stanno colpendo la totalità delle illegalità, agiscono, si potrebbe dire alla superficie. Essi colpiscono i proprietari degli immobili e i manufatti ma non gettano luce sul processo che sta alla base della formazione di quei prodotti. Probabilmente questa strategia giudiziaria è condizionata dal quadro normativo entro il quale si deve esercitare e potrebbe, comunque, avere l’effetto di contrastare questa forma di urbanizzazione in maniera efficace come fa pensare il rallentamento verificatosi dopo l’applicazione rigorosa dell’azione giudiziaria, sebbene essa vada a coincidere con un raffreddamento generale del mercato immobiliare ed una riduzione della domanda abitativa.

Una prospettiva che guarda al fenomeno dal punto di vista del governo del territorio pone domande più numerosi di quelle che girano intorno all’individuazione degli immobili ed al loro stato giuridico di legittimità e sanabilità. La prima domanda riguarda l’efficacia dell’azione giudiziaria: ovvero se si tratta di pratiche abbandonate perché sono state efficacemente contrastate e estirpate dalla radice, oppure si trovano in una contingenza di rallentamento, ma sopravvivono in radice e sono pronte a riemergere vigorose appena si riformerà la domanda. La seconda domanda riguarda la gestione delle trasformazioni prodotte sul territorio e la lor influenza rispetto agli obiettivi di rigenerazione urbana che la cultura urbanistica ci indica per trasformare le città in organismi ecologicamente sostenibili. Entrambe le domande pongono problemi di governance e richiedono ipotesi sul regime urbano ipotizzando che una così consistente trasformazione del territorio non possa attuarsi in maniera marginale, per effetto dell’iniziativa autonoma di famiglie isolate ma richieda una organizzazione complessa e ramificati che attraversa la società locale ed è in grado di assicurare la sospensione della normativa statale e l’instaurazione di un altro ordine. Le implicazioni non sono puramente giuridiche ma anche politiche.

Lo studio dell’argomento appena esposto si basa sui processi decisionali a cui l’autore ha partecipato in qualità di coordinatore di azioni di supporto tecnico-scientifico del proprio Dipartimento, nell’ambito della terza missione. I casi riguardano comuni di piccole o medie dimensioni dell’area metropolitana di Napoli, investiti da estesi fenomeni di costruzioni abusive. Il metodo di studio si basa sulla riflessione delle interazioni nel processo decisionale urbanistico e l’analisi delle strategie degli attori ad esso partecipanti in uno sfondo istituzionale costituito da enti locali con rapporti interistituzionali multilivello e interpretazioni di missioni e normative (Moccia 2015).

2 | La forma dell’insediamento spontaneo nel napoletano e nel casertano

Partiamo dalla descrizione delle aree realizzate in difformità dagli strumenti urbanistici vigenti per avere una prima e superficiale conoscenza dell’abusivismo nella città metropolitana di Napoli e nella provincia di Caserta. Bisogna avvertire che in queste zone è stato praticato il condono, per cui, fabbricati costruita in difformità rispetto alle norme urbanistiche hanno potuto beneficiare della legge ed ottenere la sanatoria. Questo dettaglio non è rilevante per l’esame del problema dal punto di vista urbanistico perché comunque la loro realizzazione è avvenuta senza piano.

Perciò ci soffermeremo sulle caratteristiche urbanistiche di queste aree non pianificate nella prospettiva già indicata in introduzione rivolta alla valutazione della loro incidenza sui futuri processi di pianificazione. A questo scopo si deve considerare che le aree difformi si presentano con diverse morfologie in prevalenza associate a diverse aree della regione considerata (Zanfi 2008). Non sono escluse intersezioni tra i tipi morfologici, fatto del tutto naturale in eventi “spontanei”. Semmai è più sorprendente come si manifestino numerose regolarità che sarebbe meno comprensibili qualora si dovessero spiegare queste azioni di trasformazione fondandole esclusivamente su quella vitalistica azione del protagonismo individualistico già segnalato da Secchi (1996)

