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Dipartimento di Architettura

Email: flaviaschiavo62@gmail.com; flavia.schiavo@unipa.it

Abstract

Le dinamiche del Real estate, a NYC, snodo della trasformazione e dell’economia urbana, si scontrano e misurano con uno dei capitoli rappresentativi della partecipazione: il processo di edificazione dei Parchi e dei Giardini che vengono qui considerati come “fronte di resistenza” al consumo di suolo e come generatori di percorsi civici. Dall’idea, alla gestione, infatti, e con varie declinazioni, i giardini sono da sempre frutto di azioni bottom-up. In un contesto assai differente da quello europeo (sia per la compagine sociale attiva, sia per gli “stili” di pianificazione), la relazione tra lo sviluppo immobiliare e il tessuto dei parchi e dei giardini diviene occasione per esplorare i metodi e l’efficacia di alcuni approcci partecipativi, soprattutto a Manhattan dove le pressioni immobiliari sono decisamente più forti. Alcuni esempi storici e contemporanei mostrano, infatti, andamento, livelli di sperimentazione ed esiti, al di fuori di una previsione urbanistica di stampo normativo e all’incrocio di numerosissimi fattori economici, sociali e simbolici.

Parole chiave: real estate, community garden; cityscape.

1 | Parchi, giardini e Real estate

Se gli approcci partecipativi si sono manifestati in Europa (e soprattutto in Italia) secondo un andamento complesso e incrementale (non-lineare), occorre interrogarsi sui metodi, sull’efficacia di questi e sugli esiti, osservando quanto si registrino, da un lato, prassi (introiettate e stabili), dall’altro, si traccino pratiche incerte, retoriche o dipendenti dall’avvicendamento di “soggetti”, da specifici eventi, da dinamiche sovralocali o locali, casualmente interrelate.

Tali posizioni, nella realtà coesistenti e frammiste, sono esplorabili rispetto a una rete di circostanze (urbane e non), agli strumenti di pianificazione e trasformazione, alle azioni dei soggetti (leaders e common

people), alle fluttuazioni delle economie, con la consapevolezza che entrambi gli estremi generino mostri:

uno ha il volto ingenuo dell’attuazione di una delle maggiori e più populiste utopie contemporanee; l’altro possiede i tratti di una nuova retorica, fittizia, che non incide profondamente sulla struttura delle scelte, sul futuro delle persone, sulla loro autodeterminazione e soprattutto sulla “democrazia” in campo, sia hic et

nunc, sia sul tempo lungo della concreta costruzione.

Cercare radici e ragioni, mettendo in relazione fatti accaduti e circostanze reali (anche in chiave storica), consente di identificare più chiaramente i solidi punti di forza e quelli più fallaci di crisi, per trasferire i risultati nel “fare”. L’unico “spazio”, evolutivo e imperfetto, dove la partecipazione abbia il proprio statuto (in forma teorica è un esercizio di stile), dove “misurare” i progressivi avanzamenti, capitalizzando l’errore come fatto connaturato e produttivo e “studiando” la storia come campo organico di formazione/deformazione delle prassi in oggetto.

All’interno di tale questione che si “risolve” e declina in modo assai diverso a seconda dei contesti geografici, sociali e politici, può essere interessante notare come l’agire, la tensione o il conflitto intra- urbano – la lotta e il diritto per lo spazio, per la “posizione”, per il suolo – siano strettamente connessi alla storia dei luoghi e delle persone1, alla complessiva formazione della città e al suo “tempo” (fisico;

1 Partecipazione e Community based planning sono parte costitutiva del governo urbano. Le ragioni sono innumerevoli e, in estrema

sintesi, vanno ricondotte alle matrici culturali, alla formazione della compagine sociale (che origina dall’integrazione di innumerevoli gruppi etnici), dall’assenza di strutture istituzionali di garanzia delle minoranze (es. i sindacati) che hanno, nel bene e nel male, gestito in prima persona rivendicazioni dei diritti, scioperi, questioni razziali. Non si tratta del migliore dei mondi possibili, ovviamente, ma di un universo fluido. Osservarlo aiuta a riflettere sui percorsi potenziali, sui risultati ottenuti e sulle sconfitte.