2.1 | La campagna urbanizzata

La costruzione di abitazioni dipende dall’ampliarsi del bisogno in due direzioni: 1) migliorare le condizioni abitativi con la riduzione della densità, ovvero con una maggiore di superficie utile per abitante e con la maggiore disponibilità di servizi e spazi aperti pubblici e privati; 2) il moltiplicarsi delle abitazioni per l’aspirazione a risiedere temporaneamente lontano dalla città e dal posto di lavoro per godere di amenità ambientali e, nel napoletano, specialmente della balneazione. La seconda esigenza coincide con località ben definite caratterizzate dalla qualità paesaggistica e da condizioni di tranquillità e comportano tipi edilizi isolati in prevalenza, sebbene si possano trovare anche codomini o complessi a schiera, frutto di sviluppi turistici più organizzati da iniziative imprenditoriali di varia importanza. Questo sviluppo di seconde case è stato particolarmente invasivo dei litorali del mezzogiorno e spesso ha avuto anche la forza di condizionare, con le prospettive di crescita economica le previsioni urbanistiche poco scrupolose alla difesa di valori ambientali e paesaggistici.

Per quanto riguarda la prima direzione, il prodotto è stato la campagna urbanizzata già studiata in diversi saggi a cui si rimanda per la somiglianza che essa presenta che nell’area metropolita di Napoli a quella di altre regioni Italiane come il Veneto, dove dapprima si è registrato questa nuova forma di espansione e sono state messe in evidenza da studi approfondito come configurasse un tipo di urbanizzazione inedita (Indovina 2009, Fregolent 2005). Nel vesuviano interno e nella piana del Sarno troviamo non solo la dispersione residenziale nelle aree agricole ma la presenza di molte altre funzioni che vanno dal commercio di prossimità a quello all’ingrosso, alla logistica minuti, alle piccole e grandi attività artigianali a

una micromanifattura nell’abito dell’agroindustria. L’insieme, giustamente, rifunzionalizza la campagna come luogo che non è più specializzato nel primario ma assume quella complessa multifunzionalità tipica dell’urbano.

2.2 | Le espansioni urbane

In altre aree, l’urbanizzazione difforme si presenta come delle vere e proprie espansioni urbane mantenendo perfino caratteri di continuità con i tessuti pianificati contermini. La grigliaa di strade è regolarmente ortogonale e disegna isolati allungati dalla profondità idonea ad accogliere due lotti addossati la cui dimensione oscilla intorno ai m. 40. Con queste misure si può sviluppare un’edilizia a cortina accompagnata da cortili e un piccolo orto o giardino. Riducendo lo spessore dell’isolato, si sacrifica lo spazio a verde, mente con l’aumento si amplia. Va comunque notato che tali oscillazioni sono molto contenute e la tendenza prevalente è di mantenersi al di sotto di quella indicata come riferimento.

Questa urbanizzazione è tipica del settore settentrionale dell’area metropolitana dove si erano concentrati quelli che storicamente venivano denominati casali e colonizzavano la pianura bonificata dai Regi Lagni fornendo il cibo fresco alla capitale. Con l’industrializzazione i casali si trasformano in cittadine, giudicate da molti quartieri dormitorio della metropoli la cui crescita accelerata non riesce a essere governata da un’urbanistica lenta seppure generosamente dimensionata. L’estensione dell’edificato avviene per prossimità al già costruito condizionata dall’accessibilità determinata dalle strade di collegamento principali tra i comuni (strade provinciali).

Questo condizionamento dell’accessibilità, in alcuni casi prevale su quello della contiguità al già costruito e determina delle espansioni a gemmazione che si protendono verso i territori agricoli o solamente accompagnando gli assi extraurbani esistenti o arricchendoli di diramazioni con nuclei edificati più o meno consistenti. È il caso dei comuni vesuviani costieri, dove il difforme si arrampica lungo le falde del vulcano seguendo i sentieri di risalita al monte, nonostante il rischio idrogeologico e l’esposizione alle eruzioni. 2.3 | Gli agglomerati indipendenti

Si può ascrivere alla fase più evoluta e matura l’urbanizzazione difforme quella in cui gli insediamenti non vengono condizionate dal sistema urbano ma creano nuovi nuclei che hanno due caratteri diversi, sebbene ci distinguano entrambi per non essere emanazioni di altre realtà urbanistiche. Sebbene non raggiungano quella complessità funzionale e tipo-morfologica delle cittadine metropolitane, restando iscritte nella categorizzazione dispregiativa di quartieri dormitorio, li vediamo, nelle mappe, stagliarsi come macchie isolate ed autonome. Al proprio interno accolgono gli indispensabili servizi alla residenza, semmai solo gli essenziali negozi di generi alimentari e sicuramente registrano la totale o quali totale assenza di servizi pubblici in accordo con l’inesistenza delle aree per gli standard urbanistici. In compenso il terziario privato può utilizzare la localizzazione su assi a frequente percorrenza per localizzarsi con quelle superfici di vendita di meri ingombranti difficili da collocare in congestionati centri urbani.