culturale; politico; economico; sociale; simbolico) e al ruolo degli abitanti. Le forme del partecipare, dunque, hanno un radicamento non solo nei paradigmi scientifici che innervano e dirottano le discipline territoriali, ma si misurano con la formazione stessa della compagine sociale (i “gruppi” e il loro ruolo agito in tempi anche lontani dalla contemporaneità), con le scelte di pianificazione effettuate a monte e in itinere, con la struttura del governo urbano e con alcuni concetti chiave. Tra essi quelli potenti – ma pure tragicamente impotenti – di etica, bene comune, diritti, trasparenza, collettività, comunità che, oltre al proprio statuto filosofico, hanno una ricaduta materiale, influenzata dal senso che assumono (semanticamente e concretamente) nei diversi contesti culturali e geografici. Va notato, anche se appare paradossale, che a volte non sussista una corrispondenza tra il senso teorico di alcuni concetti e la ricaduta effettiva. Un esempio è dato dall’idea di “comunità” che in Italia mostra i propri limiti pratici a dispetto della propria grandezza teorica e che a NYC assume un valore essenzialmente pragmatico ed esperienziale, nonostante la presenza della Megacity e degli “attori economico-finaziari” che, in teoria, dovrebbero essere killer delle azioni comunitarie. Esse pur essendo promosse e introiettate (sebbene con moltissime contraddizioni) dalla Città con la Community based planning, sono essenzialmente autoprodotte e vitali.

È all’interno di tale quadro problematico che l’analisi rivolge la propria attenzione verso uno specifico contesto – New York City – e uno specifico campo tensivo (la relazione tra sviluppo urbano, Real estate e giardini), osservando contesto e campo come ambito di estrinsecazione del dualismo/rapporto tra ciò che le scienze territoriali hanno definito governance e government.

Perché i giardini? Pur essendo arduo comprendere pienamente le dinamiche del Real estate a NYC (uno dei grandi motori dell’economia, del potere e della sua arroganza, dell’identità, della corruzione e del sottogoverno), osservare le fluttuazioni, le diverse motivazioni e cause (da semplici fattori di localizzazione a ragioni molto più complesse e sfumate, ardue da dipanare) della relazione tra i giardini, le forme partecipative, le politiche urbane e il mercato immobiliare, appare più facilmente indagabile. Anche perché è molto netta sia l’opposizione tra le diverse categorie sociali, sia la definizione dell’oggetto del conflitto: lo spazio, aperto a una possibile biforcazione tra Democrazia e Plutocrazia, di cui green open spaces e compatte costruzioni di ferro, pietra, vetro, acciaio, talune fortemente elitarie e speculative, sono epicentro e simbolo.

2 | Imparare dagli assenti: la Storia

Il tessuto eterogeneo dei giardini a NYC ha origine recente, a differenza da quanto accaduto nelle città europee, è contestuale allo sviluppo urbano (dal XVII-XVIII secolo), e non deriva, al primo impianto, dalla trasformazione di strutture esistenti, semmai dalla trasformazione di farms di ridotte dimensioni,

potter’s field2, dalla bonifica di aree paludose o da interventi finalizzati all’edificazione di ambiti urbani (es. lo

snodo di Union Square Park, “aperto” nel 1839, ridisegnato da Olmsted e Vaux nel 1872). Come pure, in fase leggermente successiva, da alcuni “atti” di pianificazione di “settore”, come per es. lo Small Parks Act3, approvato nel 1887 dalla New York State Legislature o dal discutibile PlaNYC2030, figlio dell’era

Bloomberg, varato nel 2007 che, pur trattando la questione degli spazi verdi, usa una cifra demagogica e favorisce smaccatamente il mercato immobiliare.

La trama dei giardini manifesta fluttuazioni, incrementi e andamenti differenziati (tra ampliamenti, ridisegni e, soprattutto dalla seconda metà del XIX secolo, riconversioni), una complessità che possiede

2 Cimiteri, o fosse comuni. Nelle aree degli attuali Madison Square Park, Washington Square Park, Union Square Park e Bryant

Park vi erano cimiteri.

3 Il movimento pro giardini, oltre a immaginare e realizzare i grandi Parchi del XIX secolo promosse – anche in relazione al

fallimento della legislazione sui Tenements, clamorosamente ignorata e che avrebbe dovuto prevedere una modificazione della tipologia che tendenzialmente occupava l’intero lotto – una serie di piccoli spazi verdi visti come elementi che potessero controbilanciare le condizioni di disagio in cui la popolazione viveva. L’Act del 1887 segnò un goal nella realizzazione dell’utopia di Olmsted il cui pensiero avrebbe prodotto elaborazioni molto avanzate ed esempi ante litteram di “reti”. Tra essi, il Park System di Boston, parco rurale sviluppato da Charles Eliot (che con Olmsted aveva lavorato) e da Sylvester Baxter. Oltre ai grandi polmoni, ai quali aveva pensato Olmsted per la nascente metropoli di NYC (Central Park e Prospect Park che influenzò non poco il mercato immobiliare del Distretto di Brooklyn), la legge del 1887 stanziò 1 mln di dollari all’anno per la formazione di piccoli parchi, e non solo nei quartieri dei migranti. Un gesto senza precedenti, risultato della militanza culturale di Jacob Riis, Jane Addams (attivista, pacifista, femminista, fondò la prima Casa di assistenza negli Stati Uniti), Joseph Lee (filantropo, attivo in campo sociale, fu il fondatore del Playground movement), di William Cullen Bryant, di Calvert Vaux, Samuel Parsons Jr., e ovviamente di Frederick Law Olmsted, come di altri soggetti sociali che intendevano riformare l’ambiente e i nodi urbani crescenti e irrisolti. Se i grandi parchi, pur essendo di matrice bottom-up, simboleggiavano l’opulenza della upper class, in stretto abbraccio con il Real estate, i “piccoli” giardini rappresentavano – e rappresentano – il contraltare etico, certamente non l’unico, in una città che cresceva – e cresce – con una incredibile rapidità, fuori controllo e senza troppe restrizioni, ma che iniziava, già in quella fase a manifestare una delle sue più belle qualità: l’essere attraversabile, porosa e socialmente vitale.

due caratteri:

• l’azione bottom-up, spesso anteposta alle iniziative istituzionali, sempre e comunque vitale, anche in presenza di politiche urbane (lo spazio verde è desiderato, agito, non “subito”);

• la dimensione autenticamente democratica del “verde”: a New York, dove la privatizzazione della terra è connessa soprattutto al Real estate e alla necessità di presidiare la rete dei super-spazi del mondo finanziario globale, combattendo la battaglia “primaria” per il possesso della terra.

In quella città infatti, fin dal suo nascere, i luoghi verdi sono stati e sono non solo un significativo “fronte di resistenza” alla speculazione immobiliare e al consumo di suolo (in una città dove il concetto di tutela esiste con declinazioni differenti rispetto all’European way), ma hanno spesso dato luogo a “percorsi civici”4

e di radicamento, configurandosi come un reale e molto potente sistema di rizomi sociali, il cui ruolo comunitario trascende quello di ogni altra tipologia di open spaces (es. le piazze)5.

In tale contesto è legittimo dire che è la pubblica amministrazione ad aver imparato dalle pratiche comunitarie e non viceversa6. Esempio cardine è proprio Central Park, unico “oggetto urbano” realmente

pianificato a NY, che nacque per l’azione bottom-up di una fitta compagine e non solo di intellettuali che, mossi da intenti riformisti, insistevano sul nodo dell’accessibilità. Tra essi: A. J. Downing7, W. C. Bryant

(direttore dell’New York Evening Post8), i due progettisti (Olmsted & Vaux) o A. H. Green (unico, tra questi,

a rivestire una posizione istituzionale).