Il primo carattere è quello di filamenti interstiziali che, seguendo le strade di comunicazione tra i comuni, finiscono per realizzare delle saldature tra gli stessi e non si possono attribuire ad uno solo, divenendo nuove e semindipendenti realtà urbane. Esemplare è l’asse che si protende tra Casavatore e Carditello negli interstizi tra le zone industriali di Arzano e Casoria. È una direttrice che, con qualche interruzione, coinvolge brani di Caivano e giunge fino a Crispano e attraversa il cuore della prima cintura industriale degli anni ’60 quando la manifattura incominciava a suburbanizzarsi ma ancora non trovava quel disegno organico del piano ASI che l’avrebbe ulteriormente decentralizzata verso l’interno. È un riempimento di sacche marginali rimaste inutilizzate rispetto alle principali direttrici radiali di sviluppo tra Napoli e Caserta ed andate a saturarsi quali per tracimazioni omeostatiche di pressioni urbanizzative e che hanno configurato in maniera aggregativa casuale una ulteriore direttrice radiale.

Il secondo carattere è quello dei quartieri suburbani indipendenti. Fenomeno quanto mai recente, sembrano quelli più debitori di un modello internazionale, meglio televisivo, di gusto popolare per il cottage. Questi insediamenti comportano una profonda modifica del paesaggio urbano che passa dalle cortine continue degli spazi stradali corridoio a quello dalle case che fanno mostra della loro individualità differente esposta su prati, imitazione di un paesaggio agreste. Va precisato che quest’evoluzione del gusto del paesaggio non va ascritto al difforme se non per i vincoli di densità minima che sarebbero dettati dalla limitazione normativa del consumo di suolo su cui si transige facilmente nella progettazione urbanistica. La corrispondenza di questa forma di urbanizzazione decentrata allo sviluppo delle autostrade alla fine degli anni ’80 li lega all’uso dell’automobile (fattore che accompagna anche lo sviluppo della campagna urbanizzata) sia nella localizzazione in corrispondenza dei relativi nodi di massima accessibilità che nel

disegno urbanistico interno a ciascun nucleo dove il lotto è occupato dalla casa isolata e compaio addirittura strade dall’aspetto di mall commerciali dall’iconografia pop individuata da Venturi e Scott Brown (2010).

3 | Valori e ordinamenti democratici

La dispersione delle seconde case in contesto agricolo è clandestina più che per evitare sanzioni, per potersi produrre. Perciò si colloca in uno spazio separato e completamente immerso nella sfera privata dove ci si appella a una norma extrastatale che risponde all’etica dell’individuo e della famiglia ai suoi diritti di godere dello stile di vita desiderato per la salute dei figli, la protezione della moglie, lo sviluppo e il benessere. La legittimità di questi valori sono avvertiti sia quando nascondo tra gli agrumeti della penisola sorrentina la villetta per le vacanze estive, dove portare i bambini al mare quanto si utilizza il fondo ereditato dal padre contadino per costruire una abitazione comoda e ampia dove alloggiare la famiglia con il progetto di mantenere nei vincoli di sangue il sostegno attraverso le generazioni.

Sarà un familismo privo di morale se si prospetta attraverso l’analisi sociologica e si valuta negli obblighi verso l’esterno, ma si alimenta invece di obblighi che sono fortemente radicati e protetti da convinzioni profonde che debbono essere condivise all’interno delle comunità per trovare l’ambiente protettivo entro il quale sviluppare la considerevole mole di trasformazioni urbanistiche che si sono realizzate (Banfield 1958, Mandelbaum 2000). In questo senso non sembrano legati a “stati d’eccezione” del sistema di diritti dello stato, ma potrebbero piuttosto essere ascritti al dualismo stato-antistato anch’esso alimentato da valori attribuibili alla persona e da proteggere dall’ingerenza dell’autorità (De Leo 2015, Bobbio 1981). I proprietari degli alloggi sia come prima o seconda casa, con diverse motivazioni si sentono nel diritto di aspirare a quel bene come essenziale alla realizzazione legittima del proprio progetto di vita e lo proiettano nella dimensione della famiglia che sentono come obbligo prioritario rispetto a tuti gli altri valori e componenti sociali. L’azione dello stato, con le sue regole, appare una intrusione illecita in una sfera che dovrebbe essere preservata da tale invadenza con la quale si finisce per coartare diritti essenziali della persona quali il rifugio, la protezione, la salute.

La particolare estensione della domanda, dati i numeri dell’abusivismo, non si spiega con la devianza, nel senso di attori consapevoli di compiere illeciti moralmente riprovevoli. Infatti l’opinione pubblica non identifica come criminali i proprietari di case abusive, sebbene siano stati colpiti da condanne penali e la gran parte di loro ha evitato il carcere solo perché incensurati. Allo stesso modo si può spiegare l’assenza di controllo sociale sulle opere di costruzione con relative denunce tranne quando non si incide su interessi privati. Ulteriore manifestazione di tolleranza ma perfino di condivisione di valori che giustificano il diritto alla casa oppure lo vedono prevalente rispetto a quello di rispettare direttive urbanistiche e esigenze di organizzazione del territorio secondo il pubblico interesse.

Si è messo spesso in evidenza la necessità ed il bisogno come argomenti che fanno comprendere l’abuso (Clementi, Perego 1983). Tuttavia essi non sono sufficienti perché sarebbero esigenze veicolabili all’interno dei programmi pubblici ed inquadrabili nelle politiche dello stato la cui ragione consiste appunto nella risposta ai bisogni dei cittadini. In tal caso, il ricorso all’abuso sarebbe la denuncia del fallimento delle politiche e si risolverebbe con una più efficace politica della casa. Ciò sposta l’asse delle responsabilità sullo stato con la rivendicazione di diritti del cittadino e l’obbligo dello stato a rispondere e darne conto. Il cittadino scompare dal ragionamento o si riduce a semplice domanda di prestazioni e ricettore dei servizi. Invece egli è un attore morale che si comporta in modo coerente col proprio sistema di valori e assume determinazioni di cui è pienamente responsabile.

Anche nelle microrealizzazioni non si può logicamente escludere l’intervento di tecnici in grado di realizzare la progettazione e di microimprese di costruzione con relativi fornitori compiacenti tutti disposti a transazioni in nero vantaggiose anche per l’evasione fiscale. I processi sono guidati da intelligenze che suggeriscono agli altri attori i vantaggi di realizzazioni di cui sanno prevedere gli sbocchi di mercato, quando vanno collocate nelle domande di seconde case; oppure della praticabilità di obiettivi non consentiti dalle normative trovando il percorso giusto e le complicità tra le maglie dei controlli. Tanto più la complessa organizzazione si richiede nello sviluppo di espansioni urbane e degli agglomerati indipendenti dove si richiedono veri piani di lottizzazione con le relative transazioni immobiliari, la progettazione edilizia, cantieri rapidi, forniture di materiali fino all’assistenza legale e la protezione dai controlli che configurano un intero sistema produttivo.

La precedente analisi morfologica del difforme fa intendere che la sua realizzazione corrisponde ad una cultura tecnica che applica modelli insediativi peraltro neppure molto dissimili dall’urbanizzazione conforme sebbene poco aggiornata rispetto all’evoluzione della disciplina di fronte alla sfida ecologica ed

alle sue elaborazioni per la rigenerazione urbana (Moccia 2009). Questa cultura urbanistica locale si sposa alla domanda abitativa ed ai suoi valori extrastatali riproducendo una contesa sulla territorialità su cui si gioca la possibilità di governo del territorio. Infatti, la sua rilevanza politica non risiede solamente nella dimensione sovrastrutturale di cultura locale, ma nella coesione del blocco di interessi che ha operato lungo la filiera della produzione di citta difforme che si è appena succintamente descritta e che definirei regime urbanistico marginale. A differenza dei regimi urbani, non si limita ad esercitare una pressione per favorire lo sviluppo edilizio, ma determina che le modalità della progettazione dell’espansione urbana (Lauria 1997). La sua marginalità è apparente perché, sebbene operi nelle frange metropolitane, quelli sono i territori su cui si esercita la maggiore pressione della domanda abitativa e tutte le premesse perché questa abbia le risposte immediate che avanza sono state già tracciate con buona pace di tutte le declamazioni sul freno al consumo di suolo.

Riferimenti bibliografici

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