Attribuendo al termine “sociale” un valore strutturante (in termini etici e politici), dei giardini va evidenziato quanto essi siano stati arena di forti contraddizioni, perché attrezzo – diretto e indiretto – di potenziamento del valore dei suoli, con benefici per la classe abbiente che ha persino tratto vantaggio dalla rete dei giardini più popular, nati per l’azione delle Communities garden.

Un esempio che rende più chiara tale questione è relativo a un’operazione immobiliare condotta da William Zeckendorf9 Jr. & Partners tra il 1982 e 1986. In Uptown West, tra la Broadway e la 96th Street,

venne costruito un condominio di qualità con la facciata in mattoni – The Columbia – tra i più alti (35 piani, progettato da Frank Williams) dell’Upper West Side. Intorno alla metà degli anni ’70 per l’area – che ospitava anche i teatri Riverside, Reveria e Japanese Gardens (chiusi e poi demoliti) – venne progettato un grande magazzino. La destinazione fu convertita in residenziale, e venne proposto un condominio di 34 piani con una quota del 20% destinata ad abitanti a basso reddito. La comunità locale, opponendosi all’edificazione (una frase rende la misura della posizione dei locali: “Here come the crooks”), costruì sul sito un giardino comunitario, ma nel 1982 Zeckendorf e un partner acquisirono l’area e progettarono il

4 Le Communities Garden, nate intorno agli anni ’70, ma radicate nella storia civica degli States, sono un esempio cardine. I

giardini comunitari, oggi capitolo importante relativo al riuso e alla formazione di gruppi e di azioni bottom-up, nacquero per un intervento fortemente autoprodotto e creativo, il cui start furono le “Green Bombs”.

5 Così come i giardini anche le “piazze” non erano contemplate nel Piano del 1811. Spesso queste vengono concepite come luoghi

urbani più formali, connessi a interventi di ridisegno o di progetto. Un esempio rappresentativo è dato dallo spazio antistante il Lincoln Center for the Performing Arts, sito fra la Columbus Avenue e l'Amsterdam Avenue nell'Upper West Side.

6 Nodo, questo, rilevante: secondo numerosi autori l’emancipazione dei gruppi svantaggiati è posto tra i massimi e condivisibili

obiettivi della partecipazione pubblica. Ma le forme e i sistemi di azione, di condivisione e distribuzione dialogica e concreta del potere decisionale e dell’elaborazione delle scelte, non dovrebbero essere veicolati dalle Istituzioni pubbliche. Esse dovrebbero osservare e favorire i processi autoprodotti, evitando accuratamente di irreggimentare e dirigere prassi e pratiche con format comportamentali costrittivi, a volte noiosi e cerebrali. La partecipazione nasce, semanticamente e strutturalmente nello spazio caotico dell’interazione umana, che è lo spazio tra le persone, con le forme che le persone inventano e concepiscono via via. Per ragioni qui accennate, che stanno alla radice della “fondazione” urbana, l’osservazione dei processi di trasformazione newyorchese fornisce enormi spunti di riflessione.

7 L‘architetto paesaggista, sul suo Magazine, The Horticulturalist, definiva “People’s Park” il nascente giardino, toccando un nodo

fondamentale della trasformazione che il modello di parco esperì tra Settecento e Ottocento.

8 Il Newspaper si pose come una delle figure chiave, soprattutto per la lunga azione di Bryant che, sulla scorta di una critica

all’assenza di piano e allo sviluppo che il Direttore definiva “casuale” della città. Il Direttore analizzò con attenzione le relazioni tra Real estate, economia e crescita, spesso mettendo i giardini al centro della questione. E promuovendo non solo Central Park, ma una rete di spazi verdi e alcuni grandi parchi, come il Prospect Park (di poco successivo al Central Park) che, nel distretto di Brooklyn non ancora annesso a NY (nel 1898 con il “consolidamento” si formo la Greater New York), ospitava una consistente folla di migranti, agì come macro detonatore del mercato immobiliare, richiamando una middle class che non poteva permettersi i fitti altissimi di Manhattan dove esistevano residenze di lusso e i tenements, dove abitavano i migranti.

9 William Zeckendorf Jr. fu uno degli immobiliaristi più attivi che operarono a Manhattan. Noto per le operazioni fondiarie, soprattutto tra Uptown West e Union Square (es. la Zeckendorf Tower), decise, di edificare il Columbia che, come molti altri skyscrapers a NYC, fu frutto di una scelta individuale e di un azzardo (in una porzione urbana che gli speculatori immobiliari chiamavano il “selvaggio west”). Dopo l’apertura del Lincoln Center nel 1962, infatti, le operazioni immobiliari difficilmente superavano il “confine” della 72th Street, un bow tie (un incrocio), un punto di confluenza tra la 72th Street, la Broadway e Amsterdam Avenue. Il Columbia invece si attesta più a nord in una zona in cui, ancora oggi vi sono pochi edifici alti. Il Columbia comprende appartamenti e spazio commerciale, oltre al “community” garden sul tetto.

Columbia, prevedendo un surrogato del giardino “comunitario” – che ovviamente nega la matrice contenuta nei giardini comunitari presenti soprattutto a Lower East Side – sul tetto della porzione più bassa del complesso. Il conflitto tra la comunità locale si risolse a favore dell’immobiliarista anche a causa del ruolo della pubblica amministrazione, che non agì per mitigare l’impatto e cercare soluzioni condivise. I giardini sono stati e sono, concretamente, frutto di azioni e “strategie” bottom-up, frutto di un’arte quotidiana non codificata e chance sociale per alcuni gruppi etnici, come i latinos, che hanno costruito la propria appartenenza e cittadinanza anche tramite i giardini comunitari, snodo della conquista del diritto alla città. Ma i giardini sono stati (e sono), nel contempo, servili all’incremento del Capitale: micro e macro ombelichi, fulcri generatori di speculazione immobiliare, spazi usati strumentalmente, occasione di

gentrification e di esclusione sociale in ampie porzioni urbane: chi, infatti, vive intorno a Central Park? Chi

abita o abiterà in prossimità dell’High Line? Cosa accadrà esattamente al quartiere dove si sta realizzando il LowLine Park?

Se, infatti, l’assenza di un Piano normativo e cogente ha contribuito a rendere la città vitale e veloce, se la matrice comunitaria all’origine del tessuto sociale newyorchese e alle condizioni storiche ha reso possibile certe battaglie per il diritto alla città (come quella espressa dalla contesa tra Jane Jacobs, Marshall Bernam

vs Robert Moses, Roger Starr) e l’insorgere di pratiche partecipative nate realmente in seno alla comunità,

viceversa l’assenza di strumenti di pianificazione come concepiti in Europa tra XIX e XX secolo, ha determinato un’endemica carenza di controllo normativo pubblico, che scardina il binomio previsione/attuazione (operato tramite il Piano sull’intero corpo urbano), sugli esiti di trasformazione o riguardo ad alcuni standard10 (come scuole e servizi o rispetto all’housing sociale) lasciati alla

determinazione dei differenti Sindaci oltre che alla rivendicazioni della Comunità. Per quanto riguarda i giardini (molto più che per l’affordable housing 11 presente nel programma di B. de Blasio, sin ora debolmente

realizzato) il passaggio da Bloomberg (che oltre a essere stato per tre mandati Mayor è tra i grandi immobiliaristi urbani) a de Blasio (nel 2014) ha prodotto un rilevante cambiamento degli obiettivi e dei finanziamenti, anche grazie alla nomina di Mitchell Silver12. Egli, vicino alla comunità locale, alle diverse

etnie, sta agendo per la riqualificazione e la costruzione di nuovi parchi a Manhattan, nella Lower East Side, a Harlem come pure nel Bronx, nei Queens, a Brooklyn anche sulla scorta di una programmazione economica13 mirata, tra l’altro, a rinforzare la continuità tra i grandi parchi e le aree verdi di ridotte

dimensioni. Il neo Presidente della Park Commission ha reso manifesta la propria linea di intervento, basata sull’equità, cui attribuisce valore primario. L’idea guida – quella del parco senza confini – “Park

Without Borders” – permea le iniziative di Silver che ha messo in evidenza come il 14% (le aree verdi urbane) e il 26% (strade e piazze) della superficie urbana rappresentino un patrimonio pubblico, computato numericamente, ma il cui valore trascende la quantità, che va integrato in un sistema continuo interconnesso, fatto di altri “oggetti” e percorsi urbani (i luoghi e gli edifici pubblici, come le biblioteche o le piste ciclabili, integrando le indicazioni carenti nel PlaNYC2030) insieme a quelle aree non ancora edificate, sistema incluso in un disegno unitario di planning che si oppone sistematicamente al consumo di suolo e alla speculazione sottraendo al mercato alcune aree. Nodo determinante a NYC e di più agevole risoluzione (sebbene con le debite differenze) nei 4 Distretti (Bronx; Brooklyn; Queens; Staten Island) che a Manhattan dove le pressioni immobiliari sono genetiche e ben più forti.

La rete dei giardini, allora, configura un insieme di “super-luoghi civici” dove da un lato la democrazia urbana è cresciuta e si è espressa, dove si sono innescati processi di autoapprendimento civico, dove si sono formate “istituzioni” fluide su base collettiva in grado di generare qualità urbana, qualità di governo,

10 Lo Zoning definisce parametri legati all’edificazione e indicazioni sulle destinazioni d’uso, ma consente l’esercizio della variante,

fortemente contemplata. La prassi, la cui analisi meriterebbe un approfondimento, genera da un lato una enorme energia vitale, connessa alla trasformazione, dall’altro una perdita di controllo sugli esiti.

11 The Housing New York Plan ha annunciato un finanziamento destinato alla costruzione di circa 62.500 abitazioni a prezzi

accessibili, sin dalla sua implementazione, nel 2014.

12 M. Silver – come A. H. Green (nel XIX secolo) e R. Moses da gennaio del 1934 a maggio del 1960 (26 anni e 4 mesi; Sindaci:

La Guardia, O'Dwyer, Impellitteri e Wagner) – è attualmente Presidente della Park Commission. Una commissione istituzionale, che si occupa dei Parchi pubblici che fa capo al New York City Department of Parks & Recreation. Silver ha sostituito (dal 1° gennaio 2014) Veronica M. White, Commissioner con M. Bloomberg.

13 Immediatamente post nomina di Silver fu annunciato – da questi e dal sindaco de Blasio – un primo importo di finanziamenti

di 15 mln di dollari entro il 2018 (con 8 partners no-profit: the Battery Conservancy, Bryant Park Corporation, Central Park Conservancy, Friends of the High Line, Madison Square Park Conservancy, New York Restoration Project, Prospect Park Alliance e Randall’s Island Park Alliance). Importi diretti a conservare e potenziare la rete dei parchi comunitari nei quartieri della Community Parks Initiative (CPI), istituto nato in seno al NYC Parks, dotato di molteplici compiti, varato nel 2014 per rivitalizzare i parchi di comunità, storicamente sotto-finanziati e siti in aree in cui si registrano concentrazioni superiori alla media di povertà e crescita demografica.

qualità ecologica e sociale e gestione (es. i Conservancies14) e dove, simmetricamente, si è espresso

l’individualismo rapace degli speculatori immobiliari15 e degli stakeholders.

La matrice “proto partecipativa” alla quale invece ci si riferisce, e all’origine dei giardini, è altro. Essa, comunque presente, non ha mantenuto nel tempo i propri originari caratteri e ha subito una mutazione interna che riflette la “natura” ibrida e mutevole di NYC. Ciò nonostante e forse proprio da ciò è possibile imparare: in quell’ibrida e mutevole natura si manifesta una vitalità in cui, pur non essendoci una tensione